NEOM, il folle progetto di una megalopoli sostenibile nel deserto

L’Arabia Saudita sta portando avanti la costruzione di un megalopoli futuristica ecologica, sulla cui sostenibilità, tuttavia, non mancano le perplessità.

Nel 2017, il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman ha annunciato NEOM, un progetto utopistico e apparentemente folle di una megalopoli nel deserto da 1 trilione di dollari, che dovrà rappresentare – secondo il piano – un elemento consistente della strategia araba di riduzione della dipendenza nazionale dall’economia petrolifera. Dovrebbe vedere la luce nel 2025, quando arriverà a coprire un’area totale di 26.500 km², per un’estensione di 170 km lungo la costa del Mar Rosso nella provincia di Tabuk, a sud della Giordania. Il nome NEOM deriva da due parole: la prima parte arriva dal prefisso greco per  “nuovo”, mentre la M è un riferimento a Mustaqbal, parola araba che significa “futuro” (oltre a essere l’iniziale del nome del principe ereditario, Mohammed bin Salman). In questi anni il progetto ha iniziato a concretizzarsi, presentandosi come una metropoli avveniristica e sfavillante, qualcosa al limite della fantascienza: 100% artificiale ma completamente sostenibile; la terra del futuro – si legge sul sito istituzionale – che punta a solare ed eolico per produrre la propria energia e promette, in modo piuttosto generico, di fondarsi sui principi di sostenibilità, benessere e miglioramento umano.

Il progetto NEOM

Situata tra deserto e mare, NEOM è un progetto saudita, ma opererà in modo autonomo rispetto al governo, avendo proprie tasse, leggi sul lavoro e sistema giudiziario: secondo le intenzioni, quindi, sarà un esempio di città del futuro anche sul piano dell’autonomia giuridica. La megalopoli dovrebbe essere composta, complessivamente, da 10 regioni, delle quali quattro stanno già prendendo forma, come illustrato anche sul sito istituzionale. Sindala  – una delle quattro componenti a oggi note, una più incredibile dell’altra –sarà un’isola artificiale costellata di hotel e porti turistici, che dovrebbe aprire già nel 2024 dando l’opportunità ai visitatori di immergersi tra barriere coralline e relitti del Mar Rosso. The line (letteralmente, “la linea”) è invece destinata a diventare una gigantesca smart city senza auto che si presenterà come un edificio stretto e lungo circa 170 km per appena 200 metri, per ospitare un totale di 9 milioni di persone e fiancheggiato su entrambi i lati da muri di costruzione a specchio, per un effetto ottico incredibile. Oxagon, invece, sarà un complesso industriale galleggiante di forma ottagonale destinato alle attività di ricerca e produzione industriale; Trojena, infine, sarà una montagna e destinazione per gli sport invernali che ospiterà anche i Giochi Invernali Asiatici del 2029. Tutto, quindi, sembra pensato per impressionare e stupire, con grande attenzione all’estetica futuristica.

Rendering della regione di Trojena

Tutto oro quel che luccica?

Di NEOM si è tornati a parlare più di recente non solo perché, un po’ per volta, la data dello svelamento finale si avvicina, ma anche perché sono emersi alcuni dati piuttosto scomodi, sottolineati in particolare dagli esperti di privacy – che avanzano dubbi sulle finalità della raccolta di dati dei cittadini nella smart city – e diritti umani. Dietro la facciata sfavillante di progetto avveniristico, ad esempio, ci sono tribù nomadi costrette ad abbandonare la propria regione senza adeguato compenso, aspetto che l’ONU stesso ha attenzionato.  

Dalla stazione sciistica in mezzo al deserto, alimentata necessariamente con neve artificiale – tanto più che la regione, di per sé non adatta agli sport invernali, è soggetta a eccezionali siccità e temperature record sempre più frequenti – alla costruzione di infrastrutture e sistemi urbani e artificiali in paesaggi che, per quanto in buona parte desertici, hanno un loro equilibrio ecosistemico, sono diversi gli aspetti potenzialmente problematici; tra questi, forse il più evidente è l’enorme fabbisogno di materiali ed energia – per quanto rinnovabile, almeno nelle intenzioni – a preoccupare gli esperti di ambiente.  Vista la grandiosità – e i costi, altrettanto grandiosi – c’è poi il dubbio che tutte le componenti del progetto vedano effettivamente la luce ed entrino in funzione: in tal caso, si tratterebbe di uno spreco immenso; anche perché il peso ambientale della costruzione è calcolato in più di 1,8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, corrispondenti alle emissioni prodotte in oltre quattro anni dal Regno Unito.

La strategia

La costruzione di NEOM è parte integrante di Vision 2030, il piano di revisione economica e sociale dell’Arabia Saudita introdotta dal principe Mohammed bin Salman nel 2017, che comprende alcuni miglioramenti nei diritti delle donne e iniziative di promozione turistica, che dovrebbe rappresentare una fonte di reddito alternativa utile a diversificare l’economia, se non altro perché è ormai chiaro che il petrolio, a oggi la maggiore fonte di ricchezza della regione, è destinato all’abbandono. NEOM, quindi, si presenta come simbolo della nuova modernità. Se sarà effettivamente realizzato, dunque, indubbiamente darà una forte scossa al soft power dell’Arabia Saudita, che mostrerà al mondo potere, capacità economica e tecnologica e capacità di attrarre investimenti e si presenterà sempre di più come una meta di turismo di lusso. Quanto a sostenibilità, tuttavia, i dubbi permangono.

Il ruolo delle città per un futuro più sostenibile

È vero, però, che le città possono (e devono) avere un ruolo fondamentale nella lotta alla crisi climatica, anche perché oltre la metà della popolazione mondiale vive oggi in aree urbane; per questo sono tanto più importanti le iniziative di diverse amministrazioni comunali che possono rappresentare esempi esportabili anche altrove. Parigi, già sempre più ricca di orti urbani e di repair café, ad esempio, si sta preparando alle Olimpiadi del 2024 con investimenti in piste ciclabili e altre iniziative di riduzione del traffico, ma anche sul sistema di raffreddamento che sfrutta le acque della Senna anziché l’aria condizionata. Città come Copenaghen e Amsterdam, poi, possono essere studiate per quanto riguarda la mobilità sostenibile, grazie ai piani che le hanno portate, nel giro di un paio di decenni, a essere tra le città più ciclabili in tutto il mondo; e poi c’è Tallin, la capitale estone, che con le sue strategie volte al 2035 si è meritata il titolo di Capitale sostenibile d’Europa. In diversi Paesi del Nord Europa, infine, è molto diffusa la cultura del riutilizzo, con mercatini di oggetti usati organizzati anche in modo informale in tutte le città e, in generale, un diverso approccio rispetto all’usato. In conclusione, gli esempi virtuosi sono molti: è meglio, quindi, cambiare le città che già abbiamo studiando strategie per scalare l’impatto positivo di queste e altre iniziative, anziché costruire gigantesche cattedrali nel deserto.

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