Secondo l’Organizzazione mondiale nel mondo la demenza e l’Alzheimer sono la settima causa di morte. Non in maniera diretta, come è per un infarto. Si può ‘convivere’ anche a lungo con questa grave malattia che colpisce le funzioni cerebrali, in particolare la memoria e le funzioni cognitive, rendendo la vita molto difficile per la persona colpita e i suoi familiari. Il decorso della malattia di Alzheimer è unico per ogni individuo, e la morte arriva per complicazioni legate all’ indebolimento del sistema immunitario e al deperimento fisico, che aumenta il rischio di infezioni, soprattutto ai polmoni.
Nel mondo, secondo i dati dell’OMS, oltre 55 milioni di persone convivono con la demenza, una delle principali cause di disabilità e non autosufficienza tra le persone anziane. Entro il 2030 si stima saranno 78 milioni le persone colpite.
Cosa si può fare per questa patologia che la momento non è nemmeno possibile diagnosticare con certezza?
Come riportano le linee guida WHO (2019) RISK REDUCTION OF COGNITIVE DECLINE AND DEMENTIA, uno stile di vita sano, nel corpo e nella mente, aiutano, benchè in effetti non si conoscano le cause dell’Alzheimer e altre demenze. Ma non esistono delle cure attualmente, ma solo farmaci sintomatici, capaci di ridurre i sintomi della malattia, dall’agitazione al disorientamento, senza però agire con la malattia sottostante.
La ricerca scientifica sta però facendo grandi passi avanti in questi ultimi anni: combinazioni di farmaci, vaccini e terapia genica rappresentano la prossima generazione di trattamenti per la patologia.
Farmaci di nuova generazione
Al momento sono in fase di sperimentazione clinica più di 100 diversi principi attivi.
Una delle più incoraggianti innovazioni è il Lecanemab, un anticorpo monoclonale che lo scorso gennaio ha ricevuto l’approvazione dall’FDA statunitense (l’agenzia di riferimento per l’approvazione dei farmaci). Il farmaco, a quanto pare, è una vera rivoluzione, perché capace di modificare l’evoluzione naturale della malattia, rallentandone il decorso. Un effetto visibile nella riduzione della quantità di placche di proteina amiloide – un segno rivelatore della malattia – nel cervello dei partecipanti a uno studio clinico.
Il lecanemab, commercializzato negli Stati Uniti con il nome di Leqembi, deve essere ancora molto migliorato e comporta un regime di trattamento difficile. Deve essere infuso in vena da un infermiere professionista, inoltre, può causare gonfiori ed emorragie cerebrali potenzialmente letali, le persone che lo assumono devono essere monitorate regolarmente.
Tuttavia, nello studio condotto il trattamento ha portato a un rallentamento del 25% del declino cognitivo, sufficiente a generare forti entusiasmi nella comunità scientifica.
Il fattore tau
Un’altra strada promettente è quella del ‘cocktail di farmaci‘.
La malattia di Alzheimer si accumulano nel cervello delle placche di proteine amiloidi-β, che nonostante qualche tentativo immunitario, crescono in numero e dimensioni, e passano inosservate per anni o addirittura decenni, finché non causano l’accumulo di un’altra proteina, la tau, che raggiunge livelli tossici e si diffonde nel cervello sotto forma di grovigli. Gli scienziati stanno ancora cercando di capire esattamente come avviene questa catena di eventi, ma i sintomi dell’Alzheimer cominciano a emergere solo quando la situazione è molto avanti e grovigli di tau si estendono a macchia d’olio.
Finora le terapie individuali dirette contro la tau non hanno dato buoni risultati negli studi. Ma gli scienziati pensano che i farmaci che distruggono la tau potrebbero funzionare meglio se abbinati a una terapia anti-amiloide.
Finora questa era solo un’idea, ma ora sembra che si stia avviando la sperimentazione: l’anno scorso è stato lanciato un primo studio internazionale noto come Tau NexGen, che coinvolge 168 partecipanti, tutti destinati a sviluppare il morbo di Alzheimer in giovane età – in genere tra i 30, i 40 e i 50 anni – perché affetti da una mutazione in un gene che li porta a produrre in eccesso l’amiloide-β.
Questo studio, che ha obiettivi di prevenzione della malattia, durerà alcuni anni prima di poter dare i primi risulati, ed è il primo nel suo genere. Molte aziende farmaceutiche e biotecnologiche stanno facendo ricerche su terapie anti-tau preventive, alcune sotto forma di anticorpi, altre utilizzando altre piccole molecole o nuovi approcci genetici per bloccare la produzione di forme patologiche di tau.
Le sperimentazioni di terapie combinate e di anticorpi monoclonali come lecanemab presentano alcuni inconvenienti: sono complesse e costose da gestire. E di conseuenza, saranno terapie costose una volta sul mercato: il lecanemab sarà commercializzato a 26.500 dollari per un anno di trattamento.
Vaccini e terapie geniche
Altri approcci per arginare il morbo di Alzheimer che si stanno sperimentando mirano a fornire molecole utili al cervello attraverso vaccini, vettori virali o trasfusioni di sangue.
Attualmente esistono diversi vaccini anti-tau e anti-amiloide in preparazione o in fase clinica iniziale. Sono progettati per stimolare il sistema immunitario del cervello e sono stati concepiti principalmente per prevenire la malattia o per rallentare la progressione della malattia iniziale. Gli scienziati stanno anche cercando di sviluppare vaccini per attaccare sia la tau che l’amiloide-β.
Altri ricercatori puntano sulla terapia genica per sconfiggere le forme di Alzheimer causate da mutazioni genetiche. La terapia genica, tuttavia, non sarà adatta a tutti, perché le mutazioni genetiche note determinano solo una piccola parte dei casi di Alzheimer.
Cure alternative
Alcuni ricercatori hanno sperimentato con successo con metodi meno tecnologici. Ad esempio, un ampio studio accuratamente controllato ha dimostrato che 18 mesi di esercizio aerobico o di stretching hanno arrestato il declino cognitivo in persone con decadimento cognitivo lieve, evidenziando il valore del mantenimento di un regime di esercizio durante il trattamento farmacologico.
Molto importante è anche un ramo di cure chiamato ‘digital therapeutics’ basato sull’uso di software studiati ad hoc che, da soli o abbinati a farmaci, aiutano a rallentare, e in alcuni casi bloccare, il decadimento cognitivo. E’ quello che fa l’azienda italo-tedesca MindHead.
È troppo presto per dire quali di queste potenziali nuove terapie si riveleranno efficaci, ma i ricercatori convengono nel sostenere che il trattamento dovrà essere personalizzato: individui in stadi diversi della malattia avranno bisogno di terapie diverse.
Foto di Milad Fakurian