I BRIGANTI IN CAMPO CONTRO LA MAFIA

All’uscita dal piccolo spogliatoio il campo che si presenta ai ragazzi e alle ragazze è uno di quelli dove c’è terra e polvere che tira vento. Le tribune sono gremite e i quindici giocatori che lentamente stanno salendo gli ultimi gradini scheggiati, in teoria rugbisti grandi e grossi, si sentono sempre più piccoli. Il tifo è assordante e non ci sono dubbi, chi è in tribuna oggi non tifa per loro.

[Parentesi – Per i Briganti giocare, allenarsi e aiutare i ragazzi e le ragazze non è stato e non è sempre facile in un quartiere dove non tutti guardano di buon occhio l’attività della squadra. Come nel 2012, quando Giuseppe Cunsolo, ragazzino del quartiere oltre che giocatore dei “Briganti”, a soli 13 anni, rimane vittima di un incidente stradale in cui perde la vita in circostanze sospette. O la notte fra il 10 e l’11 Gennaio 2018, quando un incendio doloso danneggia gravemente proprio la Club House “Peppe Cunsolo”. Grazie alle indagini svolte si è potuto appurare che l’incendio, di natura dolosa, è stato alimentato dalle centinaia di libri raccolti negli anni tramite le donazioni, emblema dell’attività della “Librineria”, arrivando a rendere la struttura inagibile ledendone la struttura portante. Ma questo, come le difficoltà burocratiche (e la lunga mancanza di volontà politica) di far partire i lavori di adeguamento del prato, non fermano i Briganti che continuano nella loro lotta contro il degrado e la criminalità.]

Il sole del primo pomeriggio che cade a picco, l’umidità del mare, il secco della terra in quel campo dove l’erba fatica a crescere fa sudare i quindici ragazzi. Briganti, come si sono voluti chiamare. In onore della loro terra, ma anche come sfottò, perché loro sanno bene che i veri briganti, quelli senza alcun romanticismo, sono i loro avversari. Loro sanno che sono sfavoriti, sulla carta sono le vittime sacrificali di una squadra ben più forte di loro. Loro, i Briganti, sono nati da pochi anni, hanno pochi mezzi e sono un gruppo di appassionati senz’arte né parte, sospinti più dal loro cuore che dalla tecnica o dalla prestanza fisica.

Il loro avversario no, lui ha una lunga tradizione. Lunghissima. E i tifosi sugli spalti lo sanno ed è per questo che tifano per lui. Perché è il più forte. Ed è sempre facile tifare per il più forte, per il favorito. Rischi meno. Anzi, non rischi nulla. Perché è meglio non rischiare, non si sa mai. I Briganti, invece, amano il rischio. Anzi no, non è vero, non lo amano per nulla. Ma sanno che non si può vincere se non ci si mette in gioco e non si può sconfiggere l’avversario più forte se non lo si prova a sfidare. Sul suo campo, con le sue regole. O con la sua assenza di regole.

Umberto, l’allenatore, è stato chiaro negli spogliatoi. “Niente paura!” ha gridato ai suoi, a Mirko, ad Arianna, a tutti guardandoli uno a uno negli occhi. Niente paura quando scendete in campo per giocare, come niente paura quando scendete in campo per la vita. Niente paura di parlare, quando tutti intorno a voi vi dicono che il silenzio è d’oro, che è meglio tacere. Niente paura di guardare, quando tutti intorno a voi vi dicono che un cieco campa cent’anni, che è meglio far finta di non vedere. Niente paura di studiare, quando tutti intorno a voi vi dicono che l’unica scuola che conta è quella della strada, dove vale la regola del più forte, non del più istruito.

Le squadre sono finalmente in campo, il pallone è pronto per essere calciato e la partita può iniziare. Oddio, partita è una parola grossa. È come aspettare il fischio d’inizio di All Blacks contro Portogallo. Non c’è storia, non c’è mai stata. L’onda tuttanera spazzerà via i lusitani, così come accadrà oggi. Il primo calcio è alto, il pallone scompare oscurato dai raggi del sole, poi torna giù, come un proiettile, verso il prato. Proiettile, che brutto paragone. Ma azzeccato, purtroppo. Angelo afferra quel proie…, pardon, pallone e cerca un compagno. Corre, poi libera l’ovale a Mirko che arriva da dietro, di corsa. Un placcaggio, durissimo, e si forma la ruck. Ingressi laterali, colpi proibiti, l’arbitro che non guarda. Il pallone esce dal raggruppamento, veloce, e il mediano di mischia lo muove al largo, all’ala. Una fiammata, una folata lungo la linea laterale, un placcaggio rotto. Un offload e il pallone arriva a Pippa. Umberto dalla panchina urla, incita, sogna.

Giusy, Pippa per gli amici, scatta, entra nei 22 avversari, fa una finta. L’avversario abbocca, tentenna, cade. Si apre una prateria, un altro passaggio e Stefano ci si infila. Corre, sempre più veloce, verso la bandierina. Si volta, guarda indietro. No, non possono più fermarlo, non possono più placcarlo. Un tuffo, liberatorio, e il pallone che viene schiacciato a terra. Meta! Vantaggio per i Briganti.

Lo stadio ammutolisce. Le migliaia di urla scompaiono in un silenzio assordante. No, non è assordante, perché in quel silenzio si iniziano a sentire delle voci. Applausi. Pochi, circospetti, impauriti. Ma ci sono. Poi un poco alla volta aumentano. I tifosi si guardano, si scrutano. Posso applaudire, posso festeggiare la meta? Forse sì, posso. Non sono tanti, ma ci sono. Ma quella meta è stata un attimo, poi l’altra squadra si riprende, segna, dilaga e si va al riposo sul 7-35. Tutti nello spogliatoio.

Volti scuri, sguardi spaesati. Nello spogliatoio dei Briganti il morale è sotto i tacchi e le parole dell’allenatore non scalfiscono il senso d’impotenza dei ragazzi. “Dai ragazzi, che sono quelle facce? Mancano ancora quaranta minuti, una partita è persa solo quando l’arbitro fischia la fine” urla il coach. Ci crede, ma è l’unico.

[Parentesi – L’idea di unire il riscatto del quartiere al rugby nasce quasi per caso, con i volontari che trovano in offerta dei palloni da rugby in un negozio e, benché nessuno di loro sia un reale esperto della disciplina, pensano che la forma strana della palla avrebbero attirato i ragazzini e spronato loro a passare meno tempo “per strada” e più tempo insieme. È così che, il 25 Aprile 2012, i Briganti decidono di occupare quello che diviene il “San Teodoro Liberato”. Si tratta di una struttura sportiva abbandonata e mai utilizzata; lasciata per anni in balia dell’incuria e dell’abbandono. Partendo dalla pulizia del campo, passando per la sistemazione degli spazi interni su quelle che ormai erano diventate macerie, i Briganti riescono a dare nuovo lustro a questa struttura e a trasformare una piccola costruzione adiacente nella Club House. Uno spazio riservato al doposcuola e alla condivisione, al cui interno era situata la prima e unica biblioteca pubblica di tutto il quartiere. Nel 2014 nasce, infatti, la “Librineria”.]

Gli sguardi si scrutano e, poi, ecco che qualcuno parla. E dice quello che tutti pensano. “Coach, basta. È inutile. Forse non dovevamo neanche scendere in campo. Dai, lo sapevamo tutti come finiva. Non sono degli avversari come gli altri. Quella non è una squadra, quella è la mafia”. La frase sbriciola la diga che teneva le emozioni e, uno dopo l’altro, tutti dicono quella che è la dura realtà. Sì, perché i Briganti di Librino vivono in un quartiere pericoloso, borderline, dove la criminalità organizzata trova terreno fertile. I ragazzi nello spogliatoio se lo sono sentiti dire per anni. Lasciate perdere, non giocate, non sfidate l’ordine costituito. E, dopo 40 minuti, si sono resi conto che forse è vero. Forse avevano ragione amici, parenti e conoscenti. È una partita che non puoi vincere, inutile giocarla.

L’allenatore li lascia sfogare. Non è arrabbiato, non è deluso. Lo sa. Lo ha già visto tante volte in passato. Questa è una partita che pochi hanno avuto il coraggio di giocare, spesso neppure si sono presentati in campo. Questa volta i suoi ragazzi sono arrivati all’intervallo, hanno avuto la forza di segnare una meta. In uno stadio che tifa contro di loro. Lo sa che hanno ragione, che andare sotto la doccia e poi a casa sarebbe più facile. Per tutti. Ne ha persi tanti di ragazzi per strada in passato, ma altrettanti hanno resistito e hanno voluto giocare. Fino al fischio finale. L’allenatore li lascia sfogare. Non è arrabbiato, non è deluso. Poi, quando le voci tacciono, riprende la parola.

“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”.

“Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”

“Ci si dimentica che il successo delle mafie è dovuto al loro essere dei modelli vincenti per la gente. E noi non ce la faremo a batterla fin quando non saremo diventato noi stessi un modello vincente”.

“L’impegno contro la mafia, non può concedersi pausa alcuna, il rischio è quello di ritrovarsi subito al punto di partenza”.

“Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno”.

“E il rugby è sostegno, i vostri compagni sono le vostre alleanze”.

“Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale”.

“Scendere in campo, come avete fatto, significa affermare che quella mentalità non ce l’abbiamo. Tornare in campo, adesso, significa affermare che quella mentalità non la vogliamo”.

Le parole rimbombano tra le mura di quello spoglio spogliatoio. E fanno breccia. Mirko, Salvo, Angelo, Stefano, Arianna, Marta, Pippa e Gloria si guardano, la luce nei loro occhi è cambiata. Sì, si torna in campo. Si gioca, si lotta, si combatte. Si perderà? Sì, quasi sicuramente. Ma è una partita. Una di tante. Una partita si può anche perdere, ma quel che conta è scendere in campo. Per dimostrare a quel pubblico che un’alternativa c’è. Che si può tifare anche per gli sfavoriti. I ragazzi si guardano, poi si avviano verso il campo. Dove il risultato finale non conta. Conta solo esserci.

[Parentesi – La voglia di riscattare il quartiere e di offrire un’opportunità di rinascita e di riqualificazione alle persone che lo abitano rappresenta la scintilla che dà vita, nel 1995, al percorso intrapreso da un gruppo di volontari e poi, a distanza di qualche anno, alla nascita dell’Associazione sportiva dilettantistica “I Briganti Rugby Librino” in una delle zone più difficili di Catania. Un progetto prevalentemente rivolto ai minori che popolano il quartiere; con l’obiettivo di colmare il gap socio-educativo presente, alimentato dall’alto tasso di abbandono scolastico oltre che dalla forte diffusione della criminalità. L’intento è quello di diffondere un insieme di valori alternativo rispetto a quelli cui questi ragazzi sono abituati, un modo di vivere che sia più equo e giusto. Il progetto nasce e si rivolge prevalentemente a bambini ed adolescenti e ambisce a dare loro uno spazio in cui poter studiare, giocare e incontrarsi sperimentando nuove modalità di relazione, diverse da quelle improntate alla violenza e alla sopraffazione cui sono abituati.]

“Non saremo mai come ci volete voi”. Dalla pagina Facebook dei Briganti Rugby Librino – shorturl.at/ckHM8