La biodiversità (o diversità biologica) descrive la varietà di tutti gli organismi viventi sulla Terra, inclusa la diversità all’interno delle specie, tra le specie e tra gli ecosistemi. In altre parole, comprende la varietà genetica delle forme di vita, la molteplicità di specie animali e vegetali e la diversità di ecosistemi (ambienti naturali) presenti sul pianeta. Questa ricchezza di vita – dai microrganismi ai grandi mammiferi, dalle foreste tropicali alle barriere coralline – rende la Terra unica e fornisce fondamentali servizi ecosistemici di cui anche l’uomo dipende. Di seguito approfondiamo cos’è la biodiversità, le sue principali tipologie, perché è essenziale, quali sono le cause della sua perdita, gli effetti di questo declino e le strategie per conservarla, con un focus sul ruolo dell’uomo sia come problema che come soluzione.
Cos’è la biodiversità? Definizione chiara del concetto
Il termine biodiversità si riferisce quindi alla varietà della vita in tutte le sue forme. Secondo il WWF, la biodiversità è “la varietà degli esseri viventi che popolano la Terra, misurata a livello di geni, di specie, di popolazioni e di ecosistemi”. Questa definizione evidenzia che la diversità biologica si manifesta su più livelli interconnessi:
- Diversità genetica: è la varietà del patrimonio genetico all’interno di una singola specie. Comprende le differenze genetiche tra individui della stessa specie (ad esempio le variazioni nel colore del mantello di animali domestici o la resistenza a malattie in una pianta). Una maggiore biodiversità genetica garantisce popolazioni più robuste e capaci di adattarsi ai cambiamenti, riducendo il rischio di estinzione.
- Biodiversità di specie: indica la varietà di specie differenti presenti in un determinato ambiente o in tutto il pianeta. Spesso è questo il significato a cui si pensa parlando di biodiversità. Si misura sia nel numero di specie (ricchezza specifica) sia nella loro abbondanza relativa e diversità tassonomica. Ad esempio, le foreste pluviali equatoriali ospitano un numero di specie molto maggiore rispetto alle regioni polari. Ogni specie – che sia una farfalla, un albero, un fungo o un mammifero – svolge un ruolo unico nell’ecosistema.
- Biodiversità di ecosistemi: riguarda la varietà di ambienti ed ecosistemi sulla Terra o in una certa area geografica. Differenti ecosistemi (come una barriera corallina, una foresta di mangrovie, una prateria o un deserto) ospitano comunità biologiche diverse e processi ecologici distinti. La presenza di molti tipi di habitat assicura una maggiore resilienza ambientale globale.
Questi tre livelli di diversità (genetica, di specie, di ecosistemi) sono interconnessi e tutti necessari per mantenere la rete della vita. Ad esempio, un ecosistema sano (come una foresta matura) contiene molte specie diverse; ciascuna specie ha popolazioni con variabilità genetica; tale variabilità permette alle specie di adattarsi a stress ambientali, garantendo la stabilità dell’ecosistema stesso. La biodiversità, dunque, può essere considerata il fondamento della vita e del funzionamento degli ecosistemi.

L’importanza della biodiversità: perché è fondamentale?
La biodiversità è essenziale per il mantenimento dell’equilibrio della vita sulla Terra, poiché sostiene il funzionamento degli ecosistemi e garantisce benefici indispensabili per l’ambiente e per l’uomo.
Ecosistemi ricchi di specie, infatti, risultano più stabili, resilienti e capaci di adattarsi ai cambiamenti. Questa varietà di vita contribuisce a processi ecologici fondamentali come l’impollinazione, la purificazione dell’acqua e dell’aria, la fertilità del suolo e la regolazione del clima. Ogni specie, anche la più apparentemente insignificante, svolge un ruolo specifico e insostituibile nel proprio habitat, rendendo possibile il complesso equilibrio naturale.
Inoltre, la biodiversità rappresenta una risorsa preziosa anche per la salute umana: molte cure mediche derivano da sostanze prodotte da piante, funghi e animali, mentre un ambiente sano è in grado di prevenire la diffusione di malattie e garantire una migliore qualità dell’aria, dell’acqua e del cibo. A livello economico, l’insieme degli organismi viventi e dei servizi che offrono costituisce la base di numerose attività produttive, come l’agricoltura, la pesca, la silvicoltura e il turismo. La natura, con tutta la sua diversità, sostiene la sicurezza alimentare e il benessere economico globale. In poche parole, senza biodiversità non esisterebbero né gli ecosistemi funzionanti né le condizioni necessarie per la sopravvivenza umana: proteggerla significa garantire il futuro del pianeta e dell’umanità stessa.
Le principali cause della perdita di biodiversità
Nonostante il suo valore, la biodiversità globale sta subendo un declino allarmante a causa delle attività umane. La comunità scientifica avverte che il tasso di estinzione delle specie oggi è decine o centinaia di volte superiore rispetto alla media degli ultimi 10 milioni di anni.
La perdita di biodiversità è un fenomeno complesso, causato da una combinazione di fattori legati alle attività umane, che agiscono spesso in modo interconnesso e sinergico. La causa principale è la distruzione e la frammentazione degli habitat naturali, conseguenza diretta della conversione di foreste, praterie, zone umide e altri ecosistemi in aree agricole, urbane o industriali. Questa trasformazione del territorio riduce lo spazio vitale disponibile per molte specie, interrompendo i corridoi ecologici e ostacolando la sopravvivenza e la riproduzione di numerose popolazioni animali e vegetali.
A ciò si aggiunge lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali: la pesca intensiva, la caccia incontrollata, l’estrazione di legname e il prelievo indiscriminato di piante e animali stanno impoverendo gli ecosistemi più rapidamente di quanto possano rigenerarsi. L’effetto cumulativo è un progressivo indebolimento della struttura ecologica, che porta molte specie sull’orlo dell’estinzione.
Un’altra minaccia crescente è rappresentata dai cambiamenti climatici, che alterano temperature, regimi delle precipitazioni e cicli stagionali, spingendo molte specie fuori dai propri limiti fisiologici e geografici. Queste trasformazioni rapide rendono difficile per gli organismi adattarsi, soprattutto per quelli già vulnerabili o con distribuzione limitata. Gli ecosistemi più sensibili, come le barriere coralline, le zone alpine e artiche, subiscono le conseguenze più drammatiche.
L’inquinamento ambientale costituisce un ulteriore fattore di pressione. L’agricoltura intensiva e l’industria rilasciano sostanze chimiche nei suoli, nelle acque e nell’atmosfera, intossicando piante e animali e danneggiando i processi naturali. I nutrienti in eccesso causano eutrofizzazione, mentre pesticidi e metalli pesanti si accumulano lungo le catene alimentari. L’inquinamento da plastica, in particolare nei mari, provoca danni fisici e fisiologici a un vasto numero di specie, molte delle quali ingeriscono o restano intrappolate nei rifiuti.
Infine, l’introduzione di specie aliene invasive modifica profondamente gli equilibri ecologici. Organismi introdotti in ambienti dove non esistono predatori naturali possono rapidamente moltiplicarsi, competere con le specie autoctone per le risorse, alterare gli habitat o diffondere malattie. Questo fenomeno è reso ancora più frequente e grave dalla globalizzazione dei commerci e dei trasporti, che facilitano lo spostamento di piante, animali e microrganismi da una parte all’altra del mondo.
Nel loro insieme, queste pressioni minacciano la stabilità degli ecosistemi e accelerano la scomparsa della biodiversità. Poiché sono in larga parte riconducibili all’azione dell’uomo, affrontarle richiede un cambiamento profondo nei modelli di sviluppo, nel consumo delle risorse naturali e nella gestione del territorio.
Ricapitolando, ecco elencate le principali cause (dirette) della perdita di biodiversità:
- Distruzione e frammentazione degli habitat (deforestazione, urbanizzazione)
- Sfruttamento eccessivo delle risorse biologiche
- Cambiamenti climatici
- Inquinamento
- Specie aliene invasive

Gli effetti della perdita di biodiversità
La progressiva scomparsa della biodiversità ha effetti profondi su molteplici aspetti della vita sulla Terra, toccando l’equilibrio degli ecosistemi, la sopravvivenza delle specie, la salute umana, la sicurezza alimentare e la stabilità economica. Uno degli impatti più evidenti è l’aumento del tasso di estinzione delle specie. Molti scienziati concordano sul fatto che il pianeta stia attraversando una vera e propria sesta estinzione di massa, causata non da fenomeni naturali ma dalle attività umane. La scomparsa di una specie, oltre a rappresentare una perdita irreversibile del patrimonio genetico e culturale dell’umanità, può innescare reazioni a catena all’interno degli ecosistemi, alterando le relazioni ecologiche tra predatori, prede, piante e impollinatori.
Un altro effetto importante è il degrado progressivo degli ecosistemi, che diventano sempre meno capaci di fornire i servizi essenziali di cui la vita umana e animale dipende. La diminuzione della copertura forestale riduce la capacità degli ambienti naturali di trattenere l’acqua, filtrare l’aria, assorbire il carbonio e proteggere dalle inondazioni. In ambito agricolo, la perdita di impollinatori naturali come api e farfalle compromette la produzione alimentare e rende le colture più vulnerabili. Anche la fertilità del suolo viene meno in assenza della microfauna e dei microrganismi necessari alla sua rigenerazione.
Dal punto di vista sanitario, gli ecosistemi impoveriti risultano meno efficaci nel contenere la diffusione di agenti patogeni. La frammentazione degli habitat, ad esempio, può favorire l’espansione di specie portatrici di malattie infettive, aumentando il rischio di zoonosi. A livello nutrizionale e farmaceutico, la riduzione della diversità genetica limita le possibilità di trovare nuovi principi attivi per la medicina, oltre a compromettere l’accesso a una dieta variegata e bilanciata.
Le conseguenze economiche sono altrettanto rilevanti. La perdita di risorse naturali influisce sulla produttività di settori chiave come la pesca, l’agricoltura, il turismo e la silvicoltura. In molti Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, la natura costituisce una fonte diretta di sostentamento per milioni di persone. Quando gli ecosistemi collassano, anche i mezzi di sussistenza locali vengono meno, esacerbando la povertà e le disuguaglianze sociali.
In sintesi, la perdita di biodiversità mina le fondamenta stesse del benessere umano, compromettendo la capacità della Terra di sostenere la vita, regolare il clima, fornire cibo, acqua e salute. È un processo silenzioso ma devastante, che procede senza clamore ma con effetti di lungo termine sempre più tangibili.
Strategie di conservazione della biodiversità e politiche internazionali
Fermare e invertire la perdita di biodiversità è una sfida globale che richiede azioni concertate a livello locale, nazionale e internazionale. Negli ultimi decenni sono state sviluppate numerose strategie di conservazione e politiche ambientali per tutelare la diversità biologica:
● Convenzioni e accordi internazionali: il principale trattato globale sulla biodiversità è la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), firmata al Vertice della Terra di Rio de Janeiro nel 1992. Ad oggi la CBD è stata ratificata da 196 Paesi in tutto il mondo (praticamente tutti i Paesi, ad eccezione di pochi, come gli Stati Uniti). La CBD ha tre obiettivi fondamentali: (1) la conservazione della diversità biologica, (2) l’uso sostenibile delle sue componenti, e (3) la condivisione giusta ed equa dei benefici derivanti dalle risorse genetiche. In base a questi principi, i Paesi firmatari si sono impegnati a sviluppare strategie nazionali per la biodiversità e a cooperare su scala globale. Ogni due anni circa si tiene una Conferenza delle Parti (COP) dove i governi valutano i progressi e fissano nuovi obiettivi. Ad esempio, nel 2010 la COP10 di Nagoya adottò i Target di Aichi (20 traguardi da raggiungere entro il 2020, tra cui l’istituzione di almeno il 17% di aree terrestri e il 10% di aree marine protette). Sebbene non tutti gli obiettivi di Aichi siano stati pienamente raggiunti (molti Paesi hanno mancato vari target entro il 2020), questi sforzi hanno portato alcuni progressi, come l’estensione delle aree protette a circa il 17% delle terre emerse a livello globale.
Recentemente, c’è stato un rinnovato slancio internazionale: alla COP15 di Kunming-Montréal (dicembre 2022) i 196 Paesi della CBD hanno adottato un nuovo Quadro Globale per la Biodiversità con l’obiettivo di arrestare e invertire la perdita di natura entro il 2030. Uno degli impegni principali di questo accordo è di proteggere almeno il 30% delle terre e degli oceani del mondo entro il 2030, e di ripristinare almeno il 30% degli ecosistemi degradati (obiettivo noto come 30×30). Il nuovo quadro prevede anche target per ridurre del 50% l’introduzione di specie invasive, dimezzare l’inquinamento da pesticidi e plastiche, eliminare sussidi dannosi per la natura per almeno 500 miliardi di dollari l’anno e mobilitare maggiori finanziamenti per la conservazione. Si tratta di un accordo storico per guidare l’azione globale nel prossimo decennio, riconoscendo l’urgenza di un cambiamento trasformativo. L’Unione Europea e molti Paesi (inclusa l’Italia) hanno recepito questi obiettivi nelle proprie strategie: ad esempio, la Strategia UE per la biodiversità 2030 e la Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030 prevedono di ampliare le aree protette fino al 30% del territorio nazionale e marino, nonché varie misure di ripristino ambientale.
● Aree protette e conservazione in situ: la creazione di aree naturali protette è uno degli strumenti cardine per conservare la biodiversità sul campo (conservazione in situ). Si tratta di parchi nazionali, riserve naturali, oasi, zone umide tutelate, aree marine protette e altri siti dove le attività umane sono limitate per salvaguardare habitat e specie. Globalmente, il numero e l’estensione delle aree protette sono cresciuti significativamente: oggi esistono oltre 260 mila aree protette nel mondo, coprendo circa il 16-17% delle terre emerse e il 7-8% degli oceani (percentuali in aumento, ma ancora insufficienti). Le aree protette di successo offrono rifugio a specie minacciate, permettono il recupero degli ecosistemi degradati e fungono da “serbatoi” da cui la natura può ripopolare zone circostanti. In Italia, ad esempio, abbiamo 24 parchi nazionali, decine di parchi regionali e centinaia di riserve e aree marine protette, oltre alla rete Natura 2000 (siti di interesse comunitario tutelati nell’UE). È importante notare, però, che non basta dichiarare un’area come protetta sulla carta: serve anche una gestione efficace e fondi adeguati. Sfide comuni includono la sorveglianza contro il bracconaggio, il coinvolgimento delle comunità locali, e la gestione di specie invasive o di pressioni esterne (come l’inquinamento che può arrivare da fuori i confini dell’area protetta).
● Conservazione ex situ e banche genetiche: Oltre alla tutela in natura, esistono programmi di conservazione ex situ, cioè al di fuori degli habitat naturali. Questi includono il ruolo di zoo, orti botanici, banche del germoplasma e centri di recupero. Ad esempio, le banche dei semi conservano semi di piante di tutto il mondo (in luoghi sicuri come il Svalbard Global Seed Vault) per preservare la diversità genetica agricola e selvatica. Programmi di allevamento in cattività e reintroduzione in natura hanno salvato specie altrimenti destinate all’estinzione (come il cavallo di Przewalski, alcuni anfibi, e il caso famoso del condor della California). Queste iniziative complementano la conservazione in habitat naturali, fungendo da polizza assicurativa contro la scomparsa definitiva di specie critiche.
● Politiche e normative ambientali: A livello nazionale e locale, molti Paesi hanno leggi specifiche per la protezione della fauna e della flora. Ad esempio, leggi che vietano la caccia di specie protette, regolamentano la pesca (quote, periodi di fermo biologico), limitano la deforestazione o l’uso di pesticidi nocivi, e impongono valutazioni di impatto ambientale per nuovi progetti infrastrutturali. Esistono normative per controllare l’introduzione di specie esotiche invasive (ad es. regolamenti fitosanitari sugli scambi commerciali, programmi di eradicazione di specie aliene). In ambito internazionale, la convenzione CITES regola dal 1975 il commercio di specie selvatiche minacciate, vietando o limitando il traffico di avorio, coralli, pellicce, legname pregiato e altri prodotti derivati da specie a rischio. Un altro accordo, la Convenzione di Ramsar (1971), tutela le zone umide di importanza internazionale. Il Protocollo di Nagoya (2010) integrato nella CBD regola l’accesso alle risorse genetiche e la condivisione dei benefici derivanti dal loro utilizzo (ad esempio per farmaci). Infine, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (Agenda 2030) includono target dedicati alla vita sulla terra (Goal 15) e alla vita sott’acqua (Goal 14), richiamando gli Stati a intervenire per fermare la perdita di biodiversità.
● Ricerca scientifica, monitoraggio e sensibilizzazione: Una strategia di conservazione efficace deve basarsi su dati solidi e sul supporto della società civile. Organizzazioni come l’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) monitorano lo status di decine di migliaia di specie attraverso la Lista Rossa IUCN, che classifica le specie in base al rischio di estinzione (vulnerabile, in pericolo, criticamente in pericolo, ecc.). Rapporti globali come il Living Planet Report del WWF e le valutazioni IPBES forniscono analisi periodiche sulla salute della biodiversità mondiale, aumentando la consapevolezza sull’emergenza in corso. Anche le tecnologie di monitoraggio (telerilevamento satellitare, trappole fotografiche, DNA ambientale) aiutano a individuare aree critiche e specie in declino per intervenire tempestivamente. Parallelamente, campagne di educazione ambientale e sensibilizzazione pubblica (nelle scuole, nei media, tramite ONG come WWF, Greenpeace, Legambiente, etc.) sono essenziali per far comprendere l’importanza della biodiversità e incoraggiare comportamenti virtuosi.
Il ruolo dell’uomo: impatti negativi e soluzioni sostenibili
L’essere umano è al centro della crisi della biodiversità. Le attività antropiche, guidate da un modello di sviluppo basato sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, hanno accelerato il declino degli ecosistemi, alterando in modo profondo e spesso irreversibile l’equilibrio degli ambienti naturali. L’espansione dell’agricoltura industriale, la deforestazione su larga scala, l’urbanizzazione crescente e l’emissione di gas serra sono tutte espressioni di un rapporto squilibrato tra uomo e natura. In molti casi, queste pressioni derivano da un consumo eccessivo, da scelte politiche a breve termine e dalla mancanza di considerazione per i limiti ecologici del pianeta.
Tuttavia, l’uomo non è soltanto la causa del problema: è anche parte della soluzione. Attraverso scelte più consapevoli, tecnologie appropriate e politiche lungimiranti, è possibile invertire la tendenza e costruire un futuro in cui la biodiversità venga rispettata e valorizzata. Una transizione verso un’economia sostenibile e rigenerativa, che integri il valore del capitale naturale nelle decisioni pubbliche e private, può favorire la conservazione degli ecosistemi e offrire benefici sia ambientali che sociali. In agricoltura, l’adozione di pratiche agroecologiche, la riduzione dell’uso di sostanze chimiche e il ripristino degli habitat naturali all’interno del paesaggio rurale rappresentano passi concreti verso una maggiore compatibilità tra produzione e conservazione.
Anche nel settore della pesca, la gestione responsabile delle risorse marine, l’introduzione di zone di ripopolamento e l’uso di metodi selettivi possono garantire la sostenibilità delle attività senza compromettere la biodiversità. Interventi mirati di ripristino ecologico, come la riforestazione, la rinaturalizzazione dei corsi d’acqua o la bonifica degli habitat degradati, consentono di riportare vitalità in aree compromesse e di riconnettere frammenti di natura isolati.
Sul piano individuale, ogni cittadino ha la possibilità di contribuire attraverso le proprie scelte quotidiane, adottando stili di vita che riducano il consumo di risorse, limitino l’impatto ambientale e promuovano prodotti provenienti da filiere sostenibili. La sensibilizzazione, l’educazione ambientale e il coinvolgimento attivo della società civile giocano un ruolo fondamentale nel rafforzare la cultura della conservazione e nel creare un’alleanza diffusa in difesa della natura.
Infine, riconoscere il valore delle conoscenze tradizionali delle comunità locali e dei popoli indigeni, spesso custodi di territori ad alta biodiversità, è essenziale per attuare modelli di gestione rispettosi e duraturi. In definitiva, il futuro della biodiversità dipende da un cambiamento di paradigma, che metta al centro la responsabilità, l’equità e il rispetto per tutte le forme di vita.
Come ha affermato Robert Watson, già presidente dell’IPBES, “stiamo erodendo le basi delle nostre economie, dei mezzi di sussistenza, della sicurezza alimentare, della salute e della qualità della vita… Abbiamo perso tempo. Dobbiamo agire ora”.