Il recovery fund è maschilista

#HalfOfIt e #GiustoMezzo: la ripresa europea non deve lasciare indietro le donne

Qualcuno sorriderà, ma c’è poco da ridere, lo studio recente “Next Generation EU Leaves Women Behind”, realizzato dalle economiste Azzurra Rinaldi ed Elisabeth Klatzer, e commissionato dalla Commissione Europea (specificamente dal Greens/EFA Group capeggiato da Alexandra Geese) lo mette ben in evidenza: le politiche di genere non sono entrate nelle stanze in cui si sono fatti i giochi del recovery fund, il fondo riservato dall’Unione europea alla ripresa, economica e sociale, dall’impatto del coronavirus.

Un fondo che vale 750 miliardi da spendere in tre anni, aggiuntivo rispetto ad oltre 1000 miliardi del bilancio settennale 2021-2027.

Fonte: Agi

Sono tantissimi soldi, per la spesa dei quali l’Unione ha stabilito dei binari precisi, declinati in linee guida e obiettivi, che dovranno tradursi con maggiore precisione con i piani dei singoli Stati, che potrebbero e dovrebbero essere l’occasione anche per un rilancio del Paese nella giusta direzione, per un salto di qualità.

I due binari stabiliti dall’Europa sono transizione verde e digitalizzazione, e fin qui tutto bene.

Entrando più nel vivo della pianificazione, lo studio dice, per quanto le proposte della Commissione siano piuttosto vaghe e indeterminate, (e ciò è anche il limite dello studio stesso), è abbastanza evidente che il recovery fund si concentri soprattutto in settori a predominanza maschile, dimenticando le donne.

La grafica qui di seguito (tratta dal sito della europarlamentare Alexandra Geese, promotrice del movimento #HalfOfIt) rappresenta bene la situazione.

In sintesi, mentre il Covid19 ha impattato maggiormente settori economici ad alta presenza femminile e le donne stiano uscendo dal mercato del lavoro più facilmente perché scuole e altri servizi non funzionano regolarmente, i fondi della ripartenza sono maggiormente destinati a settori prevalentemente maschili. La spinta allo sviluppo e alla ripresa, per quanto in settori di qualità, necessari e condivisibili, rischia di lasciare indietro una parte della popolazione, quella femminile, proprio ora che diversi traguardi sembravano raggiunti.

Come riequilibrare le cose?

Risultati ottenuti da #HalfOfIt

#HalfOfIt nasce a maggio 2020 con un obiettivo: ottenere che il 50% dei fondi Next Generation EU (o recovery fund) siano destinati all’occupazione e alla promozione dei diritti delle donne, alla parità tra i sessi, in linea con la strategia per l’uguaglianza di genere della Commissione europea adottata nel marzo 2020. In che modo?

  • investire i fondi in scuole e strutture di cura per l’infanzia che siano a prova di crisi
  • uno studio dell’impatto di genere per tutti i progetti
  • quote speciali per società guidate da donne quando si tratta di garantire dei prestiti
  • piani per raggiungere l’uguaglianza per le società che utilizzano aiuti di Stato, ma hanno un basso numero di donne impiegate 
  • raccolta di dati disaggregati di genere 
  • aggiungere la parola “cura” all’espressione “trasformazione verde e digitale” per mettere la cura al centro dell’attenzione, ovvero mentre adesso la commissione parla di “green and digital transformation”, bisognerebbe dire “care, green and digital transformation”. Dove per care si intende concretamente scuole resistenti alle crisi, strutture per l’infanzia e servizi di assistenza in generale.

#HalfOfIt ha coinvolto tante parlamentari, tante associazioni e tante donne e anche uomini, ed è riuscita a ottenere con degli emendamenti che le sue richieste venissero incluse in tutti i quattro regolamenti Next Generation EU che stabiliscono le linee guida per il finanziamento dei piani nazionali.

Il supporto italiano del Giusto Mezzo

Anche nel nostro Paese è nato un movimento a supporto di questa iniziativa, chiamato Giusto Mezzo, con il supporto di diverse donne e associazioni attive per sostenere la gender equality.

Una delle prime cose realizzate per sostenere #HalfOfIt è stata la lettera-petizione indirizzata al Presidente del Consiglio Conte e al Governo (lettera che può essere firmata qui), che è intitolata ‘POLITICHE INTEGRATE E INVESTIMENTI MOLTIPLICATORI: LA RICHIESTA DELLE DONNE’.

La lettera, che ha già superato le 40mila firme, sottolinea come determinate politiche a sostegno dell’uguaglianza di genere, siano in realtà sostegno alla famiglia e alla collettività in generale, in quanto la cura dei figli, degli anziani, il welfare, sistema scolastico sono in realtà delle questioni che interessano tutta la collettività, non solo le donne.

Nei giorni scorsi Giusto Mezzo ha portato le proprie richieste direttamente a Roma, al Governo, organizzando anche un flashmob davanti al Pantheon in cui le partecipanti si sono “vestite” con le frasi che raccontano le discriminazioni vissute dalle donne, e che si sono acuite in questo periodo di pandemia.

Il movimento nei giorni scorsi aveva già fatto pervenire le proprie istanze in Parlamento anche attraverso l’intervento di alcuni parlamentari e un primo segnale di attenzione è arrivato dal Presidente del Consiglio che si è impegnato ad accogliere la risoluzione della maggioranza a favore della destinazione di una significativa parte del Recovery Fund per sostenere l’occupazione femminile. Spetterà ora al ministro Enzo Amendola, titolare del Dossier sul Recovery Fund, incontrare Giusto Mezzo per dare seguito a questo segnale di attenzione e capire come concretizzare le istanze supportate da 40mila cittadine e cittadini nei progetti governativi per impegnare i fondi europei.

Quali sono le proposte di Giusto Mezzo

1. Sostegno alle attività di cura attraverso il supporto all’infanzia (nidi e tempo pieno in tutto il territorio nazionale non con bonus ma con offerta diffusa) e assistenza ai disabili e alla terza età – Su 1.8 Milioni, 75 bambini su 100 in Italia non hanno posto al nido (copertura 24,7 %, dato Istat 2018). I figli sono un bene comunee devono essere oggetto di cura del Paese. Nido per tutti significa tempo per lavorare. Una persona in più che lavora = PIL che cresce. Non solo, oltre il 70% del lavoro di cura in Italia ricade sulle donne. Non solo quando si parla di figli, ma anche di familiari anziani o disabili. Per questo servono servizi territoriali diffusi, adeguati ed efficienti che non siano carico economico delle donne e delle famiglie ma che siano a carico dello Stato.

2. Parità sul lavoro In Italia le donne possono guadagnare in meno fino al 40% in meno dei colleghi uomini con le stesse mansioni e lo stesso titolo di studio. – Questo dato è dovuto a una combinazione di fattori: il costo-opportunità di un’azienda che assume una donna in età fertile è sempre più alto rispetto all’assunzione di un uomo, perché l’uomo non ha 5 mesi di maternità obbligatoria, ma solo 7 giorni; le donne sono pagate meno in quanto vittime di discriminazione. Per abbattere questa disparità servono due interventi: legge sulla parità salariale; congedo di paternità obbligatorio a tre mesi (e non 7 giorni); rimborso dei costi che pagano le imprese per la maternità e la paternità dei e delle dipendenti, e anche per le partite IVA: tutte le mamme e i papà sono uguali, dipendenti, autonomi e autonome.

3. Sostegno all’occupazione delle donne – Prima della crisi economica per il Covid19, in Italia lavoravano il 52,5% delle donne, e il 71,7% degli uomini. Oggi l’occupazione femminile è scesa al 48%. Sono ancora troppe poche le donne che lavorano, soprattutto al Sud, con conseguenze negative sulla loro indipendenza economica, sul loro livello di povertà, sulle loro pensioni e sulla produttività tutta del sistema economico. Servono incentivi per chi assume le donne e sostegno all’imprenditoria femminile.

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