Quando si parla di parità di genere ci si riferisce generalmente alla necessità di allargare le opportunità per le donne, di equiparare il trattamento a quello riservato agli uomini (a livello salariale, per esempio) o condizioni di lavoro che garantiscano stesse opportunità di carriera, cosiderato il fatto che solitamente le donne hanno parecchie responsabilità familiari sulle spalle.
Su questo tema, che fa parte degli obiettivi dell’Agenda 2030 (SDGs 5), è stata costruita la missione 5 del PNRR, dedicato a ‘Inclusione e Coesione’, il Governo ha destinato investimenti per 5 miliardi di euro in questa direzione, che comprende in realtà diverse cose: attività di formazione e riqualificazione dei lavoratori, riforma organica e integrata in materia di politiche attive e formazione per favorire l’occupazione giovanile; sostegno dell’imprenditorialità femminile; un sistema di certificazione della parità di genere che accompagni e incentivi le imprese ad adottare politiche adeguate a ridurre il gap di genere.
Altre risorse andranno alle infrastrutture sociali funzionali alla realizzazione di politiche a sostegno delle famiglie, dei minori, delle persone con gravi disabilità e degli anziani non autosufficienti e alla riqualificazione dei tessuti urbani più vulnerabili (periferie, aree interne del Paese).
Per le aziende, diventa sempre più una necessità strutturare un proprio sistema di gestione dell’inclusione, non solo per mostrare il proprio impegno sul tema Gender Equality, ma anche per determinare e monitorare precisi obiettivi per il miglioramento.
La ‘certificazione della parità di genere’ va in questa direzione: essa permette alle aziende di adottare degli indicatori per misurare i miglioramenti fatti. A novembre 2021, la legge n.162 ha aggiornato il Codice delle Pari Opportunità, estendendo l’obbligo di redazione di un rapporto sulla situazione di impiego maschile e femminile per tutte le aziende, pubbliche e private, con più di 50 dipendenti.
Insomma, si comincia a vedere un maggiore impegno per accelerare il superamento di discriminazioni in ambito lavorativo.
Una maggiore inclusione delle donne, però passa anche da un’altra strada: aumentare i permessi dei papà rispetto ai congedi familiari.
I diritti dei papà
In Italia il congedo di paternità è stato introdotto solo nel 2013, prima esisteva una sorta di congedo sostitutivo a quello materno che il papà poteva usufruire solo in caso di morte o altre circostanzi gravi.
Eppure oggigiorno, nella generazione Millennials, i compiti familiari sono stati da tempo redistribuiti, i papà rivendicano di voler essere considerati alla pari delle mamme nella gestione dei figli. Non come ruota di scorta. E questo non è solo un chiaro segno dell’evoluzione culturale, evviva, ma anche un’ottima notizia se davvero si intende raggiungere la parità di genere.
Buttando l’occhio verso altri Paesi, vediamo che in Norvegia i papà possono beneficiare di quasi un anno di congedo con 46 settimane pagate al 100% o 56 settimane all’80%. In Svezia il congedo parentale prevede 16 mesi pagati da distribuire come si vuole nei primi 8 anni di vita del bambino, e di questo congedo il papà deve prendere almeno 3 mesi. In Spagna dall’anno scorso i giorni di congedo sono equivalenti per entrambi i genitori: sia le mamme che i papà hanno diritto a 16 settimane di congedo, non trasferibili l’uno all’altra e pagate al 100%.
Perché ancora oggi c’è così tanta disparità legislativa nella gestione delle famiglie in Italia?
Non si può considerare, invece, che una società equa e paritaria parta anche da un riconoscimento degli stessi diritti al papà di poter stare con i propri figli, per equità sociale e per liberare tempo alle mamme?
E’ quello per cui si batte una petizione in questi giorni su Change.org – clicca qui per prenderne visione e firmare se sei d’accordo – promossa da Movimenta, un’associazione che da tempo si batte per i temi della equità sociale.
Come si dice nel testo della campagna della petizione ‘molti neo-papà si trovano costretti a dover prendere delle settimane di ferie dopo la nascita dei figli per poter stare con loro. Per moltissimi è l’unica via percorribile. Un congedo di paternità maggiore ha evidenziato molti benefici: rafforza la relazione tra i neo-genitori, non fa prevalere una figura genitoriale sull’altra e porta a dinamiche relazionali più sane, entrambi i genitori riescono a sviluppare un forte legame con il bimbo sin da subito e ci si aiuta a vicenda con la propria carriera lavorativa, con la possibilità di dividere il congedo tra padre e madre.
Per questo è importante prevedere un congedo di paternità obbligatorio e retribuito dallo Stato Italiano per i papà: interrompiamo questa tradizione secolare per cui la cura dei figli è solo appannaggio delle mamme, mentre i papà sono coloro che non sono mai a casa e lavorano sodo. I tempi sono cambiati e di certo non poco”.
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