Quando negli anni ’70 si parlava del Gratosoglio, la maggior parte dei milanesi pensava che fosse meglio evitare quel quartiere: come in tutte le zone periferiche delle grandi città il flagello della droga stava lasciando segni pesanti, soprattutto nei più giovani. Ma, come spesso accade, in qualcuno scatta la voglia di riscatto e di provare a dare un’altra prospettiva a questo popolo di sbandati: è così che nel 1982 nasce la Comunità Oklahoma.
Il personaggio principale di quegli anni è Pierangelo Musco, detto Giosto, un educatore “sui generis” che aveva provato sulla sua pelle l’abbandono, l’emarginazione e la stessa tossicodipendenza: chi lo ricorda vede proprio nel suo passato la spinta fortissima ad aiutare e solidarizzare con i ragazzi in difficoltà. Don Gino Rigoldi (cappellano del carcere minorile Beccaria) fu fra i primi a occuparsi di dare risposte concrete contro la diffusione dell’eroina e, ricordando Musco, ha detto che “soltanto chi c’è passato può capire e prendere per il verso giusto chi soffre dello stesso male”.
La passione educativa di Giosto è condivisa da altri educatori, più giovani di lui che ha già oltre quarant’anni, e insieme cercano di offrire delle prospettive a tutti quei ragazzi che le istituzioni già consideravano alla deriva e irrecuperabili. Dopo essersi arrangiati in soluzioni provvisorie, finalmente nel 1985 la Onlus riceve in gestione dal Comune di Milano lo spazio abbandonato di una scuola materna in via Baroni, tuttora sede della comunità, potendo così sviluppare meglio il proprio progetto educativo e di recupero.
Perseverare e tener duro, anche a costo di rimetterci
Fin da subito Oklahoma non si delinea come centro di assistenza, bensì come un ecosistema educativo, che trasforma le fragilità in opportunità: tuttora viene offerta accoglienza a ragazzi maschi, dai 13 ai 18 anni che vivono situazioni critiche: problemi familiari, assenza di figure adulte di riferimento, o lievi percorsi penali.
Lo spazio della struttura è suddiviso in due parti, che corrispondono alle due comunità Oklahoma e Arizona, dove alloggiano in entrambe 10 ragazzi: nel primo caso viene elaborato il progetto educativo individuale, orientato soprattutto alla scolarizzazione, mentre nel secondo avviene la prosecuzione e la conclusione del progetto per l’inserimento nel mondo del lavoro. L’integrazione sociale è infatti il fine ultimo della Onlus.

“Negli anni ’80 questo era considerato il far west di Milano”, ricorda Andrea Cainarca, direttore della comunità“, e anche qui dentro sono stati vissuti momenti di fatica importanti”. Per quanto al Gratosoglio venisse spesso associata la parola “far west”, il nome Oklahoma ha un’altra origine: è proprio Pierangelo Musco a proporlo, per quell’immagine delle immense praterie che aveva visto solo al cinema, ma che ben rappresentavano la libertà e l’infinito che sognava anche per tutti quei ragazzi.
Ma nonostante questo fondamentale ruolo sociale, il rischio di chiusura si è presentato almeno tre volte. “Le politiche sociali cambiano rapidamente e improvvisamente sono venuti a mancare i contributi pubblici”, rammenta Andrea: “nel 2009 i dipendenti hanno rinunciato al tfr pur di non chiudere, e pure nel 2014 l’allora presidente Emanuele Martinoli si è assunto delle notevoli responsabilità, con i dipendenti che sono rimasti senza stipendio per sei mesi.”
I volontari hanno sempre avuto un ruolo chiave, ma specie nei momenti più difficili il loro supporto è stato vitale per la comunità: “la nostra è una realtà piccola ma dove si è formato un fortissimo senso di appartenenza, c’è una grande forza nascosta”, insiste il direttore, “e oggi la comunità si è aperta verso il quartiere, con cui si è instaurato un dialogo proficuo”.
Grazie a questo aspetto che si è sviluppato nell’ultimo decennio Oklahoma stessa è cambiata e ha potuto crescere, potendo contare sul contributo di oltre 80 volontari e sulla relazione con molte aziende: “è stato fatto un vero e proprio investimento sui volontari”, continua Andrea, “affinché alla buona volontà si aggiungesse competenza e tutto il tempo donato diventasse ricco di significato”.
“Siamo passati da un ambiente protetto, necessario per tutelare dei minori in difficoltà, a una realtà ricca di presenze”, aggiunge Francesca Ciulli, responsabile dei volontari: “la possibilità di incontrare adulti con cui instaurare relazioni costruttive è per i ragazzi è una grande opportunità”.
Stimolare la creatività per lo sviluppo personale
L’approccio educativo di Oklahoma si basa su alcuni principi, che vedono nell’accoglienza immediata e personalizzata la base per costruire un percorso strutturato per ogni ragazzo: essendo una comunità dove i minori vivono c’è una presenza e un accompagnamento quotidiano da parte di educatori qualificati, i quali a loro volta risiedono nella Comunità. Questo serve per costruire di un contesto di “casa”, dove si educa attraverso l’esperienza condivisa.
Affinché l’adolescenza sia vissuta come un periodo di sperimentazione sicura e consapevole, Oklahoma offre ai ragazzi la possibilità di mettersi alla prova, trovando autonomia e libertà: a tale proposito i cinque laboratori creativi sono veri e propri strumenti di crescita e di stimolo per ogni adolescente.

Come sottolineano Andrea e Francesca “il laboratorio di cucina è stato il volano: quella che prima era un’attività sporadica è diventata una possibilità offerta ai ragazzi per sperimentarsi in modo strutturato”. La cucina di Albert (in ricordo di un ragazzo di Oklahoma morto tragicamente) è stata anche quella che ha permesso di invitare gli abitanti del quartiere a pranzare con la Comunità, così da potersi conoscere reciprocamente.
“Da 4 anni la cena di Natale del Municipio 5 è affidata a noi”, ci dice con orgoglio Francesca, sottolineando come la cucina, che è gestita da una educatrice e vari volontari, offra un notevole livello di coinvolgimento: “come quando una volta un ragazzo del Bangladesh scriveva alla mamma con Whatsapp per sapere come cucinare un piatto tipico. Il piatto di casa è per noi un punto fondamentale, perché dà a ognuno un riconoscimento della propria storia e della propria identità”. Inoltre, fra i volontari, ci sono “i due anziani” che vanno nelle scuole a recuperare il cibo avanzato, andando con qualcuno dei ragazzi ospitati.


Lingua sciolta è il nome del laboratorio di accompagnamento alla lingua italiana, che garantisce oggi 24 ore alla settimana, individuali, per ogni ragazzo: “non cerchiamo solo il livello A2, ma puntiamo a dare loro la licenza media”, specifica Francesca.
CIOK è il nome della ciclofficina, nata nel 2008, dove i ragazzi danno nuova vita a biciclette abbandonate e dismesse: grazie a un volontario come Marco Marin, i ragazzi si sono costruiti i loro mezzi di trasporto, con i quali hanno pure partecipato a vacanze sulle due ruote. L’apprendere tecniche di manutenzione della bicicletta non solo è un ottimo esempio nella logica del riciclo e della riduzione di mezzi di trasporto inquinanti, ma ha consentito di offrire al quartiere piccole o grandi riparazioni, all’insegna della solidarietà.

Essendoci un giardino all’interno della struttura, nel 2016 è nato l’orto di Ale, sviluppato in ricordo di una giovane, Alessandra, che esprime molto bene il senso di quanto avviene in comunità: si semina, si coltiva con passione e cura, per vederne poi i frutti.
L’ultimo nato è H228, il laboratorio di Hip Hop e autobiografia, dove i ragazzi che hanno alle spalle problematiche di violenza, bullismo, detenzione minorile, trovano una modalità che li aiuta a esprimere quello che hanno dentro: “e dove gli educatori vanno in crisi perché non sanno che cosa censurare”, interviene Francesca.
Costruire relazioni sane verso l’integrazione
Tutti i laboratori permettono ai ragazzi di sviluppare competenze pratiche, relazionali e personali: in qualche caso sono pure diventati un’occasione per collaborare con altre realtà del terzo settore. “Un paio di giorni alla settimana vengono in ciclofficina alcuni ragazzi con disabilità cognitiva, di un’associazione vicina a noi”, spiega Andrea: “questa non è una fatica in più, ma da due realtà che hanno un bisogno si arriva a un beneficio comune”.
Grazie al rapporto costruttivo che si è instaurato con il preside Gianpaolo Bovio del vicino Istituto Statale Arcadia si sono raggiunti ulteriori risultati positivi, investendo su quei ragazzi a rischio di dispersione scolastica.

Gli oltre 40 anni di storia hanno reso la Comunità Oklahoma una realtà con una struttura educativa chiara e riconoscibile, a disposizione del territorio: “abbiamo organizzato eventi nella piazza senza nome che sta qui fuori”, continua Andrea, “e cerchiamo costantemente di valorizzare ogni occasione di contatto”. A tale proposito l’ultima Maratona di Milano ha avuto un’importanza fondamentale: vi hanno partecipato 80 staffette unite dalla frase “Io corro per Oklahoma”, dove persone di ogni genere hanno gareggiato, anche nella raccolta di fondi per la Comunità.
“La maratona è un ottimo esempio di coinvolgimento e di modalità per lavorare con le aziende”, ci conferma Sandro Patè, responsabile della comunicazione: “tutti vivono una competizione sana che, grazie all’attività della raccolta fondi, ha poi permesso ai ragazzi di andare in vacanza; e il 6 aprile ritornemo in pista per la tredicesima volta”. I finanziamenti servono anche per il tempo libero, ad esempio per visitare in un museo, andare a giocare a calcio, fare una gita a Gardaland o in barca a vela.
Nonostante i molteplici progressi e successi le fatiche non mancano, ma “entrambe le equipe di Oklahoma e Arizona sono strutturate per rispondere anche ai quegli adolescenti che mettono in serie difficoltà”, conclude il direttore: “i ragazzi restano il nostro focus e molti di loro ritornano a trovarci, dopo che hanno raggiunto l’autonomia”.
L’efficacia degli interventi della Onlus è confermata dagli oltre 1000 ragazzi accompagnati nel loro percorso di crescita dal 1982 ad oggi: un aspetto che è stato riconosciuto nel 2016 con l’Ambrogino d’Oro della Città di Milano. Contando su un costante supporto psicologico e relazionale, che aiuta a costruire competenze personali e professionali, Oklahoma continua in quel percorso che può trasformare le fragilità in opportunità di crescita, permettendo ai ragazzi di diventare cittadini autonomi e consapevoli.
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