Nell’era della velocità, e di reputazioni aziendali che sembrano a volte nascere in una notte, fa impressione pensare che Bureau Veritas è prossima ai duecento anni di vita.
La multinazionale francese, infatti, è stata fondata nel 1828, offrendo servizi di controllo, ispezione e certificazione di qualità, sicurezza, ambiente e responsabilità sociale. L’azienda opera in numerosi settori, tra cui industriale, marittimo, costruzioni, energia, trasporti e alimentare.
La sua reputazione nel mondo della sostenibilità aziendale è altissima, decisamente solida, basata su quelle garanzie che solo il tempo può dare.
Anche in Italia, Bureau Veritas Italia (che ha lo Statuto di società benefit) ha una presenza consolidata, un’organizzazione di circa 700 persone (che superano il migliaio, considerando le altre società del gruppo in Italia) e offre una vasta gamma di servizi, tra cui certificazione di qualità e sicurezza per aziende e prodotti; verifiche ambientali legate alla sostenibilità; formazione in ambiti quali sicurezza sul lavoro, gestione della qualità, e aggiornamenti normativi; naturalmente certificazioni legate alla parità di genere e alla DEI. Un ‘catalogo’ in continua evoluzione.
Proprio di questo abbiamo voluto parlare con Claudia Strasserra, Chief Reputation Officer presso Bureau Veritas Italia, con l’intenzione di capire di più su come questa azienda applica al suo interno le buone pratiche per l’inclusione. Ma alla fine abbiamo parlato soprattutto di ‘cultura aziendale’.
Claudia, ci puoi parlare dell’importanza dell’inclusione e della diversità nella vostra azienda?
L’inclusione e la diversità sono fondamentali per Bureau Veritas. Fanno parte dei nostri valori centrali: fiducia, responsabilità, ambizione e umiltà, essere aperti e inclusivi. E’ la sintesi della nostra cultura aziendale, essendo presenti in 140 paesi con 82.000 dipendenti, è necessario mantenere una cultura aziendale solida e coesa. Vogliamo che ognuno si senta parte di un gruppo orientato ad uno specifico purpose (“Shaping a World of Trust”) e non un insieme di persone casualmente a libro paga della stessa azienda: per farlo serve una cultura aziendale chiara e una comunicazione costante che la tenga viva, in tutte le nostre sedi.
Quali sono le principali sfide che avete affrontato sul tema della parità di genere?
In Italia, il nostro focus principale è proprio la parità di genere, un tema su cui abbiamo fatto, e ancora faremo, tanto. La parità di genere ha un orizzonte 5-10 anni, nel senso che purtroppo non si riesce a girare un interruttore e azzerare il divario dall’oggi al domani.
Le donne rappresentano il 47% della nostra forza lavoro, ma la loro presenza è più forte nelle funzioni di staff rispetto a quelle tecniche e manageriali, dove facciamo ancora fatica. Detto ciò, il 43% delle nostre unità organizzative è guidato da una donna, il che è un ottimo segno. Ci siamo inizialmente certificati per la parità di genere come Bureau Veritas Italia, e poi abbiamo certificato altre quattro società del gruppo.
Il cantiere della parità di genere è sempre aperto: stiamo lavorando sugli stereotipi e sul linguaggio, perché è la cultura che permette di agire il cambiamento. E poi c’è la questione del divario retributivo, non possiamo abbassare la guardia. Il fatto di essere certificati, di avere un sistema di gestione, ci porta con attenzione maniacale a misurare i nostri indicatori e a fare delle progettualità.
Parliamo di altre forme di diversità. Come affrontate la diversità intergenerazionale?
Il dialogo intergenerazionale è un’altra sfida importante. Abbiamo creato un ERG (Employee Resource Group) dedicato a questo tema, in cui le persone si confrontano con l’obiettivo di fare proposte all’azienda, poiché crediamo che le diverse generazioni abbiano molto da offrire l’una all’altra. Uno dei nostri obiettivi è abbattere gli stereotipi legati all’età, come l’idea che i giovani siano sempre più tecnologici e i più anziani meno flessibili. Pensiamo che ogni persona, indipendentemente dall’età, abbia caratteristiche uniche da condividere.
E per quanto riguarda le persone con disabilità?
Abbiamo avviato progetti per l’inserimento lavorativo di persone con disabilità, anche se non è sempre stato facile. Un caso è andato molto bene, un altro meno, ma non ci arrendiamo. Crediamo molto nella collaborazione con le associazioni specializzate per imparare e migliorare. Tra l’altro è stata pubblicata di recente una best practice a livello italiano, la UNI/PdR159 sull’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, con la quale ci stiamo confrontando. Questo è un po’ il nostro metodo, visto che siamo un organismo di certificazione e viviamo di norme tecniche, norme ISO, norme UNI, preferiamo sempre partire da queste e le applichiamo al nostro interno. Così è stato per la best practice di riferimento UNI/PdR125 sulla parità di genere, così ora ci stiamo confrontando con la UNI/PdR 159.
Come affrontate la questione LGBTQ+?
Su questo tema delicato abbiamo fatto molto negli anni tanto che una nostra collega si è sentita così libera da annunciare, durante un webinar, le nozze imminenti con la sua compagna! Questo annuncio ci ha riempito di orgoglio ed è stata la conferma che nel tempo stiamo creando un ambiente in cui le persone si sentono libere di amare chi vogliono senza sentirsi giudicate da nessuno! Stiamo anche gestendo assunzioni di persone in transizione di genere e familiarizzando con il concetto di Carriera Alias per gestire al meglio queste ridefinizioni, e collaboriamo con AGEDO, un’associazione di genitori di persone LGBTQ+, per sensibilizzare i nostri dipendenti, anche perché alcuni di loro potrebbero avere figli che stanno scoprendo la propria identità di genere o sessualità. Continuiamo a parlarne e a promuovere la cultura dell’inclusione, ma senza forzare nessuno.
Invece, c’è qualche aspetto di ‘diversità’ in cui diciamo ‘restate in silenzio’?
Sì, per esempio, non parliamo di religione ma ci piacerebbe molto farlo. Stiamo studiando il mood migliore per affrontare questo tema, e magari anche per celebrare le festività di tutti, come il Natale, l’Hanukkah o il Ramadan, per arricchirci delle diverse culture, favorire il confronto tra le religioni senza correre il rischio di urtare la sensibilità di qualcuno.
Quali sono le vostre sfide future?
Le sfide principali sono ancora legate alla parità di genere e all’inserimento delle persone con disabilità. Sono percorsi lunghi e richiedono tempo e dedizione. Tuttavia, sono convinta che con l’aiuto del terzo settore e la nostra volontà di imparare, riusciremo a fare progressi significativi.
Siamo tutti armati di buona volontà, e dobbiamo ancora imparare molto, specie sulle disabilità: qui l’aiuto grande è quello che arriva dalla collaborazione con le associazioni, che siano associazioni rappresentative delle persone con disabilità o di chi lavora con loro, associazioni rappresentative delle donne o altro, noi impariamo da queste associazioni, che ci trasferiscono know-how, cultura, linguaggio.
Siete una grande aziende e lavorate con tantissime aziende. Dal vostro osservatorio, vedete cambiamenti nel ruolo dell’azienda nella società?
Le aziende private, grandi o piccole, sono diventate una “scuola” continua per la crescita personale dei dipendenti. Se in passato si lavorava solo per portare a termine i compiti assegnati, oggi l’ambiente di lavoro è anche un luogo di formazione costante, simile all’educazione civica. Le grandi aziende, e si spera anche le piccole, investono molto nella cultura aziendale, influenzando profondamente i dipendenti e di conseguenza la società. A me personalmente, sentirmi parte di una cultura inclusiva e ambiziosa ha plasmato la mia sensibilità e motivazione, contribuendo alla mia crescita personale. Mi auguro che possa essere così per tutti.
Un rapporto recente di Sodalitas, organizzazione con cui collaboriamo anche come firmatari della Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro, ha dimostrato che le grandi imprese riconoscono il loro ruolo cruciale nel promuovere equità e sostenibilità, accanto al governo. Questo segna un’evoluzione del ruolo delle aziende, che oggi non puntano solo al profitto, ma si impegnano anche a generare un impatto positivo per i loro stakeholder. Le società benefit, come Bureau Veritas Italia, sono un esempio di come sia possibile bilanciare il profitto con un obiettivo sociale più ampio, rendendo il business una forza per il bene comune.