Il mondo si è svegliato: adesso che la pandemia globale ci ha fatto (e ci fa) paura, anche il panico per le altre emergenze che da tempo incombono su di noi come quella climatica, comincia a incidere sul nostro modo di pensare e sui nostri comportamenti.
In un nuovo sondaggio del World Economic Forum-Ipsos su oltre 21.000 adulti provenienti da 28 Paesi, quasi nove su dieci dichiarano di essere pronti per la loro vita e per il cambiamento del mondo.
Il 72% vorrebbe che la propria vita cambiasse in modo significativo e l’86% vorrebbe che il mondo diventasse più sostenibile ed equo, piuttosto che tornare a com’era prima dell’inizio della crisi COVID-19. In tutti i Paesi, coloro che condividono questo punto di vista sono più numerosi di quelli che non lo fanno con un margine molto significativo (più di 50 punti percentuali in ogni Paese, ad eccezione della Corea del Sud). La preferenza per un cambiamento più sostenibile ed equo nel mondo è più diffusa nelle regioni dell’America Latina e del Medio Oriente-Africa, oltre che in Russia e Malesia.
Noi italiani, similmente alle nostre nazioni sorelle europee, siamo ben posizionati quanto a voglia di cambiamento: l’85% degli italiani intervistati, tra i convintissimi e i moderati, crede che sia necessario agire in ambito sostenibilità e giustizia per avere un dopo Covid migliore del pre-Covid.

La pandemia, insomma, sta rappresentando una linea di demarcazione anche culturale: ha incrinato quella corazza di invincibilità che la nostra società si portava dietro, offerto un assaggio di cosa significa andare incontro a una calamità che non abbiamo i mezzi per contrastare, almeno nell’immediato. Il che è esattamente quello che ci tocca se non mettiamo in pista adesso soluzioni drastiche per rallentare gli effetti dell’emergenza climatica e di tutte le sue conseguenze estreme, come ad esempio, la migrazione climatica, di cui parla questo recente e interessantissimo studio della World Bank ‘Groundswell : Preparing for Internal Climate Migration‘, scaricabile gratuitamente qui.
Le migrazioni non sono qualcosa che è possibile respingere, ma qualcosa che è necessario imparare a gestire subito, prima di tutto per una questione di umanità e giustizia. Ma anche perché da qui al 2050 ci saranno, secondo questo studio, almeno 140 milioni di persone che dovranno lasciare il proprio Paese nelle aree Sub-Saharan Africa, South Asia e Latin America a causa di invivibili condizioni ambientali che il cambiamento climatico avrà creato.
Qui un’infografica esplicativa.
Ritornando all’indagine del WEF c’è un altro grafico importante che riguarda il sentimento di soddisfazione personale e responsabilità individividuale.

Insieme alla consapevolezza che siano necessarie azioni concrete di sostenibilità per migliorare il mondo, è cresciuta anche quella che sia necessario un significativo cambiamento personale.
In tutti i 28 Paesi, il 72% (in Italia il 76%) desidera che la propria vita cambi in modo significativo piuttosto che tornare a com’era prima della crisi COVID-19 (30% fortemente e 41% un po’), mentre l’altro 29% non è d’accordo (21% fortemente e 8% un po’).
L’indagine non chiarisce se questo desiderio di cambiare vita sia una ricerca di vita più sostenibile o una ricerca di vita migliore, ma possiamo immaginare che sia un mix di entrambe le cose. Possiamo immaginare, e anche immedesimarci, nel desiderio di cambiamento della nostra vita che il Covid ci ha portato. Nella tragicità di questo evento, forse è una delle cose che possiamo salvare. Il virus ci ha portato chiarezza, ha innescato una profonda riflessione personale e sociale.
Questo è un valore che non dobbiamo perdere: la nostra più grande fragilità è anche la nostra forza, la nostra spinta verso il cambiamento per essere più felici in un mondo più giusto.
E’ in questa chiave che interpreto anche uno dei messaggi emersi dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, svoltasi in questi giorni. La Prima Ministra del Belgio Sophie Wilmès ha detto nel suo intervento:
‘Il Covid-19 non deve accecarci. Al contrario, dobbiamo aprire gli occhi sulle debolezze che questa pandemia ha messo a nudo, per esempio quella dei nostri modelli sociali. L’emergenza climatica è una sfida per la pace, una causa dietro la quale ognuno di noi deve mobilitarsi”.
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