Paralimpiadi, la polemica sui premi. Una questione complessa che non si può risolvere per slogan

Si sono chiuse pochi giorni fa le Paralimpiadi di Tokyo 2020 e per i colori azzurri è stata una manifestazione fantastica. Tantissimi gli atleti italiani iscritti alle gare (115, record di presenza per l’Italia) e alla fine è arrivato il record di medaglie

Sono 69 le medaglie vinte dai nostri atleti paralimpici, di cui 14 d’oro, 29 d’argento e 26 di bronzo hanno fatto emozionare gli appassionati davanti alla tv. Ma con le vittorie sono arrivate anche le polemiche.

Premi Paralimpiadi inferiori alle Olimpiadi, un’ingiustizia da sanare

Da più parti, infatti, si è fatto notare come i premi per chi conquista una medaglia alle Paralimpiadi siano molto inferiori ai premi per la stessa medaglia alle Olimpiadi. In particolare, in Italia, una medaglia d’oro olimpica vale 180mila euro, mentre alle Paralimpiadi 75mila. L’argento vale 90mila euro alle Olimpiadi, solo 40mila alle Paralimpiadi. E il gap per chi conquista il bronzo è di 35mila euro, 60mila per gli olimpici, 25mila per i paralimpici.

Una differenza importante che è finita anche in Parlamento. Con un post su Facebook, infatti, l’onorevole Laura Boldrini ha alzato la voce per sanare questa ferita e parificare i premi per i campioni dello sport, che siano normodotati o paralimpici. “Presenterò un’interrogazione al Governo su questa ennesima discriminazione nel mondo dello sport. Come ha denunciato l’associazione Assist, i premi delle atlete e degli atleti Paralimpici sono inferiori, addirittura dimezzati, rispetto a quelli dei colleghi e delle colleghe che hanno gareggiato e vinto in occasione delle Olimpiadi. E’ mai possibile accettare che esistano campioni e campionesse di serie B? No, non è accettabile, perché è contro la Costituzione e i valori stessi dello sport. Va posto subito rimedio a questa stortura che non ha giustificazione” le parole dell’onorevole.

Ed effettivamente, guardando ai fatti da fuori la discriminazione appare evidente. Che un atleta si chiami Marcell Jacobs o Ambra Sabatini, entrambi hanno vinto l’oro nei 100 metri a Tokyo. Entrambi, ma come loro Bebe Vio o Gregorio Paltrinieri, Filippo Ganna o Simone Barlaam, tutti si allenano per mesi, anni, per prepararsi alle Olimpiadi, tutti sacrificano momenti della vita personale per migliorare, per raggiungere l’obiettivo e, come nel loro caso, vincere un oro. Olimpico o paralimpico. Insomma, è un dato di fatto che un atleta è tale sia che sia normodotato sia che sia paralimpico ed è un dato di fatto che da un punto di vista sportivo non possano esservi discriminazioni e tutti sono sportivi allo stesso livello. Dunque, come mai questa diseguaglianza?

Perché i premi paralimpici sono inferiori a quelli olimpici

Il primo motivo, e la prima difesa per la differenza tra i premi a Tokyo, è beceramente economico. Purtroppo, piaccia o no, il mondo dello sport ruota attorno ai soldi e questi arrivano principalmente dai diritti tv e dalle sponsorizzazioni. Ed è un dato di fatto innegabile che l’interesse mediatico attorno alle Olimpiadi sia molto maggiore rispetto a quello attorno alle Paralimpiadi. I diritti tv costano molto di più perché c’è un’audience molto maggiore, così come sono molti più gli sponsor che sono disposti a pagare cifre importanti per le gare che vedono al via Federica Pellegrini o Gianmarco Tamberi, rispetto a quelli che sponsorizzano le Paralimpiadi. Forse non è giusto, ma è il libero mercato e dove ci sono più soldi si può premiare di più gli atleti. Insomma, nessuno griderebbe alla discriminazione guardando i guadagni di un Leo Messi rispetto a un Usain Bolt, eppure il gap è anche maggiore rispetto ai premi azzurri. Perché? Perché il mondo del calcio ha una visibilità e un giro d’affari molto maggiore rispetto all’atletica leggera e nessuno mette in dubbio che un calciatore venga pagato più di un corridore, o di uno sciatore.

Un’altra differenza sportiva, che però ha un contraccolpo anche economico, sono i numeri dei tesserati. Il Coni nel 2017 aveva circa 4 milioni e 700mila tesserati alle varie Federazioni, di contro il Comitato Paralimpico ha circa 70mila tesserati. Tesserati che significano sia un introito diretto nelle casse delle Federazioni e, dunque, dei Comitati olimpici, ma tesserati che significano anche un introito indiretto visto la platea più ampia cui si rivolgono le discipline sotto l’egida del Coni. Ed è stato lo stesso Luca Pancalli, presidente del Comitato Paralimpico, a sottolineare come la diversa situazione economica sia legata principalmente a una diversa strutturazione delle gare e delle manifestazioni. E qui si arriva al secondo punto.

Purtroppo, o per fortuna, vincere un oro olimpico resta molto più difficile

E il secondo punto è sportivo. A Tokyo 2020 erano presenti 4.403 atleti paralimpici, mentre quelli olimpici erano 11.656. Cioè più del doppio. E, purtroppo o per fortuna, al mondo gli atleti normodotati sono molti più rispetto a quelli paralimpici. Cosa significa ciò? Semplice, che da un mero punto di vista sportivo vincere una medaglia alle Paralimpiadi richiede meno incontri rispetto alle Olimpiadi. I conti sono presto fatti. E facciamo nuovamente l’esempio di Marcell Jacobs. In Italia i tesserati alla Fidal sono oltre 170mila, mentre gli atleti con disabilità in tutte le discipline sono 70mila. Questo significa che, fin da ragazzino, un atleta come Jacobs si è trovato a essere più forte di decine, centinaia e migliaia di atleti. Per arrivare a Tokyo 2020 il campione azzurro ha dovuto superare le selezioni nazionali, ottenere un tempo minimo sufficiente e, poi, a Tokyo qualificarsi nelle batterie, nelle semifinali e poi vincere la finale. Un numero di avversari che gli atleti paralimpici non hanno, come è evidente dai numeri che abbiamo riportato prima, paragonando uno sport, l’atletica, all’intero panorama paralimpico italiano. E questo è ancora più evidente raccontando due storie delle Paralimpiadi di Tokyo.

La prima riguarda proprio i 100 metri femminili. La gara dove l’Italia ha ottenuto una clamorosa tripletta con Sabatini, Caironi e Contrafatto. Ecco, nel nuoto c’era una gara dove l’Italia avrebbe potuto presentare al via tre atlete fortissime. Benedetta Pilato, Martina Carraro e Arianna Castiglioni avevano tutte ottenuto il tempo minimo per un posto alle Olimpiadi. Ma, visto l’alto numero di atlete al mondo, il regolamento olimpico prevede solo due atlete per nazione al via. E, così, nonostante a giugno avesse fatto il record italiano e il sesto tempo mondiale, Arianna Castiglioni non ha disputato la gara a Tokyo. E lo stesso è successo all’americana Annie Lazor, quarto tempo mondiale, ma terza atleta USA e, dunque, esclusa. Insomma, fossero state le Olimpiadi una tra Sabatini, Caironi e Contrafatto non sarebbe stata al via e l’Italia non avrebbe conquistato tre medaglie.

Ma non solo. Abbiamo parlato della concorrenza ed è qui che la differenza è evidente. Alle Paralimpiadi ci sono state gare dove si sono disputate direttamente le finali. Niente batterie, niente semifinali. Solo la finale. Come i 50 metri dorso maschili S1, dove l’azzurro Bettella ha conquistato il bronzo. Al via c’erano solo sette atleti. La gara corrispettiva alle Olimpiadi (i 100 metri dorso maschili) hanno visto disputarsi sei batterie, due semifinali e la finale, con l’azzurro Thomas Ceccon che ha chiuso al quarto posto, ai piedi del podio. In tutto 41 atleti. Questo significa che l’azzurro Ceccon ha prima dovuto conquistare il tempo minimo per qualificarsi alle Olimpiadi, poi essere tra i primi due azzurri come tempo per andare a Tokyo, infine ottenere uno dei 16 tempi migliori nelle batterie e poi conquistare la finale contro i 15 più forti nuotatori al mondo nella sua disciplina. Un percorso, da un punto di vista sportivo, ben più arduo dell’azzurra Bettella.

Il futuro paralimpico è roseo

Come si vede, le motivazioni a favore di un riequilibrio dei premi tra campioni olimpici e paralimpici e quelle a favore dello status quo sono valide e importanti tutte. È difficile trovare una risposta giusta alla questione senza rischiare di cadere in strumentalizzazioni, spesso politiche. È oggettivamente giusto chiedere parità di dignità per chi fa qualsiasi sport e in qualsiasi situazione, ma è altrettanto giusto ricordare la realtà sportiva ed economica di ogni sport. Quel che è certo, è che lo sport paralimpico sta crescendo velocemente, ottenendo anno dopo anno maggior visibilità e maggior dignità. Ed è da qui che si deve partire. Perché come ha ricordato Ambra Sabbatini dopo l’oro nei 100 metri, “sono un’atleta, non un caso umano”. Ma soprattutto è, e come lei tutti gli altri atleti paralimpici, un’atleta sempre. Eppure, come per gli sport meno seguiti mediaticamente, degli sport paralimpici ci si ricorda solo ogni 4 anni, con le Paralimpiadi, per poi finire nel dimenticatoio. Seguire, invece, le imprese nazionali e internazionali dei nostri campioni anche lontano dall’appuntamento a Cinque Cerchi darebbe quella visibilità e interesse necessario ad aumentare il giro d’affari e, di conseguenza, la possibilità di aumentare i premi.

Ma attenzione, perché il Comitato Paralimpico non sta fermo. Da un lato, infatti, si è poco parlato di una conquista fondamentale per i nostri atleti. Dal 2022, infatti, come succede per gli atleti normodotati, anche gli atleti paralimpici potranno entrare, a seguito di un bando di concorso, nei corpi militari. Questo significherà uno stipendio sicuro e strutture e tecnici per continuare ad allenarsi al meglio. Ma non solo, perché già ora il Comitato Italiano Paralimpico riconosce agli atleti che vincono la medaglia d’oro un assegno mensile pari a mille euro per i quattro anni successivi, a patto che gli sportivi proseguano l’attività agonistica e indossino almeno una volta a stagione la maglia azzurra. Qualora il campione paralimpico dovesse confermare il risultato (medaglia d’oro) nel corso delle successive edizioni dei Campionati del Mondo, viene garantita una progressione economica del valore dell’assegno fino a 1.500 euro al mese. Un assegno mensile maggiorato è assegnato anche alle medaglie d’argento e bronzo, mentre tutti gli atleti paralimpici ricevono un Assegno Mensile di Preparazione. Questo varia in funzione della categoria di appartenenza dell’Atleta e dell’anno di riferimento (è crescente dal primo anno dopo le Paralimpiadi fino al nuovo appuntamento paralimpico) e in base alla categoria parte da 200 euro (il primo anno) e arriva a 1000 euro l’anno delle Paralimpiadi.

Il futuro degli sport paralimpici in Italia, dunque, sembra sempre più roseo e più roseo appare anche il futuro degli atleti paralimpici. Un futuro che, però, parte dal presente. Perché un ultimo punto che non va scordato è che ormai da qualche anno la disabilità non è più il tabù che era in passato. E l’emblema è Bebe Vio, la campionessa di scherma che da anni è testimonial di diverse aziende. Certo, Bebe ha una verve e un carattere tale che la hanno fatta diventare un personaggio fin da Rio 2016, ma non è l’unico personaggio che Tokyo 2020 ci ha regalato. E una maggiore crescita dal punto di vista mediatico passa anche dalla crescita dell’interesse degli sponsor a legarsi agli atleti paralimpici. Un interesse che oggi c’è.

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