FREEDOM, CIOE’ IL RUGBY OLTRE LE SBARRE

Non mi ricordo quando è stata la prima volta. Probabilmente all’asilo. Sì, sicuramente all’asilo. Sono sicuro che un bambino mi aveva preso un gioco e io l’ho picchiato. Sì, dev’essere stata quella la prima volta.

La seconda, si fa per dire, invece la ricordo bene. Avevo 13 anni e avevo una fidanzatina. O, meglio, io dicevo che era la mia ragazza, lei non credo lo sapesse. E probabilmente non sarebbe stata d’accordo. E quando un altro ragazzo l’ha baciata l’ho picchiato. Forte. Fortissimo. Poi è diventato normale, naturale. Ho fatto a pugni per essere accettato dal branco, per dimostrare che non ero un codardo. Più picchiavo più amici avevo. Picchiavo i più piccoli e deboli. A volte anche quelli grossi. Dovevo dimostrare qualcosa, ma meglio picchiare i più piccoli. Non rischi.

Prima picchiavo per il branco, poi ho iniziato a pestare col branco. Picchiavamo altri branchi, o picchiavamo a caso, tanto per divertirci. O perché avevamo bevuto. O ci eravamo calati qualcosa. E la noia della città ci uccideva e allora via, in giro, senza meta. E se passava qualcuno che non ci piaceva giù botte. Tante. In tanti. Poi dovevo fare soldi, che mio padre mi aveva tagliato i fondi. E allora rapinavo. Negozi, appartamenti. E se reagivano erano pugni e calci. No, devo essere onesto. Pugni e calci arrivavano anche se non reagivano. Quelli erano gratis, compresi nel prezzo.

Sì, io picchio da quando sono nato. Da quando mi sono reso conto di essere nato dal lato sbagliato del mondo, sul lato dei perdenti, degli sfruttati. Anno dopo anno è cresciuta la mia rabbia verso gli altri, verso i ricchi, verso chi governa il Paese, la città, il quartiere o anche solo la mia via. Rabbia cieca. E c’è un solo modo per rispondere alla rabbia che hai dentro. Picchiare. Sempre di più, sempre più forte.

Non ho studiato, sono stato bocciato più volte, non sono forse così intelligente. Non posso rispondere con le parole, i miei discorsi sono ignoranti, sono stupidi. Perdo. Sempre. Il mio lessico ha poche parole, ma chiare. Pugni. Calci. Calcio della pistola. Tirapugni. Manganello. Poi ancora pugni e calci. È il mio linguaggio, come dicono quelli che invece hanno studiato è la mia dialettica. Io mi esprimo con la violenza. L’ho sempre fatto. È quello che so fare. È l’unica cosa che so fare. Picchio. Duro.

E adesso sono qui, pronto a picchiare. Di nuovo. Duro. Lo vedo il mio avversario, anzi i miei avversari. Sono lì, davanti a me. Anche loro sono pronti a picchiare. Duro. Mi sono preparato tanto per questo negli ultimi mesi. Tra quattro mura umide, tra quattro mura strette, che sembrano sempre più strette, giorno dopo giorno. Mi sono preparato duramente. Giorno dopo giorno. A picchiare duro. Ma oggi è diverso, oggi sono diverso.

[Parentesi – Dipendenze da droghe, reati patrimoniali, reati contro la persona sono i principali motivi che hanno portato a pene da scontare, giorni che diventano mesi a volte anni per raddrizzare il corso di vite storte e di persone che – anche dietro le sbarre del carcere – vogliono tornare a guardare al futuro con positività. Rugby Milano, dal 2008, sviluppa dei progetti sociali in 3 istituti penitenziari. Beccaria (2008), Bollate (2013) e San Vittore (2017) sotto il nome di “Rugby oltre le sbarre”. Lo scopo è quello di coinvolgere i detenuti in un gioco di squadra che è anche sport di combattimento basato sulla gestione dell’aggressività e su un sistema di regole sia tecniche sia etiche.]

Oggi posso picchiare e nessuno mi condannerà. Oggi posso picchiare e nessuno si scandalizzerà. Oggi sono cambiato. La rabbia che avevo dentro è rimasta, il bisogno fisico di sfogarla non è diminuito, anzi. Quelle quattro mura bastarde l’hanno accresciuta. Ma oggi è diverso. Otto mesi fa ho conosciuto Francesco. Era nel cortile. Parlava con alcuni ragazzi come me. Mi sono avvicinato. Ho ascoltato. Non capivo bene, ma capivo che diceva qualcosa di importante. Parlava di regole. Parlava di rabbia. Parlava di violenza.

Prima regola. Il passaggio. Con le mani, ma solo indietro, perché avanti è troppo facile e banale, perché da solo non vai da nessuna parte, perché hai sempre bisogno di qualcuno che ti segua, ti sostenga, ti aiuti. Avanzare, ma insieme perché il significato della squadra, il senso della solidità e della solidarietà, il valore dei sentimenti, stanno indietro.

MILANO – 01/12/2009 – CINQUE CAMPIONI DELLA NAZIONALE NEOZELANDESE DI RUGBY, GLI ALL BLACKS, VISITANO I RAGAZZI DELL’ISTITUTO PENALE MINORILE CESARE BECCARIA DI MILANO. UN INCONTRO E UN ALLENAMENTO CHE RAPPRESENTANO UN SOGNO REALIZZATO. FOTO STUDIO COLOMBO – COPYRIGHT FREE.

Seconda regola. Il fuorigioco. Sono in fuorigioco tutti quelli che si trovano davanti alla linea immaginaria determinata dal pallone, quella che passa al centro del pallone e che non può essere superata, a ribadire che il rugby è un gioco di squadra dove si attacca e si difende tutti insieme.

Terza regola. Obbedienza. Che è silenzio, accettazione, condivisione. Ogni volta che protesti fai perdere 10 metri ai compagni, alla squadra, alla battaglia, ogni volta che commetti un’infrazione è come se infrangessi la storia di uno sporte lo spirito di un gioco nati per insegnare l’obbedienza, fondere il rispetto, costruire caratteri, aiutare ad uscire da se stessi e rivelarsi.

[Parentesi – Il progetto all’interno dell’Istituto Penale Minorile Beccaria è stato l’apripista per Rugby Milano nei progetti sociali nelle carceri. L’attività sportiva comprende un allenamento a settimana, solitamente il sabato. I partecipanti sono ragazzi del gruppo «Avanzato», che vanno dai 15 ai 22 anni. Questo perché, pur essendo un istituto penale minorile, i detenuti di questa struttura sono autorizzati a rimanere all’interno di essa fino al completo decorso. Rugby Milano, nel corso di questi anni, non si è limitata solamente a organizzare allenamenti o incontri a porte chiuse. Ha infatti sviluppato diversi progetti come giornate dello sport, camp multisport settimanali all’interno del penitenziario, un documentario, diverse visite al centro sportivo Curioni, in vista di partite della Prima Squadra e, infine, partite in esterna presso lo stesso centro.]

Francesco mi ha visto e si è avvicinato. Mi ha detto che nei miei occhi vedeva la mia rabbia, la mia violenza. Mi ha detto che sapeva che non posso cancellarle. Mi ha detto che sapeva come cambiarle. Regola dopo regola. Le prime tre me le ha ripetute subito, ve le ho scritte qui sopra. Le altre regole si imparano strada facendo, campo calpestando, terra conquistando. Senza fretta. Guardando, osservando, studiando. Dandole e prendendole. Imitando, copiando, ispirandosi. Il rugby predica come dovrebbe essere la vita.

Ma c’è un altro aspetto da tenere ben chiaro: il rugby è uno sport fisico. Il contatto non viene sanzionato, ma è previsto, dichiarato, voluto, riconosciuto, premiato. Il placcaggio è un’arte, ma dedicata, riservata esclusivamente a chi detiene il pallone.

Ho iniziato così, allenamento dopo allenamento. All’inizio non era facile. No, il difficile non è imparare a giocare a rugby, quello è facile. Il difficile è cambiare. Capire. Capire che la mia rabbia può diventare altro. Forza, non violenza. Aggressività, non cattiveria. Potenza, non prepotenza. Sport, non crimine. Futuro, non passato. Speranza, non rassegnazione. Ora l’ho capito. Ora sono cambiato.

[Parentesi – A.S. Rugby Milano è stata fondata nel 1945. Fa parte della FIR Federazione Italiana Rugby. Sono circa 600 i tesserati, dai 5 ai 65 anni suddivisi in 17 squadre. Quattro categorie di Minirugby (dai 5 ai 12 anni). Tre categorie di Giovanili (Under 14, Under 16, Under 18). Quattro squadre Seniores (Serie A, Serie C, Campionato Amatoriale e “Old”). Sono circa 500 le famiglie coinvolte. Dal 2015 dispone di un centro sportivo proprio, completamente attrezzato. La struttura è situata all’interno del parco dell’Idroscalo.]