QUANDO IL RUGBY E’ UNA SCELTA ‘LIBERA’

Non fa per te”. Quattro parole banali, solo dieci lettere. Dieci lettere che, però, mi perseguitano da tutta la vita. No, scusate, non da tutta la vita. Dall’adolescenza. Sì, avrò avuto 12, forse 13 anni, quando per la prima volta mio padre me lo disse. “Non fa per te”. Non ricordo a cosa si riferisse, anche se ai tempi mi fece male, malissimo. Era sicuramente qualcosa che per me era importantissimo, ma a 12/13 anni tutto è importantissimo. Poi il tempo scorre e ti dimentichi, o ricordi e ti accorgi che era una stupidata, nulla di che. Ma restano lì quelle parole, impresse.

Come gli sguardi. I sorrisini. Le ironie alle tue spalle. “Non fa per te” lo dicono in tanti. Non fa per te quel percorso di studi, perché in fondo non sei così intelligente da poter sognare l’Università. Non fa per te quella ragazza, troppo bella per un ragazzo come te. Non fa per te quel lavoro, così ambizioso che è adatto agli altri, ma non a te. Non fa per te quello sport, perché sei troppo alto, troppo basso, troppo grasso, troppo magro, troppo. O troppo poco. “Non fa per te” fa male, ma fa ancora più male quando te lo dice chi dovrebbe amarti, chi dovrebbe sostenerti. “Non fa per te” fa male se si parla di qualcosa che, guardandoti intorno, sembra andare bene a tutti gli altri.

Perché quelle dieci lettere ti sbattono in faccia la tua diversità. “Non fa per te” è uno specchio distorto e crudele, perché quelle quattro parole in realtà nascondono un’altra frase, che nessuno ti dice, ma tutti pensano. “Non fa per te” si può tradurre molto più facilmente in “Tu non vai bene”. Il problema non è il tuo sogno, il problema sei tu.

[Parentesi – Libera Rugby nasce, “per gioco”, nel 2013, dalla passione per il mondo del rugby che legava cinque amici. Fin da subito, però, l’obiettivo è quello di creare un ambiente che fosse inclusivo, ovvero aperto ed accessibile a ogni persona, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Il messaggio che l’ASD porta avanti da ormai 8 anni, è infatti quello di abbattere ogni tipo di pregiudizio nei confronti di giocatori omosessuali. E, infatti, Libera Rugby Club è una squadra come tutte le altre: ogni giocatore che desidera tesserarsi al club, a prescindere dal suo orientamento sessuale, si unisce perché ha il desiderio di giocare a rugby]

No, non ricordo a cosa si riferisse mio padre quel giorno, la prima volta che mi disse “non fa per te”. Ma ricordo benissimo quelle dieci lettere un paio d’anni dopo, quando mi presentai su un campo d’erba. Avevo un borsone, un paio di scarpini, pantaloncini e maglietta. Casualmente nelle settimane precedenti avevo visto alcune partite del Cinque Nazioni. Non conoscevo il rugby, nessuno dei miei compagni di scuola ci giocava, ma quelle poche immagini in televisione mi avevano colpito. Mi ero subito innamorato di quella palla strana, di quel gioco dove la palla deve andare indietro per avanzare. E, dunque, eccomi lì. Scarpini, pantaloncini, maglietta e la voglia di provare.

Non fa per te”. Non ero neanche sceso in campo, non mi ero ancora andato a cambiare negli spogliatoi, ma l’allenatore mi guarda e tornano quelle dieci lettere.Non fa per te” e la porta chiusa in faccia. A ripensarci oggi fa sorridere. Oggi ho 40 anni e da 25 anni corro e placco, spingo in mischia e avanzo palla in mano. Oggi giocherò l’ultima partita della mia carriera. Beh, carriera sono parole grosse. Giovanili, Serie C, una breve esperienza in Serie B, poi ancora Serie C con Libera Rugby, dove finalmente – per la prima volta – ho potuto essere me stesso. Non sono mai stato un campione, questo è certo. L’alto livello non faceva per me, questo è certo. Ecco, ancora quelle quattro parole.

25 anni, ma che fatica poter giocare. Quell’allenatore fu solo il primo di tanti che cercarono di farmi cambiare idea. Allenatori, compagni di squadra, avversari, ma anche i miei amici e, ancora una volta, i miei genitori. “Non fa per te”, cambia sport. Ce ne sono di più adatti per te. Per quelli come te. Eh, sì, perché quelli come me non giocano a rugby. Eppure. Eppure. Il rugby è uno sport per tutti, dicono. Per i ciccioni, che metti in prima linea. Per gli spilungoni, che vanno in seconda. Se sei magro nessun problema, ti sbattono all’ala, o estremo. Il rugby ha tanti ruoli, tutti diversi tra loro. Diversi, già. E se i ruoli sono diversi, dovrebbero poterlo essere anche i giocatori, no? Grandi e piccoli, grossi e magri, furbi o meno, intelligenti e non. Ma a ogni “non fa per te” sembrava evidente che il rugby andava bene per tutti, ma non per me.

[Parentesi – A oggi, la squadra ha circa 30 tesserati e ha svolto diversi progetti di inclusione sia a livello regionale sia nazionale, soprattutto anche con la Federazione Italiana Rugby con il progetto “Rainbow 365 – Colori vs Omofobia”, cui hanno partecipato lo Zebre Rugby Club. L’obiettivo primario di Libera, infatti, oltre al messaggio che promuove nel campo, è quello di diffondere la cultura del gioco del rugby non soltanto a livello regionale, ma anche nella comunità LGBT]

Sì, perché nell’immaginario collettivo il rugby è uno sport da maschi. E se già si mal sopporta l’idea che esista la versione femminile della palla ovale, proprio non si riesce a comprendere che a rugby voglia, e possa, giocare chi è gay. Sì, perché io sono gay. E per un omosessuale il rugby “non fa per te”. Come tante altre passioni. Le porte chiuse in faccia negli anni sono state spesso accompagnate da termini duri. Ma ormai ci ho fatto l’abitudine. Quante volte in mischia, lontano dall’orecchio dell’arbitro ma soffiato con rancore nel mio mi sono sentito dare della checca, del frocio, del ricchione.

Sorrido. Sì, è vero. Sono frocio. E se volete chiamarmi così, beh, fatelo. Lo hanno fatto in tanti. Prima delle partite, però. Sì, perché in campo si sono presto dimenticati che il rugby “non fa per me”. A ogni placcaggio, a ogni mischia in cui spingevo i miei 105 chilogrammi, quando palla in mano rompevo un placcaggio e magari riuscivo – oh, è successo poche volte! – a schiacciare in meta. E a fine partita venivano da me, rassegnati, a darmi la mano, a complimentarsi per la partita, per quell’azione, per quel placcaggio.

Bravo, non pensavo” è la frase che più ho sentito nella mia vita. Anzi, la seconda. La prima è “Non fa per te”.