Più donne per una città più equa, più sostenibile. E più giusta. È questa la filosofia che anima l’associazione Torino Città per le Donne (TOXD) nata, appunto, per promuovere spazi urbani a misura di tutti, per superare l’impianto fordista di città realizzate a misura di uomini. Città che mettono a disposizione meno servizi per le donne, ma anche per le categorie più fragili come disabili o persone appartenenti alla comunità Lgbtqia+. O ancora, che progettano i trasporti in modalità centripeta – dalla periferia al centro e viceversa – ma che non tengono conto della frammentazione che caratterizza gli spostamenti delle donne impegnate a districarsi tra casa, lavoro, impegni di cura. Città che troppo spesso non tengono in considerazione l’impatto socio-ambientale delle politiche urbane e che ancora non considerano la sostenibilità leva di sviluppo e inclusione.
Del perché serve una città per le donne, che è una città per tutti, ne parliamo con Monica Cerutti, componente del direttivo di Torino Città per le Donne e ricercatrice al Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino.
Perché serve una città per le donne oggi?
Perché è tempo di una trasformazione profonda che metta al primo posto l’inclusione, che presti attenzione all’ambiente, che guardi nel lungo periodo e contribuisca a costruire un futuro sostenibile per le nuove generazioni. Bisogna abbandonare – lo scriviamo nel manifesto dell’associazione TOXD – una politica predatoria, aggressiva e muscolare per abbracciare la cura, l’attenzione e la gentilezza.
E questo come investe le donne?
Le donne vogliono lavorare, essere retribuite in modo equo e coltivare liberamente i propri sogni e ambizioni. Le donne che lavorano producono reddito per sé e per le proprie famiglie, vogliono un progetto di vita senza penalizzazioni. Pensare all’occupazione delle donne significa aumentare la loro autonomia e soddisfazione, la possibilità di spesa delle famiglie, sostenere i consumi e quindi in definitiva sostenere l’inclusione, lo sviluppo e il lavoro di tutti. E per raggiungere questi obiettivi, ovviamente, servono più donne dentro le istituzioni. Torino Città per le Donne, come sua prima azione, ha lavorato su questo fronte.
In che modo?
Il Piemonte era una delle poche regioni che nella legge elettorale regionale non prevedeva la doppia preferenza di genere, con il risultato che, ad esempio, nell’attuale legislatura ci sono solo 9 donne su 51 consiglieri. Nell’agosto del 2022 abbiamo presentato una proposta di legge di iniziativa popolare dopo aver raccolto 8500 firme che è stata accolta la scorsa estate nella nuova legge elettorale. Ovviamente il lavoro non è finito con l’approvazione, ora bisogna mobiliarsi affinché le persone votino ponendo attenzione ai candidati e alle candidate che effettivamente si spendano per politiche a favore delle donne. E dunque dell’inclusione di tutti.
Quali azioni mette in campo Torino Città per Donne per contribuire a sensibilizzare le persone su questo tema?
Abbiamo organizzato momenti di confronto con approccio bottom up ovvero coinvolgendo la cittadinanza. Il festival Women in the city dello scorso ottobre è stata, ad esempio, l’occasione per avviare una riflessione comune per favorire le prospettive di genere e immaginare città eque. E lo abbiamo fatto anche con l’aiuto dei ragazzi che hanno potuto inviare i loro progetti (fotografici, video, audiovideo, elaborati scritti) sulla città che vogliono, partecipando all’omonimo contest. Nel corso del 2024 sveleremo i vincitori. Altra iniziativa è la “Scuola libera Mahsa Amini” un laboratorio a disposizione della diaspora iraniana in Italia e di tutti coloro che vogliono interrogarsi sul presente e sul possibile futuro dell’Iran.
Di che si tratta nel dettaglio?
Come Associazione TOXD abbiamo accompagnato i primi passi e il cammino del gruppo di ragazze e ragazzi iraniani che a Torino hanno dato vita al movimento per la democrazia in Iran. Abbiamo dunque immaginato uno spazio dove confrontarsi per immaginare un futuro diverso quel Paese. Il percorso si rivolge a tutti ma in particolare alla comunità iraniana, in questi mesi impegnata tutta nel movimento “Woman life freedom”, agli studenti universitari (e non) e alla cittadinanza di ogni età, interessati a comprendere i fattori sottostanti la costruzione di un percorso democratico per l’Iran.
C’è un tema “caldo” che emerge riflettendo sulla possibilità di re-inventare città per le donne ovvero quello della tecnologia. In che modo questa può contribuire alla svolta “femminista” e quanto invece rischia di replicare modelli urbani che già conosciamo?
Molto dipende da come viene usata la tecnologia. È chiaro che se governata o utilizzata per sperimentare, e poi mettere a regime, servizi su misura dei bisogni e delle abitudini delle persone può essere una grande leva di trasformazione. Soprattutto per le donne che sappiamo essere molto spesso divise tra lavoro retribuito e lavoro di cura.
Avete messo in campo iniziative su questo versante?
Insieme all’associazione Donne 4.0 e FirstLife, il social network civico georeferenziato dell’Università di Torino stiamo mappando le strade di Torino intitolate a donne con l’associazione Toponomastica Femmininile e le realtà del terzo settore. L’obiettivo è realizzare una piattaforma per l’urbanistica di genere.