Il 14 Gennaio 2020 la più grande società di investimenti al mondo, Black Rock, annunciava di voler mettere la sostenibilità al centro delle proprie decisioni di investimento.
“La sensibilità sta cambiando rapidamente, e stiamo per assistere ad un radicale mutamento nelle scelte finanziarie globali”. Sono le parole del CEO e Presidente Larry Fink.
Probabilmente neanche lui immaginava che il cambiamento potesse essere così rapido e così radicale come quello imposto dalla pandemia globale che stiamo vivendo: metà dell’umanità confinata in casa, interi comparti produttivi azzerati. E il concetto stesso di globalizzazione, così come lo conoscevamo fino ad ora, finito per sempre.
L’unica buona notizia, ovvero la maggior riduzione nelle emissioni di CO2 degli ultimi 150 anni, altro non è che un brutale avviso di quanto la nostra economia sia ancora dipendente dalle fonti fossili e di quanto sia necessario un cambio comportamentale nei nostri stili di vita e nei nostri modelli di business.
Il problema: la mobilità basata sull’auto privata
La mobilità basata sull’uso dell’auto privata è la seconda causa di morte nel mondo occidentale, dopo le malattie cardio-vascolari. Nel 2019 in Europa circa 25.000 persone hanno perso la vita a causa di incidenti stradali. Sempre nella sola Europa, il costo sanitario legato alla sicurezza stradale ha superato i €100 Mld.
All’aspetto sanitario occorre aggiungere quello altrettanto importante dell’occupazione di suolo. Ogni giorno in Europa 10 ettari di terreno (15 campi da calcio) vengono sacrificati per essere asfaltati e cementificati da infrastrutture stradali. La domanda di spazio generata dall’automobile è circa 30 volte quella richiesta da un mezzo di trasporto pubblico e 50 volte quella di una bicicletta, a parità di passeggeri trasportati. Si calcola che ogni auto privata occupi in media uno spazio che, complessivamente, è circa 3 volte quello occupato dall’alloggio della famiglia che ne è proprietaria.
Sul piano economico l’auto privata costituisce per il consumatore uno dei peggiori investimenti possibili. Perde il 25% del suo valore già alla fine del primo anno dall’acquisto, e oltre il 50% dopo soli 3 anni. È inoltre un bene estremamente infra-utilizzato: meno di un’ora al giorno nel 70% dei casi. Infine il rendimento tipico del motore endotermico e il peso del veicolo fanno sì che meno del 10% dell’energia presente nel combustibile venga trasformata in movimento utile per i passeggeri.
Queste enormi inefficenze sanitarie, urbanistiche ed economiche rappresentano, in ottica imprenditoriale, delle incredibili opportunità di business che diversi settori stanno già cercando di sfruttare.
Secondo Deloitte, infatti, entro il 2030 oltre 150 milioni di persone in tutta Europa abbandoneranno almeno parzialmente l’auto privata negli spostamenti quotidiani. I chilometri percorsi in bici, in trasporto pubblico, monopattino e car-sharing passeranno da 0.1 a 5.8 trilioni, con un aumento medio annuale di oltre il 57%.
Il modello WeCity
Già nel 2004 il coordinamento del Programma Sperimentale Nazionale per l’Efficienza Energetica degli Edifici che vide coinvolto il Ministero dello Sviluppo Economico, la Regione Emilia-Romagna e i principali stakeholder economici del territorio, ebbe il merito di portare alla creazione di un primo sistema normativo volontario, poi assorbito in decreti legislativi, in grado di generare crediti emissivi di CO2 a fronte di costruzioni più efficienti e performanti. Avendo preso parte al programma, diversi anni dopo iniziai per la prima volta a ragionare sulla possibilità di dare vita a una piattaforma che potesse applicare questa intuizione alla mobilità e plasmarla in un’avventura imprenditoriale.
WeCity nacque dunque con l’obiettivo di “premiare” ogni forma di mobilità sostenibile grazie ad incentivi e gamification, così da generare un cambio comportamentale negli utenti che favorisse gli spostamenti a piedi e l’uso della bicicletta e del trasporto pubblico a scapito dell’auto privata. Uno strumento in grado di “ingaggiare” direttamente il cittadino e parallelamente raccogliere dati utili alla pianificazione urbanistica e al miglioramento della città.
Il prossimo passo sarà orientato a mantenere coinvolto il cittadino, rendendolo protagonista attivo del miglioramento della propria città. Come? Facendo in modo che chi si sposta per esempio in bici da più tempo recensisca il livello di sicurezza delle strade, fornendo così a chi si affaccia al mondo della mobilità sostenibile delle mappe urbane in grado di segnalare le strade più sicure, indipendentemente dalla presenza o meno di ciclabili.
Un obiettivo, questo, in linea con alcune delle iniziative che negli ultimi anni hanno riscosso più successo da parte dell’opinione pubblica, come la “città dei 15 minuti” proposta dalla sindaca di Parigi, Anne Hidalgo e fatta propria anche dal “C40 Mayors agenda for a green and just recovery” il programma dei sindaci del network C40 che vede alla guida della Mayoral Task Force Giuseppe Sala con la città di Milano. Al centro di entrambi i progetti l’idea di dare vita a comunità autosufficienti – distretti socialmente ed economicamente misti – con servizi nelle vicinanze, al fine di ridurre inquinamento e stress, garantire una “trasformazione ecologica” delle capitali in “collezioni di quartieri” e migliorare la qualità della vita complessiva di residenti e visitatori.
Costruire un modello economico e una società più vivibile e più umana di quella che ci stiamo lasciando alle spalle, esposta all’anarchia del mercato globale, è per certo una delle maggiori sfide che ci attendono.