Cyberbullismo, revenge porn, stalking, diffamazione online, hate speech, odio d’autore, body shaming, victim blaming, sono tutte forme di odio online, cioè di violenza perpetrata attraverso la rete. Purtroppo, l’anonimato che spesso il web assicura spinge le persone a fare cose che altrimenti non farebbe (gli insospettabili), a volte è la percezione stessa del ‘male’ a essere scolorita e distorta, spesso si tratta di forme di persecuzione che senza il digitale troverebbero altre strade e in tanti altri casi ancora di forme di emulazione e diseducazione.
Secondo la Mappa dell’Intolleranza, il progetto ideato da Vox, Osservatorio Italiano sui Diritti, che registra in particolare i dati di Twitter, nell’anno della pandemia l’odio online è in calo ma si è radicalizzato, concentrandosi contro le donne, soprattutto se lavorano, e contro ebrei e musulmani.
Cosa fare?
Intanto bisogna dire che si sta facendo molto, a livello istituzionale, nel terzo settore, sui media. Questo è il primo tassello importante, cominciare a creare un ecosistema che coinvolga tutte le componenti della società, affinché questo tema venga affrontato non più e non solo come un problema personale ‘vittima-vs-carnefice’, ma come un problema di responsabilità sociale.
La startup innovativa a vocazione sociale COP – Chi Odia Paga, di cui avevamo parlato qui, la cui missione è contribuire a rendere le comunità meno inclini all’odio e più inclusive, proprio nel giorno del Safer Internet Day lancia una serie di iniziative volte a creare consapevolezza e fare rete contro l’odio online.
Fare cultura e creare l’ecosistema
Nasce Odiopedia, una mappa delle realtà del terzo settore che garantiscono sostegno alle vittime della violenza in rete, che viene lanciata oggi (9 febbraio) in collaborazione con Wired Safe Web, un progetto editoriale per sensibilizzare maggiormente i lettori e l’opinione pubblica su come prevenire e difendersi dalla violenza in rete, in tutte le sue forme. Dall’odio online alla diffusione di contenuti intimi senza consenso, dal cyberbullismo alla violenza contro la comunità LGBT+.
La mappa ha per adesso circa 400 riferimenti, tra associazioni specializzate in tutela alle donne, alle minoranze etniche, ai minori, alla comunità lgbtqia+, ai disabili e alle minoranze religiose, centri antiviolenza. Ma da ora in avanti, proprio come Wikipedia, dovrà essere nutrita volontariamente dagli utenti della rete.
Partnership per gli obiettivi
Alle vittime di odio online, Chi Odia Paga offre degli strumenti di immediata tutela legale volti a fermare l’odio prima ancora di arrivare in un tribunale, raccogliere le prove e rimuovere contenuti dannosi.
Ma uno dei suoi ‘pilastri’ è certamente quello di ‘fare rete’ e quindi ‘fare squadra’ attraverso collaborazioni con altre realtà, anche aziendali, che possono far rientrare questi progetti nelle proprie attività di CSR – Corporate social responsability. Ispirandosi all’obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 #17- Partnership for the goal, Chi Odia Paga ha creato un meccanismo virtuoso in cui attraverso la collaborazione si creano e si finanziano progetti contro l’odio online.
Per esempio, insieme al Web Marketing Festival (il più grande Festival sull’Innovazione Digitale e Sociale in Italia) ha lanciato “Una Buona Idea”, dando seguito a una collaborazione iniziata nel 2020 con la realizzazione dello sportello di difesa digitale per le vittime di odio online. WMF e COP hanno unito nuovamente le forze e rivolgono una ‘call for ideas‘ alle associazioni del terzo settore che da oggi potranno candidare il proprio progetto di prevenzione, sensibilizzazione ed educazione volto al contrasto di qualsiasi forma d’odio online, fino al 30 aprile 2021, sulla pagina COP o sulla pagina del WMF.
I migliori progetti candidati alla call “Una Buona Idea” saranno valutati da una giuria d’eccellenza del mondo ONP (organizzazioni no profit): il vincitore verrà premiato sul Mainstage del WMF – il 26 giugno al Palacongressi di Rimini – e sarà inserito nella campagna di crowdfunding sul sito di Chi Odia Paga – attiva dal 1 al 30 settembre 2021 – per raccogliere i fondi necessari allo sviluppo del progetto.
Giustizia
Il tema della giustizia ha molto peso nel contrasto alla violenza in generale e anche all’odio in rete, spesso galvanizzato dalla sensazione di impunità.
Effettivamente le leggi penali e civili stanno faticando a mettersi al passo coi tempi, ma spesso vi sono anche difficoltà tecniche a individuare i responsabili, a recuperare e rendere valide legalmente le prove, a rimuovere i contenuti offensivi o dannosi. Chi Odia Paga si definisce una piattaforma LEGAL-TECH proprio perchè mette a disposizione una tecnologia amica, facile da utilizzare, a basso costo, per cominciare subito a tutelarsi, prima ancora e per evitare di arrivare a un tribunale.
La storia di Valentina Pitzalis, che Chi Odia Paga ha supportato con una campagna di crowdfunding chiusasi recentemente, dimostra come possa essere impegnativa una battaglia legale (alla Pitzalis è costata 100mila euro), ma al tempo stesso necessaria.
Sopravvissuta a un tentativo di femminicidio da parte del marito, che le diede fuoco e morì nel rogo da lui stesso provocato, Valentina è diventata il simbolo vivente del contrasto alla violenza sulle donne, fatto che le ha ‘regalato’ una campagna di victim blaming, l’odio e dalla colpevolizzazione nei confronti delle vittime di violenza, senza precedenti.
Oggi Valentina, sostenuta dall’associazione FARE X BENE ONLUS e da COP – Chi Odia Paga, compie una ulteriore azione dimostrativa e denuncia in contemporanea in 7 procure italiane i 20 hater che l’hanno insultata sui social in questi anni (qui potrai seguirne gli esiti www.difendiamole.it). Valentina Pitzalis ha scelto questa strada, a nome di tutte le vittime di odio online in Italia, per richiamare l’attenzione di tutti, cittadini e istituzioni, sull’importante ruolo che il sistema di giustizia deve assumere rispetto al tema della violenza sulle donne (e non solo) in tutte le sue forme.
“Nessuno può sconfiggere da solo tutti gli hater del web. – ci dice Francesco Inguscio di COP – Contro l’odio bisogna fare rete. Una Rete del Bene. Associazioni che prevengano l’odio tramite educazione e sensibilizzazione, volontari e psicologi che sostengano le vittime nel momento del bisogno, esperti informatici che agiscano direttamente sulle aggressioni online, avvocati che difendano legalmente i bersagli di odio, forze dell’ordine che facciano rispettare le giuste richieste di tutela. Le aziende in tutto ciò possono e devono fare la loro parte nella Rete, tramite attività di sostegno a tutti gli attori dell’ecosistema in nome non tanto e non solo della loro CSR ma ancora di più per il ruolo sociale che vogliono giocare per i loro clienti, dipendenti, stakeholder. Tramite la nostra piattaforma legaltech, il crowdfunding di Una Buona Causa, la mappatura di Odiopedia, la collaborazione con Wired Safe Web e molte altre iniziative che annunceremo a breve proviamo a fare la nostra parte come abilitatore e catalizzatore in questo sforzo comune. Ricordandoci che non si può restare indifferenti rispetto all’odio. Come dice l’on. Liliana Segre: “chi è indifferente è complice”.
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