L’impatto ambientale della nostra vita digitale

Niente è gratis, l'impatto zero non esiste

Le strade della sostenibilità sono infinite. Tutto nasce da un mio amico e dalla sua mania di svegliarmi tutti i giorni che Dio manda in terra con una immagine, inviata via whatsapp, con scritto sopra “BUONGIORNISSIMO!”. E dopo le foto di una spiaggia, di una tazza di caffè e di una bella ragazza sorridente, mi sono chiesto: “MA TUTTO ‘STO TRAFFICO INUTILE, QUANTO COSTA ALL’AMBIENTE?”. A lui non gliel’ho ancora detto, ma costa parecchio. Tantissimo, se si considera che si tratta di una abitudine forse simpatica, ma non necessaria. Come parecchie cose che facciamo nel web. Ci siamo cullati nel sogno che tutto fosse gratis, che non ci fossero conseguenze e che tutto fosse ambientalmente pulito. Non è così.

Quanto pesa il digitale

sull’ecosistema ambientale ?

Benvenuti nella quarta nazione al Mondo per produzione di CO2 di cui tutti noi siamo, più o meno consapevolmente, cittadini. Dopo Cina, Usa, India, arriviamo noi con la Nazione Digitale, affiancati dalla Russia. Una nazione fatta di cavi ( 1,2 milioni di chilometri) e data center ( circa 8 milioni) che consumano energia e inquinano. Proprio l’esatto contrario del mondo “dematerializzato” a cui pensiamo mentre stiamo archiviando un testo in word o un jpg (consumando noi stessi energia). E’ un inquinamento strano, tanto che gli esperti lo definiscono “dormiente”, perché difficilmente viene percepito. L’impronta ecologica parte infatti, dal mio smartphone o dal mio PC, ma finisce in un altrove non bene identificato. Un esempio tra tutti: i miliardi di mail archiviate fanno funzionare i server nei data center che consumano energia anche per essere climatizzati. Si parla ormai di un CONSUMO MONDIALE PARI A 5 CENTRALI NUCLEARI PER ARCHIVIARE I NOSTRI DATI.

E se, come si prevede, il volume dei dati memorizzati raddoppierà ogni due anni, non c’è da stare allegri. Se facciamo una media di 20 e-mail al giorno per ognuno di noi, in un anno ci troviamo a produrre le stesse emissioni di un viaggio in auto per 1000 chilometri e non ci siamo mai mossi dal nostro tavolo. Il problema è che ogni ora vengono inviate 12 miliardi di mail e i chilometri di questi paradossali “viaggi da fermo” sono molti di più. Aggiungiamo che ogni giorno vengono fatte 3,5 miliardi di ricerche su Google (da 0,2 a 7 grammi di CO2 cadauna) e che sono più di un miliardo le ore che ogni giorno le persone passano su Youtube. Tutto ciò produce il 3,7% delle emissioni globali di gas a effetto serra, con una concreta possibilità di raddoppiare entro il 2025. Secondo il futurologo Thomas Bialas sarà l’equivalente delle emissioni di tutti i veicoli leggeri in circolazione.

Quanta CO2 produce il digitale?

Se proviamo a dividere le emissioni di gas serra tra tutti gli utenti di Internet in tutto il mondo, scopriremo che ognuno di noi ha sulla coscienza circa 414 chilogrammi di anidride carbonica all’anno.
Se scaviamo tra i numeri possiamo scoprire anche cose molto curiose.
Tra i maggiori colpevoli c’è la visione in streaming, con una produzione di CO2 annuale uguale alla Spagna e con il record della pornografia che costituisce un terzo delle visioni totali (tanto C02 come il Belgio).
La stessa Netflix ha dichiarato che nel 2019 il suo consumo annuale di energia, con relativa impronta ecologica, è stato uguale a quello di 40.000 abitazioni. Un altro consumo non indifferente sono i GIOCHI, che negli Stati Uniti, secondo l’Università della California, consumano più energia elettrica domestica di quanta ne richiedano congelatori o lavatrici.
Anche la musica si difende bene. Rabih Bashroush, scienziato capo del progetto Eureca finanziato dalla Commissione Europea, ha calcolato che i cinque miliardi di visioni del video della hit “Despacito” hanno consumato in un solo anno tanta elettricità quanto Ciad, Guinea-Bissau, Somalia, Sierra Leone e Repubblica Centrafricana messi insieme.
Non voglio, però, vendicarmi del “buongiornissimo style” affogandovi di dati. Dati che per amore di precisione, sono spesso frutto di stime, come ci ricorda Yoshua Bengio, canadese e Premio Touring 2018.
Dobbiamo, però, ragionare a partire da questi numeri, che saranno pure “stimati”, ma che rimangono comunque spaventosi, se vogliamo trovare una soluzione a quanto sta producendo la nostra disattenzione e il nostro stile di vita, quando ci muoviamo nel web. Se gli specialisti lo definiscono “inquinamento dormiente”, è venuto il momento di svegliarci, perché l’impatto zero non esiste.

Viva Internet, ma con sobrietà

Nessuno di noi può pensare ad un mondo senza internet (io stesso sto scrivendo questo articolo su di un computer, lo invierò con una mail e voi lo leggerete in un sito web). Nessuno può farlo in un Mondo bloccato ed isolato dalla Pandemia in cui il digitale ci ha risolto tantissimi problemi. Tutti dobbiamo, però, decidere come essere cittadini della Nazione del Web. Il Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani ci propone con un suo Manifesto la via alla “sobrietà digitale”. Una bella idea che può realizzarsi soltanto attraverso la CONSAPEVOLEZZA INDIVIDUALE, fatta di conoscenze, di tante piccole e grandi azioni pratiche. Un esempio? Visto che abbiamo parlato di mail, se ogni adulto nel Regno Unito inviasse un’e-mail di ringraziamento in meno, potremmo risparmiare le tonnellate di carbonio prodotte in un anno da 3.334 auto diesel (dato BBC su ricerca della società energetica OVO).
Un altro? Le Aziende devo decidere da che parte stare, a cominciare dalle Regine del web. Nel marzo di quest’anno 26 CEO delle principali aziende tecnologiche (Cisco, Dell Technologies, Glencore, Google, KPMG International, Microsoft, Sims Limited, Vodafone e altre) hanno sottoscritto la European Green Digital Coalition. E’ uno dei tanti segnali significativi, frutto anche dell’impegno di tanti attivisti, a cominciare da Greenpeace con il progetto ClickClean, che analizzano e controllano, spingendole a compiere continue azioni di miglioramento, ma non basta. La nostra vita continuamente connessa ha sempre più bisogno di energia e l’Internet delle cose aumenterà il numero di dispositivi connessi al nostro servizio. L’attenzione deve essere continua, perché continue sono le novità che ci passano davanti agli occhi e di cui facciamo fatica a percepire l’impatto ambientale.

L’impronta ambientale tra Bitcoin

e rifiuti elettronici

Se vi dico “MONETA DIGITALE” sono sicuro che la maggior parte di voi penserà a tutto tranne che alla sua impronta di carbonio. Oggi l’impronta di carbonio di una singola transazione in Bitcoin è pari a 680 operazioni Visa. Ci vuole molta più energia a produrre un bitcoin che una moneta sonante in rame o in oro. Il problema è sempre lo stesso: non tocchiamo nulla e ci illudiamo che tutto sia lindo e senza impatti.
Invece anche qui non c’è nessuna nuvola, nessun cloud, ma solo energia che viene prodotta e che si consuma.
Ci sono due altri aspetti di cui si parla poco, quando si affronta il peso ambientale della nostra tecnologia: quanto ambientalmente è costato produrlo e quanto a non riciclarlo nel modo giusto, sprecando una quantità incredibile di materiali.
Uno smartphone di 200 grammi produce 86 chilogrammi di scarti. E cosa succede quando non lo usiamo più e lo gettiamo o lo sostituiamo con un modello più recente?
Ci dicono le Nazioni Unite che NEL 2019 SONO STATI SCARTATI 53 MILIONI DI TONNELLATE DI RIFIUTI ELETTRONICI. Un dato da parecchi anni in costante crescita. Non tutti sono legati alla Nazione Digitale, ma solo il 17% viene riciclato e la percentuale media tocca le due cifre, perché in Europa si ricicla il 42,5%.

Un bambino cinese siede tra una pila di cavi e rifiuti elettronici. I bambini possono spesso essere trovati a smantellare rifiuti elettronici contenenti molte sostanze chimiche pericolose note per essere potenzialmente molto dannose per la salute dei bambini.

(fonte: Greenpeace China)


Uno spreco annuale di circa 50 miliardi di euro. Il rifiuto del futuro ha una raccolta differenziata primitiva e con impatti ambientali devastanti, visto che quello che non si differenzia finisce spesso in discariche abusive nel Sud del Mondo. C’è anche un altro spreco. Moltissimi di questi prodotti non vengono nemmeno gettati, ma rimangono inutilizzati in qualche mobile o in un angolo del garage (tutti noi abbiamo un cassetto pieno di vecchi cellulari e di caricabatterie). Sommando il contenuto di tutti i cassetti, fanno quasi 700 milioni di vecchi telefoni cellulari solo in Europa, in pratica un tesoro di circa 14.920 tonnellate di oro, argento, rame, palladio, cobalto e litio per un valore di oltre un miliardo di euro. Un tesoro che nessuno ha cominciato a cercare. Eppure sono materiali che costano tantissimo all’ambiente, e non solo all’ambiente, visto i costi umani per alcuni di questi.
Basta fare un salto in un Centro di Raccolta per ridurre sprechi e nuovi scavi nelle miniere. Facilissimo.
Ricordiamoci, poi, che una ricerca dell’Agenzia europea dell’Ambiente ha calcolato che la durata di vita di smartphone, televisori, lavatrici e aspirapolvere è normalmente più breve di due anni rispetto a quella progettata.
Li usiamo male e meno del previsto, spesso preferiamo stoccarli in un angolo della casa, piuttosto che permetterne il riciclaggio. Non siamo dei bravi cittadini della Nazione Digitale, ma possiamo migliorare.

Riepilogando, nella nostra Nazione Digitale abbiamo scoperto che non c’è solo l’ inquinamento dormiente, ma ci sono pure l’inquinatore distratto e quello pigro.
La bella notizia è che le soluzioni ci sono e che a volte basta davvero poco. Molte le troverete su queste pagine. L’importante, però, è muoversi subito. Domani non mandiamo alla chat degli amici il solito “buongiornissimo”. Sarà un giorno migliore. Per noi e per l’ambiente.