Salute mentale: se ne parla maggiormente ma resistono i tabù

La ricerca di Unobravo MINDex rivela un paese che ha una nuova consapevolezza sul tema: il cambiamento è guidato dai giovani, che però spesso nascondono il proprio disagio

Cresce l’attenzione sul benessere psicologico degli italiani, come emerge dall’Unobravo MINDex, il barometro del benessere mentale: l’indagine è stata condotta da Unobravo Società Benefit, che è una delle principali realtà nel panorama europeo per i servizi di supporto psicologico online.
Il quadro appare complesso, poiché emerge un paese che sta lentamente aprendo gli occhi sulla salute mentale, nonostante ancora molti continuino a voltarli dall’altra parte. I numeri fanno emergere delle contraddizioni profonde: mentre solo il 16% degli intervistati percepisce la salute mentale come un argomento di cui si parla apertamente, ben l’81% degli italiani considera ancora il disagio psicologico come un segno di debolezza caratteriale.

È come se il nostro paese fosse attraversato da due correnti opposte: una che spinge verso la normalizzazione del benessere psicologico, l’altra che lo trattiene ancorato a stereotipi del passato.
“Investire nella salute mentale significa investire nel potenziale delle persone e della società”, commenta Danila De Stefano, CEO e Fondatrice di Unobravo. “Anche se spesso non ce ne rendiamo conto, tutto è psicologia: come viviamo le relazioni, le emozioni che proviamo, fino a ciò che abbiamo dentro di noi che ci ostacola o facilita nel raggiungimento degli obiettivi personali”.

Grafco della percezione degli italiani dei problemi di salute mentale

La generazione del cambiamento

Fotografia di Danila De Stefano, CEO e Fondatrice di Unobravo
La fondatrice di Unobravo Danila De Stefano

I giovani tra i 18 e i 29 anni sembrano essere i veri protagonisti di questo cambiamento culturale, più aperti e consapevoli rispetto alle generazioni precedenti: lo confermano i professionisti clinici coinvolti nell’indagine, poiché il 43% dei ragazzi crede che sia in corso una trasformazione positiva nel modo in cui guardiamo alla salute mentale.
Tuttavia, sono proprio i giovani a vivere il contrasto più doloroso tra questa nuova apertura e la pressione sociale che li circonda: il 38% di loro ammette di aver dovuto nascondere il proprio disagio emotivo, e uno su cinque lo fa quotidianamente. Sono coloro che portano avanti una trasformazione che non ha ancora trovato piena accettazione sociale.

Uno degli aspetti più preoccupanti che emergono dall’indagine riguarda la diffusione di quello che potremmo chiamare il “fenomeno della maschera”: troppi italiani, soprattutto donne e giovani, si sentono costretti a fingere di star bene. Dietro questa recita forzata si nascondono spesso commenti stereotipati: come la classica frase che “tutti hanno dei problemi”, che almeno quattro italiani su dieci hanno pronunciato o si sono sentiti rivolgere.
Le donne ne fanno le spese più degli uomini, riportando più frequentemente di sentirsi liquidate con questa espressione (48% contro il 38% degli uomini). Tra i più giovani, invece, è comune essere etichettati come esagerati quando tentano di condividere il proprio malessere. È un circolo vizioso che alimenta l’isolamento proprio nel momento in cui servirebbe maggiore comprensione e sostegno.

Il peso delle difficoltà quotidiane

L’indagine rivela che oltre il 90% degli italiani ha vissuto almeno una difficoltà che ha influenzato il proprio stato psicologico. In cima alla lista troviamo lo stress lavorativo, che colpisce il 35% del campione, seguito dalle preoccupazioni economiche o abitative (29%) e dai timori legati alla salute (27%).
Ma è osservando le differenze generazionali e di genere che il quadro si fa ancora più nitido. I giovani e le donne sono più inclini a sperimentare ansia sociale, bassa autostima e solitudine, mentre sentono più spesso di essere bloccati, insoddisfatti e privi di uno scopo. Gli uomini, invece, manifestano maggiormente stress legato al lavoro e problemi di dipendenza.

Dal punto di vista delle preoccupazioni sociali più ampie, al primo posto si colloca la lotta quotidiana per l’uguaglianza di genere, indicata dal 45% degli intervistati, seguita dalle sfide economiche e finanziarie legate anche alle tensioni geopolitiche (42%) e dai timori per la violenza e la sicurezza pubblica (37%).

Fotografia di Valeria Fiorenza Perris, Direttore Clinico di Unobravo
La direttrice clinica Valeria Fiorenza Perris

Ma nonostante i pregiudizi che continuano a persistere, emerge un cambiamento nella percezione delle terapie psicologiche: il 42% degli intervistati pensa che tali terapie siano uno strumento fondamentale per il benessere mentale e la crescita personale, percentuale che cresce tra i giovani e le donne.

“La terapia online ha rappresentato una vera svolta”, sottolinea Valeria Fiorenza Perris, Direttore Clinico di Unobravo, “poiché per oltre il 71% degli specialisti ha contribuito in modo significativo ad ampliare l’accesso e normalizzare la richiesta di supporto”. A distanza di cinque anni dalla pandemia la domanda rimane alta e continua a crescere, segno che il bisogno di salute mentale non è un’emergenza passeggera, ma una necessità per il benessere di ognuno.
I giovani guardano poi con interesse alle nuove tecnologie: il 52% degli intervistati tra i 18 e i 29 anni ritiene che l’Intelligenza Artificiale avrà un impatto positivo sul miglioramento dell’assistenza alla salute mentale.

Ostacoli da abbattere, scelte da compiere

Ci sono ancora delle barriere da abbattere per una piena accettazione del supporto psicologico: per il 57% degli intervistati il costo appare uno scoglio significativo per iniziare un percorso terapeutico.
Ma c’è pure un ostacolo più profondo, di natura culturale: il 73% dei professionisti osserva che i pazienti rimandano l’inizio della terapia perché convinti di dover “farcela da soli”. È un atteggiamento che riflette la richiesta di aiuto come l’ammissione di una sconfitta piuttosto che vederla come un atto di coraggio e di responsabilità verso sé stessi.

Il mondo del lavoro è infine l’ambito dove la strada verso la normalizzazione della salute mentale appare ancora più in salita: solo un terzo dei lavoratori ritiene che la propria organizzazione promuova un ambiente psicologicamente sano, mentre il 40% riferisce che non ci sono benefit o supporti specifici per la salute mentale.
I dipendenti tra i 30 e i 39 anni sono i più colpiti da stress e burnout: il 65% di loro ha preso in considerazione l’idea di lasciare il lavoro o lo ha già fatto. È più comune mentire sui motivi di un’assenza per malattia quando è legata alla salute mentale (38%) che dichiarare la vera ragione (29%).

Dalla ricerca di Unobravo emerge dunque un paese in transizione, dove convivono vecchie resistenze e nuove aperture: “prendersi cura della propria salute mentale può essere una rivoluzione positiva”, conclude Danila De Stefano, “e troppe persone si tengono ancora a distanza”.
L’indagine mostra che c’è ancora molta strada da fare per rompere il pregiudizio rispetto al benessere psicologico, a partire dalla consapevolezza del proprio stato emotivo. Forse la chiave sta proprio in questo cambiamento di prospettiva: smettere di vedere la cura della propria mente come una debolezza ma considerarla piuttosto come un investimento nella propria forza.

Unobravo

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