Respiriamo sostanze tossiche e contaminanti costantemente e no, non solo a causa degli scarichi delle automobili e dei fumi industriali che ammorbano l’atmosfera, ma anche in casa, a scuola e in ufficio. Gli spazi chiusi, infatti, non solo risentono troppo spesso di una strutturale carenza d’ossigeno, ma ci impongono di respirare, anche per anni dopo la costruzione dell’edificio, le molecole di tutte le sostanze – spesso per nulla innocue – impiegate in edilizia. Oggi, però, non mancano le soluzioni alternative che permettono di vivere in edifici puliti, nel senso che l’aria al loro interno non è contaminata, e che impiegano dei materiali a basso impatto. Una di queste soluzioni si chiama bioedilizia (o bioarchitettura) ed è una modalità di progettazione, costruzione e gestione di edifici secondo dei principi di sostenibilità ambientale che ne fanno un approccio innovativo ed estremamente attuale. Ne abbiamo parlato con Elisa Masserdotti, ingegnera co-fondatrice di Opera Mista.
Opera Mista srl è una società bresciana di professionisti di ingegneria nata nel 2022 in seguito alla formalizzazione di un’attività meno strutturata, ma già consolidata da circa dieci anni. I quattro soci e gli otto collaboratori tra ingegneri e architetti condividono lo stesso desiderio e la stessa passione per il lavoro con materiali naturali e innovativi, sia sul piano della ricliclabilità che dell’innovazione chimico-fisica e della versatilità.
Nel concreto, in cosa consiste il vostro lavoro?
Elisa Masserdotti: «Progettiamo soprattutto strutture in legno, che accompagniamo a isolamenti, tamponamenti e finiture che ben si adattano a questa materia, quindi specialmente fibre vegetali, sugheri, fibre animali e materiali a base di prodotti inorganici non tossici come calce, argille e vetro reciclato. Facciamo poi consulenza (anche per altri studi oltre che per privati e imprese) sui materiali naturali e lavoriamo con imprese per ottimizzare la loro produzione. Tra i materiali che usiamo, una crescente importanza ricoprono le nanotecnologie, tra le quali ricerchiamo quelle con il minore impatto a livello di smaltimento e che richiedono imballaggi minimi; un problema dell’edilizia di oggi è infatti proprio l’elevata quantità di imballaggi, che a volte producono più rifiuti dei materiali stessi, oltre a ingombrare e pesare sui tir, aggiungendosi quindi all’inquinamento del trasporto su gomma».
I materiali più innovativi sono sviluppati in collaborazione sia con istituti di ricerca che con ditte, che propongono allo studio nuovi materiali – spesso in realtà sistemi, cioè insiemi tecnologici innovativi di materiali – che vengono poi proposti ai clienti più sperimentatori per testarli assieme a loro. Altre volte c’è una procedura più scientifica: nello specifico, lo studio ha lavorato insieme alla ditta Casalogica srl a fianco dell’Università degli studi di Brescia per testare sistemi costruttivi innovativi ed ha in progetto alcune proposte per la collaborazione con il Politecnico di Torino.
Il risultato è un nuovo modo di progettare che considera tutta la filiera: in un cantiere di ristrutturazione, ad esempio, ci sono materiali che possono essere riutilizzati, cosa che i professionisti di Opera Mista fanno anche applicando tecniche conservative di restauro, se i materiali non sono tanto deteriorati da impedirlo; ci sono poi i materiali che vengono portati in cantiere per essere impiegati.
Elisa: «Noi cerchiamo di fare in modo che alla fine del suo ciclo di vita, quando eventualmente l’edificio sarà smantellato, l’impatto ambientale sia pari a zero; alcune fibre ad esempio possono essere usate per la pacciamatura dei terreni, altre semplicemente lasciate in loco perché si degradano senza avere un impatto ambientale».
Chi sono i vostri clienti?
Elisa: «Siamo nati con i privati che, mossi da una nuova idea di abitare, hanno cercato professionisti in linea con questa loro sensibilità; più tardi si sono fatti avanti anche gli enti pubblici, quando si sono resi conto che questo nuovo approccio funzionava molto bene e oggi parecchi di loro sono tra i nostri clienti. Stiamo lavorando, ad esempio, a grosse strutture pubbliche, soprattutto scuole per l’infanzia cioè quelle che riguardano la fascia d’età più vulnerabile alle sostanze inquinanti, ma anche quella che costituisce la generazione che – speriamo – in futuro sarà portatrice di un nuovo modo di pensare gli spazi chiusi. Lavoriamo anche con imprese di carpenteria che prendono grossi appalti, veicolandoli attraverso un’ottimizzazione del loro business: per loro è anche una questione di risparmio economico e siamo tutti contenti quando questo va a braccetto con una maggiore sostenibilità».
Strutture in legno e paglia, intonaci in calce, pavimenti in legno: un nuovo modo di pensare l’edilizia che ha anche vantaggi in termini di salute e sicurezza?
Elisa: «Sì, è un aspetto molto importante ma di cui si parla molto poco. Esiste una sindrome, ufficialmente riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1986, la sick building syndrome, una vera e propria patologia provocata da un insieme di fattori come la cattiva qualità dell’aria interna e i difetti della ventilazione forzata; tanti edifici contemporanei, infatti, per controllare riscaldamento e raffrescamento impiegano sistemi controllati da tecnologie che però devono essere manutenuti in modo molto scrupoloso, eseguendo correttamente pulizia e cambio dei filtri, cosa che non viene praticamente mai fatta. Nelle condizioni ideali, in quegli edifici non si dovrebbero aprire le finestre per avere un effettivo risparmio ed evitare gli sprechi, ma gli errori di progettazione e manutenzione, oltre che i materiali usati e l’affollamento che spesso è presente – basti pensare alle scuole – impongono di aprirle per cambiare aria, vanificando tutti i calcoli di basso impatto che l’impianto prevedeva».
Questa sindrome è connessa anche alla chimica di ogni materiale usato nella costruzione e finitura dell’edificio: gran parte della polvere che normalmente si forma negli ambienti chiusi è costituita dall’intonaco che degrada nel corso degli anni e che, essendo composto da cemento e prodotti da altiforno, cioè gli scarti della produzione industriale, non è affatto salutare. A questo si aggiungono le muffe e le altre conseguenze dei problemi di cattiva traspirabilità e dell’umidità che un errato studio di pareti e pavimenti comporta. «Diverse ricerche importanti – prosegue Masserdotti – hanno portato alla luce in modo molto chiaro che i bambini in questi edifici moderni, ma tenuti e gestiti male e in molti casi anche studiati male, hanno deficit di attenzione molto importanti, rispetto invece ai bambini e ragazzi che frequentano edifici più vecchi, con carenze di ogni tipo (e quindi non sostenibili) ma con una migliore circolazione d’aria. Per questo noi studiamo i materiali di pari passo con la progettazione degli spazi e la riduzione degli impianti; usiamo ad esempio un intonaco a base di calce, anallergica e asettica, e terra cruda, che è fango sostanzialmente, e le cui molecole sono grandi, quindi anche se fossero dannose non entrerebbero in circolazione nell’organismo. Con tutte queste attenzioni, la differenza si sente anche semplicemente entrando in un cantiere di bioedilizia rispetto a un cantiere convenzionale».
Ovviamente bisogna fare attenzione alla differenza tra “naturale” ed “ecologico” che non sono necessariamente sinonimi: anche il legno può essere tossico, ad esempio, se si utilizzano colle tossiche, per questo Opera Mista predilige il massello, che è il legno proprio così come viene preso dall’albero, e non il lamellare – costituito da strati sottili incollati tra loro – che viene limitato ai pochi casi in cui è effettivamente indispensabile per ragioni strutturali, essendo più resistente.
Sono anni intensi, questi, per Opera Mista, ricchi di tanti progetti eccitanti e tante nuove sfide, non solo per l’attenzione che la bioedilizia sta finalmente iniziando a ricevere, ma anche per effetto del Superbonus 110%, che ha permesso a tanti privati di ristrutturare case di famiglia fino a questo momento disabitate, perché ridotte quasi a ruderi che avrebbero comportato lavori troppo costosi per la maggior parte delle persone, ma che grazie a questa iniziativa statale sono stati finalmente intrapresi.
Elisa: «Noi come studio ci siamo concentrati soprattutto sulla ristrutturazione di grossi complessi in contesti periferici e grandi cascinali plurifamiliari. Siccome il 110 prevedeva un controllo massivo in cantiere ci siamo concentrati sul Nord Italia, su distanze alla nostra portata, affidando invece la direzione dei lavori in loco a ditte locali nel caso dei pochi progetti che abbiamo preso in carico come progettazione o consulenza in Centro e Sud Italia. Oggi stiamo progettando anche tramite il PNRR, lavorando soprattutto a miglioramenti sismici e ristrutturazione di scuole».
Ma i progetti non finiscono qui: Elisa: «Da poco facciamo parte come soci fondatori di una rete di imprese, Si Parte Dal Bosco, che raggruppa aziende coinvolte nella filiera del bosco e che ha l’obiettivo primario di salvaguardare i boschi, nello specifico del Piemonte, nel Canavese, e di una parte della Valle d’Aosta; si tratta di boschi di castagno e altri legni molto belli, ma che fino a oggi sono frammentati, per cui è difficile fare una pianificazione coerente d’insieme, quindi si incendiano facilmente e non vengono piantumati correttamente, per cui vi crescono specie non autoctone, arrivate chissà come. Noi vogliamo salvaguardare questi boschi favorendone la rigenerazione e la corretta gestione, ed evitare gli sprechi di questi ottimi legni, che a oggi sono usati per produrre cippato e pellet, che danno un guadagno quasi nullo ai proprietari dei terreni, che pure non è il problema maggiore: è uno spreco di materiale nobile, per produrre qualcosa che potrebbe essere fatto con legno di scarto. Sostenibilità è anche questo: capire il valore del materiale ed esaltarlo».
In copertina:
realizzazione edilizia di Opera Mista, Progetto e Direzione Lavori Arch. Margherita Menti