Storia delle witkar, le prime auto elettriche e in condivisione

I servizi di car sharing e l'elettrico sono oggi quasi la norma, ma la loro storia non è lineare. E hanno un antenato illustre, nato in Olanda negli anni Settanta.

Le auto elettriche, grazie al loro ruolo nella decarbonizzazione dei trasporti, si stanno oggi diffondendo rapidamente, così come la condivisione dei mezzi resa possibile dai sistemi di sharing presenti in molti centri urbani, che non si limitano alle auto ma comprendono anche monopattini elettrici e bici, sia elettriche che tradizionali. Ma la loro storia è più lunga e affascinante e dimostra come l’idea di ridurre traffico e smog per vivere meglio non sia una novità, risalendo anche a prima della diffusione della consapevolezza dei problemi ambientali e di stress.

Gli antenati delle auto elettriche

Alcuni modelli sperimentali di automobili elettriche erano stati presentati già a cavallo tra fine Ottocento e primi anni del Novecento, ad esempio con l’americana Baker Electric, la prima auto elettrica della storia, che poteva arrivare fino a 35 km/h e percorrere, a piena carica delle batterie, distanze fino a 80 km. In Italia nel 1909 uscì una “Vettura elettrica STAE” fabbricata dall’azienda italiana STAE, con un motore di 10 cavalli e una velocità massima di 30 km/h.  Molto più tardi, nel 1974, niente meno che la Fiat nel 1974 presentò una variante elettrica della Fiat City Car, di cui poi lanciò un modello migliorato nel 1979. Tuttavia i progetti più ampi, che ebbero un effettivo riscontro di mercato, si sarebbero avuti solo nel corso dei due decenni successivi, quando tutte le case automobilistiche più importanti cominciarono davvero a lanciarsi nel settore dell’elettrico.

Aggettivi come ecologico e silenzioso non sono parole che descrivano soltanto un veicolo moderno, disponibile in città in modalità in sharing, che contribuisce all’evoluzione della mobilità in direzione sempre più sostenibile, più sicura, più salutare e più silenziosa per le nostre città e, quindi, per la qualità della vita di tutti. Le stesse parole possono essere usate per descrivere uno dei primi esperimenti con le auto elettriche: le witkar, un’invenzione affascinante e per molti versi avveniristica, che ha contribuito allo sviluppo delle città in senso ecologico.

Le witkar, vetture utopiche

Amsterdam negli anni Settanta era molto diversa dalla capitale delle biciclette che conosciamo oggi, il regno delle due ruote e della mobilità dolce a zero emissioni. Al contrario, come molte altre città in tutto il mondo occidentale, in un’epoca in cui le preoccupazioni per lo smog erano meno diffuse di oggi, il centro urbano era intasato dal traffico motorizzato e l’aria diventava sempre più irrespirabile; a subirne le conseguenze erano in primo luogo i centri urbani più compatti e meno estesi, come appunto Amsterdam, e con essi il benessere dei loro cittadini, che, tra clacson e motori rombanti, subivano un’impennata dello stress quotidiano. L’epoca, infatti, era quella del boom automobilistico: le quattro ruote erano uno status symbol e le nozioni in tema di sostenibilità lontane dalla diffusione e dalla consapevolezza di oggi. 

Qualcuno, però, si rendeva già allora conto degli effetti di questa condizione sulle persone, sulla loro salute e sul loro stile di vita. Tra questi, Luud Schimmelpennink, un membro del consiglio comunale di Amsterdam che oggi può essere considerato l’inventore di quello che è forse il primo tentativo di mobilità condivisa al mondo.

Da sostenitore del trasporto pubblico, Schimmelpennink puntava innanzitutto a ridurre il numero di automobili in circolazione, obiettivo non a caso emerso in una fase storica, gli anni Settanta appunto, e in una cultura, quella olandese, in cui il valore della cosa pubblica, della condivisione e dell’ecologia stavano da qualche tempo emergendo con forza. Schimmelpennink, che era un designer industriale mosso da una certa dose di utopia – e, oggi lo sappiamo, di lungimiranza – aveva proposto inizialmente un witte fietsenplan (traducibile come “piano delle biciclette bianche”), con cui fornire migliaia di biciclette gratuite per l’uso pubblico, che avrebbero dovuto incoraggiare i cittadini a lasciare l’auto a casa o quanto meno fuori dal centro storico. Oggi anche questo progetto suona molto famigliare e razionale, ma all’epoca fu respinto e Schimmelpennink decise allora di studiare un’alternativa, sempre ecologica ma più vicina alla classica automobile: ideò, così, una rete collettiva di veicoli elettrici, chiamata Witkarplan. L’amministrazione cittadina, ancora una volta, rifiutò di sostenere il progetto, ma il coraggioso innovatore questa volta non rinunciò, fondando invece una cooperativa con la quale ottenne prestiti per 250mila dollari per avviare la produzione, che incontrò il favore dei cittadini olandesi tanto che 2500 di loro avevano già sottoscritto un abbonamento prima ancora che l’auto fosse effettivamente pronta.

La flotta di veicoli, il cui progetto risaliva al 1969, era costituita da piccole e agili auto a due posti, di colore bianco (wit in olandese significa proprio “bianco”), che potevano essere utilizzate pagando una sorta di quota di iscrizione al servizio – una specie di abbonamento – e ottenendo così una speciale chiave elettronica; con questa, si poteva ritirare il veicolo presso una delle apposite stazioni di ricarica e tornare poi a depositarlo dopo l’uso; queste speciali auto avevano un’autonomia di circa 30 minuti di guida, potevano viaggiare al massimo alla velocità di 30 km all’ora che, se all’epoca era una cifra imposta dai limiti tecnologici, oggi risulta ideale per gli spostamenti in città, trattandosi di una velocità molto sicura dal momento che un pedone investito a questa velocità sopravvive in nove casi su 10, contrariamente a quanto accade già a 50 km orari. La prima witkar uscì in strada per la prima volta nel 1974. 

Un progetto lungimirante

Oggi le witkar sembrano un’invenzione lungimirante, le dirette antenate di un servizio moderno come il car sharing di veicoli elettrici. Elementi come il sistema informatico che gestiva la rete di witkar – che all’epoca era ovviamente più “analogico” e rozzo, passando attraverso un grande computer centrale –, l’elettrificazione come mezzo per abbattere le emissioni e le ricariche rapide (fino all’80% di carica in 10 minuti) risultano a posteriori delle intuizioni vincenti, mentre le dimensioni contenute e il design compatto delle witkar contribuirono all’epocaa ridurre l’ingombro delle strade. Il successo, in effetti, fu buono, continuando a operare tra il 1974 e il 1986, con cinque stazioni attive e 4.500 utenti al suo picco. Ci furono studi che dimostrarono che con 20 stazioni witkar si sarebbe ottenuta una riduzione del 10% del traffico cittadino, ma purtroppo il progetto non risultò economicamente sostenibile sul lungo periodo, esaurendo i fondi per l’estensione. Alla metà degli anni Ottanta, infatti, il piano delle Witkar fallì e fu necessario aspettare anni perché si cominciassero a prendere piede seriamente, con una nuova consapevolezza, progetti analoghi.  

Quelle alla base delle witkar  comunque si sono, con il tempo, dimostrate intuizioni valide che hanno mosso coraggiosi esperimenti in grado di anticipare i principi e il progetto che oggi stanno alla base della più recente urbanistica che considera la mobilità elettrica, giustamente, ma anche la condivisione, come alcuni tra gli strumenti più efficaci per decarbonizzare le città, ridurre il traffico e migliorare nel complesso la vita di tutti.

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