Come raccontavo già in questo articolo, fino al 10% dell’impronta di CO2 di un capo deriva da come viene gestito dopo l’acquisto, ed è quindi responsabilità di chi se lo mette nell’armadio.
Essere consumatori attenti e consapevoli in senso ecologico significa adottare un approccio preventivo e fare scelte in grado di abbassare il proprio impatto ambientale a partire da semplicissime routine casalinghe: una di queste è il bucato.
A quanto pare, laviamo troppo i nostri vestiti. Li buttiamo in lavatrice quando non sono ancora sporchi, usiamo l’acqua a temperatura elevata, abbondiamo con detersivi e detergenti e come risultato di tanto sbatacchiare nel cestello le fibre dei tessuti si danneggiano, rilasciando sostanze nell’acqua (incluse le microplastiche) e ii capi invecchiano più rapidamente, tra scolorimenti e la formazione di antiestetici pallini.
La ricerca di una soluzione più ecologica per effettuare i lavaggi dei capi prevede non solo l’ottimizzazione dei processi di detersione standard, ma anche di tutte quelle attività interconnesse alla pulizia e cura del capo, che difatti ne prolungano la vita, in maniera sana.
Ricordo ancora lo scalpore che aveva suscitato la notizia dei jeans di Victoria Beckham: a quanto pare, la stilista non li lava mai, se non “a secco”: strofina le macchie con un panno umido (e una goccia di detersivo per piatti) e poi li butta in freezer per qualche ora: le basse temperature uccidono i germi (che sono anche responsabili dei cattivi odori). Una volta riesumati dall’ibernazione, i jeans vengono appesi in modo da mantenere la forma mentre si asciugano e sono pronti per un altro outfit.
Vi vedo, che storcete il naso all’idea di aprire lo sportello del congelatore per cercare i sofficini e trovare vestiti anche lì. Ma prima di arrivare al “metodo Bechkam” ci sono buone pratiche che possiamo adottare già dalla prossima volta che mettiamo le mani nella cesta del bucato.
1. Utilizzare più volte un capo prima di lavarlo
Secondo le statistiche, una lavatrice media produce 51 kg di CO2 all’anno. Per favorire un lungo ciclo di vita ai propri vestiti e rallentarne l’invecchiamento, occorre lavare meno. È matematico.
Si può fare un controllo visivo sul capo, per individuare eventuali macchie, o olfattivo, se magari siamo stati in contatto con odori forti, come quello di fritto o di fumo. In generale, basterà appendere i vestiti all’aria per rinfrescare i tessuti prima di decidere se sono destinati alla lavatrice o possono essere piegati e tornare in guardaroba.
2. Ridurre la temperatura dell’acqua
Sapevate che il 90% dell’energia totale di una lavatrice viene utilizzata per riscaldare l’acqua? Impostare temperature comprese tra i 30° e i 40°, oltre a mantenere i nostri capi in salute, determina un minore consumo energetico, senza intaccarne l’efficienza dal punto di vista igienico.
Davanti a macchie ostinate, è sufficiente pretrattare il capo, e si può fare attingendo alla dispensa: sale, aceto bianco, bicarbonato di sodio, alcool e limone aiutano a eliminare chiazze e aloni. Su internet si trovano tutorial per creare delle alternative ai detersivi chimici leggeri sull’ambiente e sul portafoglio.
3. Evitare carichi non completi
Ogni volta che effettuiamo un ciclo di lavaggio, vengono rilasciate una serie di microfibre, alcune composte da plastica. Questi residui, non riuscendo ad essere intercettata per le piccolissime dimensioni né dai filtri delle lavatrici né dagli impianti di trattamento delle acque reflue, si disperdono nei fiumi e nei mari.
Resistere alla tentazione di eseguire carichi non completi e utilizzare la lavatrice a pieno carico, non solo riduce il consumo di acqua, ma nel limitare l’attrito tra i vari indumenti evita la maggiore formazione e conseguente dispersione delle microfibre.
Comprendo che queste tre semplici regole non rappresentino una rivelazione. Ma in materia di ambiente, spesso più le indicazioni sono ovvie, più ci sentiamo in diritto di ignorarle.
E invece sono i piccoli passi che, uno dopo l’altro, portano lontano.