LGBTQ+, il significato di una sigla che racchiude tante realtà

Equità, inclusione, rispetto passano anche dalle parole

Giugno è il Pride Month, mese dell’orgoglio LGBTQ+, cioè il mese dedicato a combattere i pregiudizi e promuovere l’uguaglianza per le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali/transgender e queer, con il simbolo + che indica tutti gli altri orientamenti sessuali non eterosessuali e le identità non cisgender. Come si nota stiamo parlando di una serie di termini spesso sconosciuti ai più, che possono confondere o venir confusi e, soprattutto, che possono essere strumentalizzati proprio perché la maggior parte delle persone non sa di cosa si stia parlando. Cerchiamo, quindi, di fare un po’ di chiarezza sul mondo LGBTQ+ e tutti quei termini che possono venir fraintesi.

Outing e Coming out non sono sinonimi nella comunità LGBTQ+

Può sembrare l’errore più banale e insignificante, eppure la confusione che molti, compresi ahimè tantissimi giornalisti, fanno tra coming out e outing ha un valore che va oltre l’errore lessicale. Perché la differenza è concreta e da un punto di vista psicologico e sociale è decisivo per chi non è eterosessuale o cisgender.

Coming out

Se un ragazzo o una ragazza va dai propri genitori e dichiara la propria omosessualità, allora fa coming out. Tradotto letteralmente “venire fuori”, cioè confessare agli altri il proprio orientamento sessuale. Prendere la decisione di rendere pubblico il proprio orientamento è una scelta difficile, che passa da un lungo conflitto interiore, consci che “confessare” la propria omosessualità cambierà la propria vita. E il fatto che già si parli di “confessione” è una violenza linguistica, perché si confessa un peccato o un reato, e dunque un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità già viene visto come un peccato, se non addirittura un reato. Quindi fare Coming out è un momento fondamentale nella vita di una persona LGBTQ+ ed è un momento che quella persona sceglie e decide.

Outing

L’Outing, invece, non solo è un termine diverso, ma è anche una violenza vera e propria commessa nei confronti di chi ha un orientamento sessuale “diverso”. Perché l’outing non lo fa la persona lesbica, gay, bisessuale, transessuale o queer, ma indica la rivelazione pubblica dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere di qualcuno a terzi. Tradotto: è quando un’altra persona rende pubblico l’orientamento sessuale di un’altra persona, senza che questa voglia che il suo orientamento sessuale sia pubblico. Capita se un professore chiama i genitori di uno studente o di una studentessa per dire loro che il figlio o la figlia ha atteggiamenti omosessuali, capita tra i personaggi famosi se un altro personaggio ne dichiara l’orientamento sessuale in un’intervista, per esempio. Ma, oltre alla violenza implicita nel rendere pubblica una questione prettamente privata, capita anche che l’outing sia falso, perché magari l’orientamento sessuale reso pubblico è solo apparente e non reale. Questo spesso capita a scuola, tra compagni, quando alcuni ragazzi o ragazze diffondono la voce che un compagno o compagnia sia gay o lesbica, magari solo per degli atteggiamenti che vengono fraintesi, o ancor più semplicemente come forma di bullismo. Insomma, il primo passo è capire che fare coming out è una cosa, fare outing è tutt’altro.

Gender, cioè quando una parola viene usata troppo spesso a sproposito

La questione dell’identità di genere è diventata prioritaria nel dibattito politico degli ultimi anni, ma come spesso capita ha assunto visioni spesso distorte rispetto a quello che è il reale significato di gender. L’identità di genere è il modo in cui gli individui percepiscono sé stessi e il modo in cui fanno riferimento alla propria persona e può essere cisgender (cioè nasci col corpo maschile e ti percepisci uomo, nasci col corpo di donna e ti percepisci donna), o transgender, cioè quando una persona si discosta dal sentirsi appartenente al suo sesso alla nascita. E qui iniziano i fraintendimenti e la confusione. In primo luogo, molti confondono l’identità di genere con l’orientamento sessuale.

Uomini gay non per forza si sentono donne, così come donne lesbiche non devono sentirsi uomini. Essere transgender è diverso dall’essere omosessuale o bisessuale, e si può avere un’identità di genere diversa da quella assegnata biologicamente alla nascita ed essere eterosessuali. Ma è anche diverso rispetto all’essere transessuale. Alcune persone transgender non si identificano come transessuali e viceversa. Transessuali, infatti, sono quelle persone che hanno cambiato o intendono cambiare i propri corpi con diverse metodologie mediche.
Restando sempre nell’ambito del gender esiste un altro concetto spesso usato a sproposito. Parliamo della fluidità, o bigender. Anche in questo caso, da un lato viene troppo spesso confuso con la bisessualità, dall’altro viene visto da chi porta avanti il concetto di “teoria gender” come la volontà di qualcuno (istituzioni, Stato, Poteri forti) di confondere la sessualità dei bambini introducendo il concetto che non esistano maschi e femmine. In realtà la fluidità implica un’evoluzione costante della sessualità di una persona che non riesce a definirsi costantemente né uomo né donna, con un approccio appunto fluido, cioè che cambia, della propria identità di orientamento sessuale, dell’identità di genere e del ruolo di genere. Anche in questo caso non si deve confondere il concetto di fluid gender con quello di agender (non-binary), cioè una persona che non si considera appartenente ad alcun genere specifico e che può sentirsi più appartenente a un’identità di genere o all’altra in diversi momenti della vita. Agender che, va ribadito, riguarda l’identità di genere e non l’orientamento sessuale e che non va confuso a sua volta con l’asessualità, cioè persone che non provano attrazione sessuale né nei confronti di uomini né di donne.

Giovani a una parade LGBTQ+

Bisessualità, l’orientamento che più disorienta

Nel bailamme degli orientamenti sessuali e delle identità di genere un capitolo a parte merita la bisessualità. Merita un capitolo a parte per diversi motivi, il primo dei quali sicuramente è il pregiudizio che i bisessuali ricevono sia dagli eterosessuali sia dagli omosessuali. Le persone bisessuali vengono viste come fortemente promiscue, indecise, ambigue. I bisessuali sono soggetti a sperimentare da un lato l’omofobia e dall’altro il monosessismo, cioè la convinzione che le persone siano solo eterosessuali, lesbiche o gay. Questo significa, nei fatti, una doppia discriminazione, sia all’interno della comunità eterosessuale, sia in quella lesbica e gay, e arriva ad assumere la forma del cosiddetto fenomeno della bicancellazione, cioè il rifiuto dell’esistenza della bisessualità, orientamento che viene negato o trattato come illegittimo. La bisessualità, in realtà, e semplicemente l’attrazione sessuale e affettiva verso persone di entrambi i sessi/generi. Ed è un orientamento sessuale, non un’identità di genere e, dunque, non va confusa né con il cosiddetto fluid gender né con il bigender, cioè persone che contemporaneamente si possono sentire sia uomini che donne in modo stabile nel tempo.
Questo è particolare, perché secondo diverse ricerche il gruppo che si autoidentifica come bisessuale è il più esteso all’interno della comunità LGBTQ+, con le ricerche che stimano che il 3,9% della popolazione adulta statunitense si autoidentifichi come bisessuale (5,5% di donne, 2,0% di maschi) mentre il 17,4% delle donne e il 6,2% degli uomini riferiscono di aver avuto partner dello stesso sesso e del sesso opposto nel corso della vita.

È l’eterocentrismo il problema più grande, non l’eterosessualità

Come dicevamo prima, la questione gender è diventata prioritaria nell’agenda politica, in particolare dei partiti più conservatori e religiosi, e la teoria gender accusa la società moderna di propagandare l’inesistenza di differenza tra i sessi biologici, da ciò discendendo la possibilità di variare il proprio sesso a piacimento. Le battaglie per i matrimoni gay, per la parità di genere o le battaglie contro le discriminazioni sessuali vengono lette e propagandate come battaglie contro l’eterosessualità, come una minaccia nei confronti degli eterosessuali. Ovviamente si tratta di una propaganda evidentemente assurda e falsa, visto che l’acquisizione di determinati diritti da parte della comunità LBGTQ+ non lede alcun diritto degli eterosessuali. Eppure la teoria gender fa facilmente breccia nella società perché in realtà la battaglia per i diritti e la parità di genere è un attacco non all’eterosessualità, ma all’eterocentrismo e al ciscentrismo.
L’eterocentrismo, come dice la parola stessa, implica la centralità dell’eterosessualità nella società. È qualcosa che vediamo ogni giorno, ma che ognuno di noi fa quotidianamente perché è implicito nella nostra società. A un ragazzo viene chiesto se “hai la ragazza?”, così come a una ragazza viene chiesto “hai un ragazzo?”, e queste domande vengono poste senza una volontà discriminatoria, ma come consuetudine. Questo perché si vive in una società eteronormativa, cioè che vede nell’eterosessualità la norma, in quanto unico orientamento sessuale culturalmente e socialmente legittimato. L’eterocentrismo, o il ciscentrismo che riguarda l’identità sessuale e non l’orientamento, è però da un lato l’humus di cui si nutrono i pregiudizi nei confronti di chi non è eterosessuale, proprio perché visto come diverso rispetto alla norma, cioè alla normalità, e dall’altro aumenta lo stigma sociale e accresce il minority stress, perché una persona gay o lesbica si trova fin da subito “in difetto” perché si trova davanti a una società che ha aspettative diverse rispetto al suo orientamento. Un dramma soprattutto per i più giovani e le più giovani che da adolescenti si trovano davanti alla classica domanda “quale compagno/a ti piace?” e non hanno ancora le armi psicologiche e linguistiche per accettare loro stessi per primi che la risposta che dovrebbero dare va in contrasto con lo stesso presupposto della domanda.

Per chi volesse approfondire, l’Ordine degli psicologi della Lombardia ha realizzato un glossario LGBTQ+, la Rainbow Map.

Photo by Brian Kyed on Unsplash

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