Un inizio inaspettato: la candidatura che ha cambiato tutto
Giorgio fissò il suo curriculum una volta ancora prima di inviarlo, le dita che indugiavano sull'icona di invio. In quelle sintetiche righe, la sua storia di disciplina, di fatica, di acque domate e di medaglie conquistate. La sindrome di Down non era protagonista in quelle righe, ma Giorgio sapeva che sarebbe stata la prima cosa che avrebbero notato, ancor prima dei suoi successi sportivi.
"Non importa," mormorò a se stesso, premendo finalmente invio. "Voglio essere giudicato per quello che so fare."
La risposta arrivò più velocemente di quanto si aspettasse. Un colloquio. Giorgio indossò la sua camicia migliore, quella che la mamma gli aveva regalato per la cerimonia di premiazione del campionato regionale. Si guardò allo specchio, aggiustando il colletto per la terza volta. Non era nervoso per il colloquio in sé, ma per quell'invisibile barriera che sembrava sempre alzarsi tra lui e il resto del mondo quando doveva parlare.
Le parole, che nel suo cervello fluivano come correnti d'acqua, una volta fuori si incagliavano, si perdevano. Non era sempre così, ma la tensione peggiorava tutto. E quel giorno, seduto davanti alla responsabile delle risorse umane, Giorgio sentì quella familiare sensazione di parole che evaporavano prima di poter essere pronunciate.
L'imbarazzo era palpabile. La donna - Marta, si era presentata così - sembrava tanto in difficoltà quanto lui. Giorgio si chiese se fosse così ogni volta che qualcuno come lui cercava di entrare nel mondo del lavoro "normale".
"Ti va di fare un giro in negozio?" propose lei all'improvviso.
Giorgio annuì, sollevato di poter abbandonare quella stanza carica di aspettative. Seguì Marta attraverso i corridoi del grande negozio sportivo, finché non si trovarono circondati da costumi, occhialini e attrezzature da nuoto. Fu come se un interruttore si fosse acceso dentro di lui.
"Questo è un Speedo LZR Racer," disse indicando un costume da competizione. "L'ho usato ai campionati nazionali. Riduce l'attrito del 24% rispetto ai modelli precedenti."
Le parole iniziarono a fluire, una dopo l'altra, mentre Giorgio passava da un articolo all'altro, spiegando tecniche, materiali, vantaggi competitivi. Non era più un ragazzo con sindrome di Down in cerca di un'opportunità, ma un atleta esperto nel suo elemento.
Vide qualcosa cambiare negli occhi di Marta. Era riconoscimento. Per la prima volta, Giorgio sentì di essere visto davvero, al di là dell'etichetta. E in quel preciso istante, mentre spiegava appassionatamente la differenza tra due tipi di occhialini, comprese che non stava semplicemente cercando un lavoro; stava aprendo una porta attraverso cui altri come lui avrebbero potuto passare.
Potrebbe essere descritto così, come l’inizio di un racconto, la storia di inclusione nata in Decathlon Italia che ha portato l’azienda ad avviare oltre 44 tirocini e inserire tra i suoi dipendenti oltre 20 persone con Sindrome di Down.
La candidatura di questo ragazzo di 19 anni, dotato di un curriculum sportivo eccezionale, esiste davvero, ed è arrivata alcuni anni fa sulla scrivania di Patrizia Brognoli, responsabile italiana delle politiche per la Diversity and Inclusion di Decathlon.
“Quando ho visto per la prima volta il suo CV mi sono detta : “ma con questo curriculum sportivo pazzesco, se non sapessi che ha la Sindrome di Down, lo avrei già convocato per un colloquio’. Per cui mi misi alla prova, l’ho chiamato. E’ stato uno dei colloqui più difficili della mia vita, perché non ero assolutamente pronta ad affrontare la sua modalità, lui era bloccato, non parlava. Ero talmente in imbarazzo che l’ho portato in negozio. Lui era ed è un grandissimo nuotatore. Quando arriviamo nel reparto nuoto, questa persona mi travolge con le sue parole portandomi nella sua passione sportiva”.

“Questa esperienza per me è stata talmente forte da convincermi a iniziare un percorso in azienda per l’inclusione di persone con Sindrome di Down. E’ stato un ‘momento zero’, che ci ha obbligati non solo a rimettere in discussione il nostro modello di accoglienza, ma soprattutto a rimettere in discussione tutte le nostre persone. Perché? Perché interfacciarsi, avere come collega una persona, un uomo o una donna con Sindrome di Down, vuol dire migliorare le competenze relazionali di tutti”.
Sensibilizzazione e formazione: le chiavi del cambiamento
L’inserimento del primo dipendente con sindrome di Down ha messo in luce una sfida fondamentale: la paura e l’insicurezza dei colleghi su come interagire con lui, racconta Patrizia. Per superare questo ostacolo, Decathlon ha avviato un’ampia campagna di sensibilizzazione, invitando i dipendenti a concentrarsi sulla persona anziché sulla Sindrome. La pratica sportiva, elemento centrale nella cultura aziendale, ha facilitato le cose. “noi pratichiamo spesso sport insieme e questo è un meraviglioso aggregante, facilitando la modalità di comunicare con queste persone. Poi chiaramente abbiamo anche strutturato tutta una serie di procedure un po’ più organizzate, in primis in ambito formativo, e in ambito sicurezza”.
Ma non è tutto, anche la tecnologia ha avuto un ruolo importante.
Oltre alla sensibilizzazione, è stata sviluppata un’applicazione chiamata My Personal Training, in collaborazione con l’Associazione Italiana Persone Down (AIPD). Questo strumento permette ai dipendenti con disabilità cognitive di accedere in autonomia a istruzioni chiare e visive per svolgere le loro mansioni. Il successo è stato tale che l’app è stata adottata anche da altri dipendenti e persino consigliata alle famiglie delle persone con sindrome di Down. “L’obiettivo era quello di rendere il più possibile autonomi questi colleghi e queste colleghe, evitare che fossero tirocinanti a vita. Evitare che dovessero, in caso di dimenticanze, andare sempre a chiedere a qualcun altro”.

Un modello di inclusione di successo
Dal 2017, anno di avvio del progetto, Decathlon ha attivato oltre 44 tirocini per persone con sindrome di Down, molte delle quali sono state assunte. L’inclusione non è forzata: viene rispettata la volontà dei candidati nel voler proseguire la carriera in azienda e si cercano posizioni adatte ai loro talenti, che spaziano dal retail alla logistica.
“Ormai abbiamo assunto più di 30 persone con sindrome che hanno oggi un’autonomia nel lavorativo importante, nel senso che sono collaboratori e collaboratrici a tutti gli effetti, alcuni tra loro hanno sviluppato una padronanza del mestiere tale che abbiamo già organizzato due edizioni, a maggio ci sarà la terza, di formazione in azienda erogata da alcuni di loro ad altri tirocinanti con sindrome di Down. Un obiettivo altissimo che non eravamo sicuri di raggiungere, mai ci siamo riusciti, ed è bellissimo vedere quanto il livello di proiezione e di rappresentanza rinforza tantissimo la loro autostima”.
Patrizia, per un brand come il vostro, quali sono i vantaggi che derivano sia internamente, nell’ambiente lavorativo, sia rispetto anche ai consumatori, da politiche di DEI?
“Prima di tutto si tratta di autenticità. Siamo in 7.000 in azienda, localizzati in tutta Italia, l’ambiente è multietnico: la diversità fa parte del sistema, fa parte del DNA della società e del brand. Dunque avere la capacità di veicolare i giusti messaggi e le giuste azioni affinché questa diversità venga poi declinata anche all’interno dei nostri negozi e anche nei confronti dei nostri clienti, a nostro avviso è fondamentale. La DEI sono le persone che fanno l’azienda, per questo cerchiamo di stimolare una maggiore consapevolezza e di responsabilizzare non solo su un progetto ma su cosa ciascuno può fare nel quotidiano, affinché tutto il sistema sia diffuso all’interno dell’organizzazione ma anche all’esterno. Qui c’è anche un tema di responsabilità del singolo individuo. C’è un progetto di formazione che abbiamo realizzato partendo dal concetto di rispetto per toccare le molestie, le discriminazioni e la violenza di genere. È un tema che noi cerchiamo di tenere sotto i riflettori tutto l’anno, per cui noi il 25 di novembre per esempio non ne parliamo. Facciamo una scelta un po’ diversa, perché farlo solo e soltanto in una data pensiamo sia un po’ retorico. Abbiamo formato più di 10.000 persone dal 2022 e se ognuna di queste persone riuscirà a condividere anche solo parte di queste informazioni con una persona che può essere un familiare, un amico, un cliente, una cliente, un parente, abbiamo un effetto da cassa di risonanza, è un po’ l’impatto che noi possiamo avere trasferendo il valore della DEI. Questo è un po’ l’approccio che noi cerchiamo di veicolare nel nostro quotidiano in azienda”.
Nel 2023, Decathlon Italia ha introdotto una policy sulla carriera alias, permettendo alle persone transgender di utilizzare il nome d’elezione in ambito lavorativo. Questa iniziativa ha richiesto un grande lavoro di sensibilizzazione.
“Per le generazioni più giovani diversità e inclusione sono molto importanti, sono più veloci nell’accedere al senso di un progetto, alcuni temi per loro non sono un tema, per esempio tutta la parte sulle persone transgender non va neanche spiegato. È stato interessante quando abbiamo pubblicato la policy, perché alcuni tra i giovani mi hanno chiesto ‘ma perché scrivete questa cosa’? E questo è bellissimo perché ci fa capire bisogni diversi e prospettive diverse. Per altre persone, sicuramente le resistenze ci sono state, i bias sono ben presenti, soprattutto quelli impliciti, però penso che la nostra responsabilità sia quella di stimolare una maggiore consapevolezza”.
Guardando al futuro: un impegno costante
Mentre a livello internazionale si assiste a un’ondata di contraccolpi sulle politiche DEI, Decathlon mantiene la propria rotta. L’azienda crede fermamente nei valori di inclusione e continua a investire in nuovi progetti.

Come vivete il clima di smantellamento delle politiche DEI che arriva dagli USA?
“I nostri valori aziendali si sposano completamente con le tematiche DEI, sociali e aziendali. Ci vuole un po’ di coraggio per posizionarsi in maniera sincera e trasparente e non fare sulla DEI della retorica. Il nostro DNA è questo: noi non vendiamo solo prodotti, ma esprimiamo al massimo i valori dello sport, dunque ciò che è orientato ad accogliere le persone e a valorizzarle ci mette a nostro agio. Facciamo tutto benissimo? Ovviamente no, questo è il motivo per cui facciamo progetti nuovi. La DEI è una dinamica non è un’attività statica, noi continuiamo ad avanzare, la grande responsabilità che sentiamo è fare formazione e rendere le persone sempre più consapevoli di quello che sta accadendo. Continueremo a investire nelle politiche DEI.”