Le pagelle delle aziende italiane nell’inclusione

Sei meno meno. Ma, come si usa dire in questi casi per non far crollare la motivazione, ci sono segni di miglioramento. Le aziende italiane messe alla prova della diversity&inclusion da EY sono state rimandate.

Sono piccoli, piccolissimi passi avanti, ma ci sono. Le politiche DEI (Diversity, Equity e Inclusion) stanno facendo capolino nelle aziende del nostro Paese, molto timidamente, con investimenti ridotti e scarse basi culturali, tuttavia nella classifica di 9 Paesi europei (Austria, Belgio, Olanda, Svizzera, Italia, Portogallo, Spagna, Francia, Germania) siamo arrivati sesti. Accontentiamoci, per il momento, di aver fatto meglio di Francia, Belgio, Germania.

La classifica, che si chiama European DEI Index, l’ha fatta la società di consulenza EY e consiste in un’analisi sul tema della diversità e inclusione realizzata raccogliendo l’opinione di 900 manager dirigenziali e 900 dipendenti provenienti dai 9 Paesi europei prima indicati, inclusa l’Italia.

Non è che nessun Paese sia messo davvero bene: come nei voti a scuola, la scala della classifica è 1 – 10, il 6 della Svizzera rappresenta appena la sufficienza. L’Italia è sotto la sufficienza.

A dirla tutta, la situazione è pure un po’ peggio di così, perchè in realtà, dice EY, c’è un nucleo di poche aziende leader nella DEI che hanno delle ottime performance e migliorano la media, mentre tutte le altre lasciano molto a desiderare.

Bastano alcuni dati (il report completo qui):

  • solo 2 dipendenti su 5 si sentono sé stessi e accettati sul lavoro;
  • il 47% dei lavoratori italiani (contro il 36% dei colleghi europei) ha subito episodi di discriminazione sul luogo di lavoro;
  • un quarto delle organizzazioni non ha intrapreso alcuna azione per favorire la diversità culturale (il 36% non ne ha prese per la LGBTQIA+ diversity);
  • il 60% non si è occupata minimamente delle disabilità;
  • la percezione tra manager e non manager è molto diversa: 72% dei manager vs 41% dei non manager si sentono sicuri sul lavoro;
  • i dipendenti italiani, più dei colleghi europei, si sentono sovraccarichi (44% vs 34%);
  • il 22% dei manager italiani affermano che il principale ostacolo al miglioramento del DEI è legato a resistenze culturali interne.

“L’attenzione di media e investitori sui temi ESG ha contribuito allo sviluppo delle strategie di DE&I ma, sebbene ci siano stati dei progressi negli ultimi anni, c’è ancora molto da fare per portare l’Italia su posizioni competitive per quanto riguarda l’inclusione e la valorizzazione delle diversità. – ha spiegato Francesca Giraudo, Talent Leader di EY in Italia. “Le aziende italiane scontano soprattutto la mancanza di un approccio olistico al tema: il più delle volte il dibattito sulla DEI si limita esclusivamente al tema dell’equità di genere, che ovviamente è molto importante, ma semplicemente non abbastanza. Inoltre, emerge una differente percezione delle misure implementate e dei risultati ottenuti tra dipendenti e management”.

Tirando le somme: laddove le aziende sono indietro sul fronte DEI, aumentano i rischi dell’azienda circa il benessere, la fedeltà, la produttività dei dipendenti. Al contrario, le organizzazioni che raggiungono punteggi più alti, che investono di più e meglio nella DEI ne traggono benefici in termini di metriche aziendali e di esperienza dei dipendenti. I manager riferiscono livelli più elevati livelli di soddisfazione e produttività dei dipendenti, oltre a una maggiore crescita finanziaria, innovazione e soddisfazione dei clienti.
I leader DEI hanno anche la possibilità di beneficiare di una migliore di fidelizzazione del personale rispetto alle altre organizzazioni. E quest’ultimo partidolare, da solo, in un momento storico in cui uno dei grandi problemi delle aziende è la ‘forza lavoro‘, è un grandissimo vantaggio.

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