Ddl Zan bocciato al Senato. Cosa voleva e perché non è passato

E' passato quasi un anno dal 4 novembre 2020, quando il ddl Zan è stato approvato dalla Camera e inviato al Senato e adesso, dopo mesi di discussioni e polemiche, siamo a niente di fatto.

Non è legge il Ddl Zan e non è legge per 23 voti. Voti mancati al centrosinistra per far approvare la legge che porta il nome dell’onorevole Zan e che è stata bocciata al Senato con 154 voti contro 131, più due astenuti. Una vittoria per il centrodestra, che ha votato compatto, nonostante qualche distinguo, mentre a centrosinistra il dito è puntato contro Italia Viva, accusata di aver votato contro la legge sfruttando il voto segreto. Ma cosa è successo e cosa prevedeva la legge?

L’Articolo 1 del ddl Zan e l’identità di genere

Il primo scontro in Parlamento e nel dibattito degli scorsi mesi partiva subito fin dall’articolo uno del Ddl Zan. L’articolo 1, infatti, definisce le categorie che subiscono violenza e discriminazione in virtù di quello che sono e non di quello che fanno. Vengono, dunque, contrastate le discriminazioni per il sesso, che sia biologico o anagrafico; per genere, cioè qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; per orientamento sessuale, cioè l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; e per identità di genere, cioè l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso.

L’opposizione a questo articolo ricade sul termine “identità di genere”, vista come la possibilità di introdurre nell’ordinamento giuridico italiano la cosiddetta teoria gender, che secondo alcuni vorrebbe cancellare le identità sessuali per imporre ideologicamente un genere fluido, dove non vi siano più uomini o donne. Un’accusa palesemente errata, visto che il ddl Zan sottolineava come l’identità di genere valesse “ai fini della presente legge” e, dunque, non avesse alcun potere di modificare l’interpretazione di leggi già esistenti o future. Ma, nonostante ciò, il concetto di identità di genere è stato uno dei punti di forza della propaganda del centrodestra, in particolar modo di Lega e Fratelli d’Italia, per contrastare il Ddl Zan.

L’Articolo 2 del ddl Zan: la discriminazione e la violenza

Meno divisivo, anche perché era difficile trovare motivi di contrasto, l’articolo 2, anche se anche in questo caso si è tentati più che di contestare l’articolo di evidenziarne l’inutilità, in quanto i reati descritti sarebbero già previsti. In particolare l’articolo 2 prevedeva la modifica dell’articolo 604-bis del codice penale. Il codice penale, infatti, oggi prevede che sia “vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, mentre con il ddl Zan avrebbe recitato “vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.

In questo caso, gli oppositori dal ddl Zan paventavano un attacco alla libertà di opinione, sottolineando che ogni opinione contraria ai diritti Lgbtq+ sarebbe stata punibile per legge. In realtà, come si nota, l’articolo del codice penale parla di istigazione e violenza, mentre è esclusa la propaganda, cioè il promuovere un’idea, giusta o sbagliata che sia. Come oggi in Italia si può essere a favore o contro il cattolicesimo o la Chiesa cattolica, nonostante nell’articolo in questione si parli di motivi religiosi, allo stesso modo domani si sarebbe potuti essere a favore o contro i matrimoni gay senza incorrere in procedure penali. Diverso è se si istiga a usare violenza o si discrimina un cattolico o, appunto, un omosessuale.

L’Articolo 4 del ddl Zan: la libertà d’espressione

Per rimarcare nuovamente la volontà di punire le discriminazioni e le violenze e non imporre un’ideologia o limitare la libertà di pensiero, l’articolo 4 del Ddl Zan prevedeva che “ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Tradotto, come già detto prima, la legge che è stata bocciata in Parlamento non vietava opinioni o idee contrastanti i diritti (legittimi o presunti) della comunità Lgbtq+, ma anzi definiva queste opinioni legittime, purché non si traducessero in atti discriminatori o violenti.

L’Articolo 7 e la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia

Se i restanti articoli del Ddl Zan non avevano creato polemiche, non così per l’articolo 7 che introduceva la “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”. Una proposta che è subito stata violentemente contrastata dal centrodestra, ma soprattutto da alcune associazioni “pro vita” o dei genitori, visto che prevedeva (come avviene per esempio per la Giornata della Memoria) iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi omotransfobici all’interno delle scuole. Anche in questo caso, quello che doveva essere un passo avanti per eliminare i pregiudizi e, di conseguenza, le discriminazioni, è stato visto ancora in volta come la volontà di introdurre nelle scuole le famigerate teorie gender. Addirittura alcuni oppositori al Ddl Zan paventavano la possibilità che con la legge si sarebbe potuto introdurre nelle scuole la cosiddetta identità “alias” per gli studenti transgender, cioè la possibilità per uno studente di scegliere il nome da utilizzare a scuola in base alla sua identità di genere. Cosa, invece, non presente della legge proposta.

La torta riporta il numero di vittime di episodi di omofobia divisi per tipologia dal 2013 a oggi. Fonte: https://www.omofobia.org/

E ora, cosa succede?

Come detto, in Parlamento la spaccatura è stata netta. Non solo tra la destra contraria alla legge e il centrosinistra favorevole, ma anche all’interno dei due gruppi. Da un lato, infatti, sul banco degli imputati è salito Matteo Renzi e la sua Italia Viva, colpevoli secondo Pd e M5S di aver votato contro il Ddl Zan sfruttando il voto segreto. Dall’altro, invece, si spacca nuovamente Forza Italia, già alle prese con i malumori di Brunetta, Gelmini e Carfagna. Il senatore Elio Vito ha infatti lasciato il suo incarico il suo incarico di responsabile del dipartimento Difesa e sicurezza di Forza Italia. “La cronaca di questi mesi, è purtroppo piena di episodi di violenza ai danni di persone Lgbt, picchiati perché camminavano mano nella mano, si baciavano, portavano una borsa arcobaleno. Per questo se Fi dovesse votare il non passaggio agli articoli del ddl Zan, una legge che contrasta proprio odio, discriminazioni e violenze, a malincuore, ma per coerenza, non potrei più mantenere l’incarico affidatomi da Berlusconi” le sue parole.

Chiuso il capitolo del ddl Zan, ora si dovranno aspettare almeno sei mesi prima che si possa presentare un nuovo disegno di legge sull’argomento. Il che, contando le forti divergenze all’interno del Parlamento e i tempi tecnici dell’iter parlamentare, vuol dire che almeno per un paio d’anni non ci sarà in Italia una legge che difenda la comunità Lgbtq+ dalle discriminazioni e dalle violenze. Basti pensare che è passato quasi un anno dal 4 novembre 2020, quando il ddl Zan è stato approvato dalla Camera e inviato al Senato. Da quel momento sono passati mesi di discussioni, interventi in piazza, ingerenze esterne – come quella del Vaticano – e centinaia di emendamenti che ne hanno bloccato la discussione. Fino a oggi, quando non si è neanche entrato nel merito dei vari articoli che abbiamo descritto, ma dove la votazione ha deciso il non passaggio alla discussione degli articoli.

Inoltre, sarà impossibile ripresentare una legge uguale a quella bocciata oggi e, dunque, quello che si prospetta è quello che sperava Matteo Salvini da tempo. Un compromesso al ribasso dove, come ha dichiarato il leader della Lega, “siano lasciati fuori i bambini, la libertà di educazione, la teoria gender e i reati di opinione”. Tutte cose che, come abbiamo visto, nel ddl Zan non c’erano. Ma è stato bocciato lo stesso. Da un Parlamento che, con gli interventi che passavano dalla “teoria gender” alla confusione tra “outing” e “coming out”, ha dimostrato di non sapere neppure di cosa stesse parlando. E votando.

Foto di copertina Christian Sterk on Unsplash

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