La più significativa, e potenzialmente impattante, novità normativa europea degli ultimi tempi in ambito sostenibilità è la CSDDD, Corporate Sustainability Due Diligence Directive, detta anche Sypply chain Act o CS3D.
Pubblicata in Gazzetta Ufficiale europea lo scorso 5 luglio, è considerata una pietra miliare nella ridefinizione della responsabilità aziendale rispetto ai temi ambientali e sociali. Gli Stati membri avranno due anni di tempo per recepire la direttiva e realizzare i propri regolamenti e le procedure amministrative conformemente al testo giuridico Ue. Avendo già scatenato in fase di discussione della direttiva notevoli confronti tra istituzioni europee, governi nazionali e industria, proprio a causa dell’influenza che genererà, ora che è stata approvata pone la concreta necessità in capo alle aziende di capire come devono muoversi a partire da ora per osservare questa direttiva che mira a rafforzare la responsabilità delle imprese che operano all’interno dell’UE rispetto alla propria catena catena di approvvigionamento imponendo requisiti di due diligence (cioè, di verifica approfondita) sulle altre aziende con cui collabora, affinché siano garantiti i diritti umani e gli standard ambientali lungo tutta la value chain.
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Giulio Graziani, ceo e cofondatore di freebly, la prima società tra avvocati in forma benefit, certificato BCorp, con un team interamente dedicato e specializzato in materia di Sostenibilità, Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR), fattori Ambientali, Sociali e di Governance (ESG), Business e Diritti Umani (BHR).
Giulio Graziani è anche docente presso Altis dell’Università Cattolica di Milano e ricopre il ruolo di Presidente e membro di Organismi di Vigilanza ex d.lgs 231/2001.
Quali sono le novità più significative che la CSDDD introduce in ambito Governance, sia lato azienda che lato amministratori?

“La recente approvazione della CS3D ha sicuramente sancito, qualora fosse ancora necessario, che le imprese devono sentirsi sempre più responsabili socialmente. – esordisce Graziani.
E, a mio parere, proprio dal ritrovato concetto di responsabilità sociale d’impresa, i soci e gli amministratori sono chiamati a disegnare, sul medio e lungo periodo, le strategie gestorie di prevenzione o mitigazione degli impatti sui diritti umani, i cambiamenti climatici e ambientali che il fare impresa inevitabilmente comporta.
Quindi, a livello di Governance le imprese devono sempre più identificare tra le proprie risorse, e nel caso attingere dal mercato del lavoro, strutturando anche specifiche funzioni, professionalità che contribuiscano a una “sostenibilità by design” per l’impresa.
Il concetto di dovere di diligenza, introdotto dalla CS3D, è un deja vu che già appartiene all’esercizio della funzione di amministratore di società e che lo espone, da sempre, a differenti responsabilità, anche risarcitorie. Ciò è particolrmente evidente per coloro che svolgono attività gestorie in società in cui la rendicontazione non finanziaria è da tempo obbligatoria, da ultimo le società benefit.
Sul punto, la direttiva richiama unicamente una responsabilità di carattere civile nei confronti dell’impresa, lasciando impregiudicata la responsabilità civile dei vari partner commerciali diretti e indiretti nella catena del valore.
La direttiva lascia altresì impregiudicate le norme nazionali inerenti al ristoro di danni potenziali derivanti da impatti negativi sui diritti umani o ambientali, richiamando una “responsabilità più rigorosa rispetto alla direttiva”, forse idealizzando una estensione ad altre fattispecie di responsabilità.
Ciò induce a pensare a quella potenzialmente penale che, forse, in questa circostanza ci porterebbe a immaginare che lo strumento ideale di prevenzione e tutela per l’impresa e i suoi amministratori, potrebbe essere, ancora una volta, il modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001.
E anche la procedura di reclamo che l’impresa dovrà predisporre, affiché le persone e organizzazioni possano segnalare condotte potenzialmente generative di impatti negativi, potrebbe trovare la soluzione nell’uso del sistema di Whistleblowing che dovrebbe, date le dimensioni aziendali, già essere adottato”.
Ci saranno novità nella redazione di contratti, codici di condotta e procurement?
“Sicuramente ci saranno delle novità nella redazione dei contratti con clienti e fornitori. – risponde l’avvocato che è, tra le altre cose, specializzato nella contrattualistica legata a compliance e temi ESG. “Infatti, l’integrazione nelle politiche aziendali del concetto di diligenza volto a individuare la previsione e mitigazione degli impatti negativi, dovrà essere declinato in codici di condotta e condivisione dei criteri di selezione con il procurement al fine di generare una catena il più possibile di valore.
Sarà fondamentale la consultazione con i differenti portatori d’interesse e la collaborazione tra imprese in una logica di trasparenza nel rispetto della concorrenza. Ancor più di rilievo, dovrà essere il piano operativo di prevenzione, che preveda scadenze e interventi qualitativi e quantitativi per misurare i progressi.
La revisione dei contratti genererà il sistema a cascata contrattuale, con l’inserimento, dunque, dei riferimenti ai codici di condotta dell’impresa in scope e la richiesta del rispetto di garanzie contrattuali equivalenti sui partner che, qualora non rispettate, potrebbero portare in base agli effetti negativi generati, dalla sospensione alla cessazione del rapporto negoziale”.
Con la CS3D, quali sono le implicazioni e anche le sanzioni in cui vanno incontro gli amministratori?
“Più che gli amministratori, in merito ai quali come suddetto sussistono già norme che disciplinano le responsabilità a cui sono esposti, la direttiva menziona, nei confronti dell’impresa, sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, lasciando, al momento, una imprecisata indicazione economica, ricondotta al fatturato della società e alla pubblicazione della decisione emessa dall’autorità di controllo preposta.
Dunque, è evidente che gli amministratori, dovranno tenere conto nella loro gestione di operare nell’interesse superiore alla società e, cautamente, prevedere eventuali rischi reputazionali ed economici conseguenti a potenziali impatti negativi generati dal business operativo dell’impresa. Certamente, un approccio strategico e valutativo basato sul rischio, potrà aiutare l’assunzione delle decisioni di governo”.
Come devono prepararsi le imprese in scope con la direttiva, e quelle nella catena di fornitura?
“Fermandosi un attimo e guardandosi dentro. Indicazione che mi sento di condividere anche con le imprese non in scope. La velocità dell’operatività del business oggi non può giustificare la distrazione da tematiche che sempre più divengono disposizioni di legge, assumendo quindi un carattere di obbligatorietà.
Il percorso preparatorio, per molti, è già iniziato. Per troppi, però, soprattutto per coloro che fanno parte della catena di fornitura – le PMI – è ancora qualcosa di indefinibile e rimandabile. Indifferentemente, le imprese dovrebbero attivare percorsi culturali per condividere internamente con le risorse e con i propri partner, quantomeno quelli strategici, il proprio concetto e strategia di responsabilità sociale d’impresa. Pensare che dallo sviluppo di una maggiore consapevolezza degli impatti generati, non solo economici, potrebbero fare del proprio business un mototre del cambiamento in una logica di rete e rapporto di interdipendenza da cui tutti, in qualche modo, siamo legati.
E ipotizzare l’allocazione economica a favore di specifici budget per sviluppare strategia d’impresa, se ciò può aiutare a dare più concretezza, affinché siano elaborati piani industriali sul medio e lungo periodo, che abbiano altresì metriche utili alla misurazione non solo economica.
I risultati dell’impegno strategico e di business, a quel punto, saranno coerenti alla realtà e credibili, potendo essere rendicontati e divulgati a favore di una migliore reputazione che favorirà il ritorno dei propri investimenti”.