Disinformazione climatica, cosa significa e come evitarla

La disinformazione sul tema 'clima' è un pericolo che può vanificare gli sforzi di tanti per garantire un futuro al nostro Pianeta e che viaggia soprattutto in rete. Il network CAAD chiede alle Big Tech un impegno preciso

La disinformazione climatica è l’informazione o la comunicazione che nega o sminuisce l’esistenza e l’impatto del cambiamento climatico, l’inequivocabile influenza umana sul cambiamento climatico e la necessità di un’azione urgente per porvi rimedio.

Questa definizione è stata sintetizzata dal Climate Action Against Disinformation (CAAD), un’iniziativa nata in concomitanza con la COP26 per dare visibilità e contrastare il tema della disinformazione in ambito climatico, realizzata per esempio attraverso i media, i social media, la pubblicità e le pubblicazioni, come una vera e propria minaccia globale capace di vanificare tutti gli sforzi che vengono fatti per frenare il cambiamento climatico.

Ne fanno parte oggi circa 50 organizzazioni che fanno parte dell’industria media, pubblicità, digital.

La disinformazione e la controinformazione sul clima avviene con la diffusione di contenuti ingannevoli o fuorvianti che, di fatto, contestano i dati scientifici dell’IPCC e quanti altre organizzazioni raccolgono e organizzano dati sul clima e gli ecosistemi. Il disconoscimento della scienza può avvenire anche in modo subdolo, travisando i dati scientifici, anche mediante omissione o selezione, al fine di erodere la fiducia nella scienza del clima, nelle istituzioni, negli esperti e nelle soluzioni incentrate sul clima.

Infine, pubblicizza falsamente come favorevoli agli obiettivi climatici sforzi che in realtà contribuiscono al riscaldamento del clima o contravvengono al consenso scientifico sulla mitigazione o l’adattamento (tra cui le pratiche dette di greenwashing).

La disinformazione sul cambiamento climatico diventa spesso vero e proprio depistaggio, ed è tra le principali minacce all’azione per il clima, il nemico numero uno delle forze sociali e istituzionali che agiscono per salvare l’ecosistema terrestre. Creano una percezione distorta della scienza e delle soluzioni climatiche e, nel contempo, indeboliscono il mandato pubblico per l’adozione di politiche nazionali e internazionali efficaci e in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Il vero e proprio negazionismo climatico non ha più tanta presa sui media tradizionali, ma continua a prosperare sui social media, complici gli algoritmi che spesso amplificano i contenuti peggiori e più estremi. Per questo motivo, si chiede che soprattutto le grandi piattaforma social – Facebook, Instagram, Google, Twitter, TikTok, Pinterest – si portino in prima linea per combattere la disinformazione climatica.

Qualche passo avanti è stato fatto.

  • Nell’ottobre 2021, Google, in collaborazione con il Conscious Advertising Network, ha annunciato una nuova politica per gli inserzionisti di Google, gli editori e i creatori di YouTube che “proibirà gli annunci e la monetizzazione di contenuti che contraddicono il consenso scientifico consolidato sull’esistenza e le cause del cambiamento climatico”.
  • Nell’aprile del 2022, Pinterest ha annunciato una solida politica per ridurre la disinformazione sui cambiamenti climatici nei contenuti e negli annunci pubblicitari, includendo linee guida chiaramente definite contro le informazioni false o fuorvianti sui cambiamenti climatici e un’ampia definizione di disinformazione sul clima.
  • Nell’aprile del 2022, Twitter ha annunciato una nuova politica per eliminare il negazionismo climatico dalla sua pubblicità, affermando: “Crediamo che il negazionismo climatico non debba essere monetizzato su Twitter, e che gli annunci fuorvianti non debbano distogliere l’attenzione da importanti conversazioni sulla crisi climatica”.

Come evitare la disinformazione climatica e cosa si chiede alle Big Tech

Secondo l’organizzazione CAAD, la COP27 sarà un momento importante per rilanciare questo tema e l’appello alle grandi piattaforme (esempio: Facebook) affinché non si rendano complici della disinformazione. Cosa si chiede in particolare? Ecco cosa si chiede alle Big Tech.

  • Accettare la definizione universale di disinformazione/disinformazione climatica.
  • Produrre e rendere pubblico un piano aziendale trasparente per eliminare la diffusione della disinformazione climatica sulla propria piattaforma che tenga conto di: standard condivisi che non consentano dichiarazioni ingannevoli sulla scienza o sulla politica climatica; un processo di fact-checking trasparente che includa il modo in cui la disinformazione e l’informazione sul clima vengono classificate e gestite da fact-checkers indipendenti e il modo in cui vengono protette dalla politicizzazione da parte del personale aziendale; aggiunta di un filtro per interrompere la potenziale disinformazione sul clima e garantire un controllo umano su tutti i post segnalati in questo modo.
  • Pubblicizzare l’ approccio di tolleranza zero direttamente agli utenti.
  • Non pubblicare annunci pubblicitari se contengono disinformazione climatica o controinformazione in base alla definizione.
  • Condivisione delle vostre ricerche interne sulle modalità di diffusione della disinformazione climatica sulla vostra piattaforma con ricercatori e giornalisti, in modo da poter lavorare insieme per affrontare questo problema globale e sfaccettato.

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