Art.27: rieducare il condannato. Un ruolo per le aziende

Per detenuti ed ex detenuti un impiego è necessario per realizzare quel percorso che permette il reale reintegro nella società. E le aziende e organizzazioni civili possono fare molto in questa direzione, in una relazione vincente per tutti.

La popolazione carceraria in Italia, al 31 Dicembre 2020, era di 53.364 persone, distribuiti in 189 istituti, di cui 2.255 donne. Del totale dei carcerati maggiorenni, 17.344 sono stranieri, circa il 32,5%.

Nelle carceri italiane sono rinchiusi più di diecimila detenuti oltre la capienza regolamentare. Vi è una carenza cronica di personale di polizia penitenziaria, medici e paramedici, educatori, psicologi, amministrativi. Altissimi i casi di suicidio e autolesionismo. (Fonte: Polizia penitenziaria)

L’art.27 della Costituzione italiana stabilisce con molta chiarezza che ‘La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.

Ma è impossibile, nel contesto prima descritto, realizzare il dettato costituzionale di rieducazione della pena. Tuttavia un ruolo fondamentale in questa direzione lo svolgono volantari e organizzazioni non profit che si impegnano tutti giorni per restituire dignità e prospettive di vita futura ai condannati. E lo giocano anche aziende private e imprenditori che offrono posti di lavoro.

Il lavoro come occasione di rinascita

Di questo si è parlato nel corso dell’evento digitale “Carcere, Lavoro, Libertà!” promosso da Digital360, in collaborazione con Pensiero Solido, Sesta Opera San Fedele e The Good in Town, che oltre ad aver avviato delle iniziative in questa direzione ha voluto richiamare l’attenzione su questo tema anche di altre aziende.

“Per Digital360, che è società benefit, – premette il presidente Andrea Rangone – fare inclusione lavorativa con soggetti fragili è una delle finalità di beneficio comune che ci siamo dati. Quello delle persone in carcere è un tema delicato, complicato e scomodo per certi versi, ma di cui dobbiamo occuparci, soprattutto noi imprenditori che siamo per natura carichi di ottimismo e di coraggio, dobbiamo assolutamente muoverci per offrire una nuova chance di vita a detenuti ed ex detenuti attraverso il lavoro’.

Il lavoro è una possibilità di riscatto e di reintegro nella società per i detenuti, è la possibilità di ‘mantenersi’, ed è anche un’opportunità per le stesse aziende. Come sottolinea Pietro Buffa, Provveditore Regionale Lombardia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: ‘Il carcere è come un congelatore. Mai detenuti sono persone capaci di produrre e di vivere, all’interno del carcere si trovano competenze inaspettate, precisione e dedizione al lavoro. C’è gente che aspetta di essere attivata anche imprenditorialmente. Dare una mano non è solo ‘buonismo’, ma approfittare della professionalità e rimettere al centro le persone’.

Legge Smuraglia

Il concetto di lavoro in carcere è completamente cambiato da qualche anno a questa parte grazie alla Legge Smuraglia, un provvedimento molto articolato che ha l’obiettivo di dare concretezza al dettato dell’art.27 della Costituzione proprio perché supera il vecchio concetto di lavoro carcerario per gettare le basi di un reinserimento lavorativo della persona ancora detenuta. “La legge 193 del 2000, cosiddetta legge Smuraglia, che ha influito anche sulle più recenti riforme dell’Ordinamento penitenziario, ha rivoluzionato l’approccio al lavoro in carcere, facilitando il lavoro delle persone detenute anche attraverso dei sistemi di incentivi e vantaggi fiscali e contributivi per le aziende – dice Francesca Romana Valenzi, Direttore dell’Ufficio Detenuti e Trattamento presso il P.R.A.P. della Lombardia. – Le persone detenute scelgono di lavorare, il lavoro non deve essere afflittivo, ma offerto alle stesse condizioni di mercato che si avrebbero fuori, con un contratto, i contributi, le ferie, ecc.”.

Il ruolo del terzo settore

Tra le organizzazioni non profit che nel milanese si occupano da molto tempo di aiutare i detenuti c’è Sesta Opera San Fedele, che ha cominciato a offrire i suoi servizi di volontariato penitenziario nel 1923 nel carcere di San Vittore. Oggi è presente in 7 carceri tra Milano e Cremona, dove oltre ad offrire assistenza morale e materiale, si occupa di formazione, di inserimento lavorativo, di creare un ponte tra dentro e fuori. “Il centro della nostra azione è la dignità della persone detenute e tutto quello che può aiutare il loro reinserimento nella società, creiamo un percorso su misura con accompagnamento per nuovo inizio – sottolinea Guido Chiaretti, Presidente – Anche nel difficile periodo della pandemia abbiamo avviato tre progetti in questa direzione. Lavoriamo insieme alle istituzioni, abbiamo attivato protocolli specifici per rapporti col Ministero della Giustizia e per lavorare con Magistrati. Crediamo in una giustizia inclusiva”.

“Il lavoro in carcere è un’idea vincente per tutti e ha grande importanza anche per le famiglie, i carcerati sono un costo enorme per loro. – sottolinea Marco Girardello, HR Manager BEE4, impresa sociale nel carcere di Bollate. – Invece, grazie al lavoro possono guardagnare il loro stipendio e contribuire a sostenere la propria vita in carcere, ripagare le spese legali e aiutare la propria famiglia. Nono sono più un peso. Inoltre, la qualità del lavoro fatto dai detenuti è altissima, investono tutto nel lavoro ed escono da lì pronti a riprendersi la vita perché hanno fatto un investimento sul loro futuro’.

Andrea Canteri, detenuto che lavora con BEE4, in carcere si sta laureando, si è specializzato nel marketing e ha cominciato a lavorare con aziende esterne. “Con il classico lavoro carcerario non è possibile riallineare la tua vita, lavorando con le aziende sì, anche perché sono pagato normalmente, posso risarcire lo stato, la parte civile, sostenere la mia famiglia, sono produttivo. Il carcere si trasforma in opportunità generativa, mi hanno formato nella comunicazione e marketing, nel mio futuro vedo opportunità completamente diverse e mi sto laureando”.

Valore sociale ed economico

Assumere e far lavorare persone detenute presenta dei vantaggi per le aziende, di natura fiscale e contributiva, ma non solo. Le aziende che già da tempo hanno avviato percorsi di questo tipo spesso ci sono arrivate per caso perchè avevano difficoltà a reperire determinate competenze sul mercato e hanno allora scelto di formare le proprie risorse umane e avviare percorsi con i detenuti.

E’ il caso degli esperti di sicurezza informatica che sono stati formati nel carcere di Bollate, alcuni dei quali sono oggi degli ethical hacker di altissimo livello. Lorenzo Lento, esperto informatico, da oltre 20 anni è docente volontario presso la Cisco Networking Academy della Casa di reclusione di Bollate e ha fondato la Cooperativa che fa lavorare detenuti ed ex detenuti che sono riusciti a conseguire la certificazione Cisco in carcere. “Oramai la validità di questi percorsi è indiscutibile. Queste persone sono capaci di dare il massimo nel momento della formazione e anche quando lavorano, molte multinazionali li prendono al loro interno. Con la nostra cooperativa stiamo lavorando per Ente spaziale europeo, per grandi aziende, possiamo dare un servizio h24, e stiamo estendendo l’esperienza ad altre carceri”.

Una esperienza analoga è quella di Linkem, che ha cominciato ad avvalersi del lavoro con un progetto nel carcere di Lecce. “Avevamo bisogno di recuperare i vecchi router anche per un tema di sostenibilità – racconta Davide Rota, amministratore delegato Linkem e Tiscali (dopo la fusione dei due gruppi). “Le società con cui avevamo lavorato fino a quel momento non ci soddisfavano, così abbiamo pensato di recuperarli in carcere e siamo partiti a Lecce, abbiamo fatto noi un piccolo corso a 12 ragazzi per ricondizionare apparecchi, un’esperienza eccezionale, si sono rivelati bravissimi e li abbiamo assunti. Poi abbiamo aperto a Roma, casa circondariale femminile di Rebibbia, dove 12 detenute si sono specializzate nel recupero dei vecchi modem e ora faremo a Cagliari. Quello che noi abbiamo trovato lavorando con i detenute e detenuti è grande affidabilità e competenza, i ragazzi in carcere riparano il 90% dei router, prima raggiungevamo il 12%. Sono bravissimi perché sono motivati e per loro questo lavoro fa la differenza, ma questo attaccamento al lavoro rimane anche dopo il carcere, noi ne abbiamo assunto diversi. In tutto questo c’è una grossa valenza economica oltre che sociale, soprattutto in tempi di lockdown e di carenza di materie prime, noi abbiamo affrontato grazie ai nostri due laboratori la crisi dei chips. Le aziende possono trovare anche molta risposta nelle amministrazioni carcerarie, ma devono anche recarsi fisicamente dentro il carcere. E’ molto importante per capire tante cose”.

Se vuoi approfondire il tema e capire come la tua impresa può supportare questi progetti di reintegrazione sociale, contattaci a info@thegoodintown.it

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