Il comico livornese Paolo Ruffini, insieme a 5 ragazzi down e un ragazzo autistico sono i protagonisti di Up & Down, spettacolo che ha già una consolidata storia di successo e che è ritornato in tournée in alcuni teatri italiani, a partire dal 23 aprile. I ragazzi fanno tutti parte della compagnia livornese Mayor Von Frinzius, che conta circa 60 attori, metà dei quali con disabilità.

E’ l’unica compagnia residente del Teatro C. Goldoni.
L’idea era nata nel 1997 dallo psicologo e psicoterapeuta Pier Giorgio Curti, che ha coinvolto il regista Lamberto Giannini per sviluppare un laboratorio teatrale: con il passare del tempo e l’aumentare dei partecipanti, il progetto iniziale prende la forma di un gruppo teatrale vero e proprio, che nel corso degli anni ha realizzato decine di spettacoli teatrali. Abbiamo incontrato Lamberto Giannini che, oltre a essere regista e attore, è docente di filosofia in un liceo, scrive di pedagogia e ha un’esperienza più che ventennale in ambito sociale.
Contaminazione, non integrazione
Mayor Von Frinzius ha già una storia importante alle spalle e tu hai spesso sottolineato che si tratta di un progetto artistico, non terapeutico.
“Certamente: io penso che il teatro come tale, già a partire dall’antica Grecia, abbia una sua valenza terapeutica, mentre non credo nel teatro che mira a fare terapia usando i suoi meccanismi. Il progetto artistico significa che noi lavoriamo per realizzare qualcosa di bello, a volte riesce e a volte meno, ma anche quando emergono dei contrasti o delle divergenze, sono tutti punti di vista che hanno un valore”.
Un altro punto fermo del tuo lavoro è la differenza fra il “fare incontrare” piuttosto che “integrare”, una distinzione che non è banale.
“Noi puntiamo molto sulla contaminazione, cioè sull’incontro, che è qualcosa che lascia sempre un segno: non mi piace il concetto di integrazione perché mi dà l’idea di una forzatura, affinché l’altro diventi come vuole il meccanismo sociale. Per di più non abbiamo neanche una società che ispiri tanto all’integrazione; quindi, l’aspetto della contaminazione ha per me ha un grande valore. La metà degli attori non disabili della compagnia sono molto giovani, per cui ci confrontiamo con il mondo adolescenziale, con le sue dinamiche che portano sovente a difficoltà nell’incontro: invece la contaminazione con il mondo della disabilità fa uscire una miscela esplosiva che produce quella vibrazione, anche quella scorrettezza che secondo me sono fra gli elementi più belli del teatro”.
Lavorare, in amicizia, con Paolo Ruffini
Poi avviene l’incontro con Paolo Ruffini e da qui l’idea di creare Up & Down: ci racconti la genesi?
“Con Paolo siamo amici da oltre 20 anni e anche quando lui è diventato piuttosto famoso, non ha mai smesso di seguire il percorso della compagnia, con un occhio molto attento. Quando è emersa l’idea di fare un progetto assieme la sua risposta è stata immediatamente positiva: qui Paolo ha il duplice ruolo di attore comico, quello che tutti conoscono, ma nello stesso tempo lascia i panni del clown pasticcione, irrispettoso, per fare invece quello che prova a richiamare all’ordine i ragazzi. Nel 2016 abbiamo realizzato con lui “Un grande abbraccio” e poi “Up & Down”, nati per unire mondi e obiettivi diversi: il progetto non ha uno scopo di beneficenza bensì una finalità artistica commerciale. Talvolta questa alchimia viene naturale, altre volte però bisogna smussare gli angoli: ma il bello di lavorare con Paolo e che ci si vuole bene e ci si stima e quindi anche i momenti di scontro ogni tanto fanno bene”.
Ci sono dei valori, dei messaggi in particolare che vorresti fossero recepiti da Up & Down?
“L’elemento principale riguarda la relazione umana, che è vincente, in qualsiasi situazione, a tutti i livelli: è quella di cui abbiamo un bisogno enorme. Credo poi che emerga come l’anomalia ci spiazzi sempre: così accade che se qualcuno vuol fare il tipo originale e incontra “un anomalo vero”, prevale sempre quest’ultimo”.

Sia nelle locandine dello spettacolo che nel film che racconta il dietro le quinte, la costante che accomuna i ragazzi è il sorriso, la risata: si possono definire questi attori dei portatori di felicità?
“Se fosse Paolo a rispondere, direbbe di sì; secondo me questi attori sono uomini e donne, con tutti i contrasti e i sentimenti di qualunque persona. Diciamo però che hanno dei meccanismi con cui danno significati e valori a determinate cose alle quali noi non siamo più abituati; sono magari tristi perché non c’è la merenda o scoppiano di gioia perché hanno ricevuto un saluto da qualcuno. Noi abbiamo creato delle sovrastrutture e forse abbiamo perso il significato profondo di quel che ci circonda; in questo senso c’è forse ancora una diversità”.
Gli attori di Up & Down
Ci piacerebbe dire qualcosa in più sui ragazzi che recitano in Up & Down.
Hanno tutti particolarità e caratteristiche diversissime fra di loro. Federico Parlanti è un attore fantastico, che fa della pigrizia una sua virtù, la sua forza, con una capacità naturale del tempo comico. Anche Simone Cavaleri ha peculiarità analoghe, nel ritmo, nel perdersi nella sua pigrizia ma mantenersi con una stupefacente potenza teatrale. Andrea Lo Schiavo è un imitatore incredibile, osserva chiunque e tenta di riproporre le cose che vede con una capacità, non so quanto consapevole, di mescolarle. Erika Bonura ha una costanza e una perseveranza così rare, che se l’avessero così tante altre persone sarebbe davvero un mondo migliore. Marco Visconti ha una velocità unica, è un personaggio straordinario, mentre Giacomo Scarno è proprio quello che va a cercare la dimensione contraria, è un attore di una scorrettezza singolare, può apparire deconcentrato fino a un minuto prima di entrare in scena, ma poi quando è sul palco ha una potenza fuori dal comune.
Come fa allora un regista ad assemblare e coordinare personalità così articolate e complesse?
“Per certi versi diventa quasi un domatore, che per forza di cose deve imporsi, fino a raggiungere però quel limite che mettono loro stessi. E se anche io volessi andare oltre so che non lo posso fare. C’è però una grande fortuna, perché un regista cerca spesso delle anomalie, magari a volte forzando degli attori stessi a farlo, mentre qui è tutto completamente naturale. Poi bisogna lavorare molto sulla ripetizione perché loro devono interiorizzare il ritmo del teatro e dello spettacolo. Aggiungo che parallelamente a “Up & Down” stiamo portando avanti un progetto che coinvolge tutta la compagnia e che debutterà il 19 Maggio al teatro Goldoni di Livorno: lo spettacolo si intitola “Sonnambuli” e vi lascio solo immaginare l’energia e l’intensità di 80 corpi che vibrano“.
Dopo tanti anni che fai questo lavoro che cosa ti piacerebbe che il pubblico percepisse e magari come vorresti che cambiasse il modo di porsi di fronte alla disabilità?
“Direi che pian piano il pubblico lo abbiamo educato, mi fa piacere anche quando riceviamo delle critiche, perché significa che gli spettatori ci guardano dal punto di vista “attoriale”. Vorrei anche che si cogliesse tutto il lavoro che c’è dietro, perché insieme a me ci sono altri tre registi nella compagnia, ovvero Rachele Casali, Silvia Angiolini, Marianna Sgherri con le quali ci occupiamo di tutti gli aspetti. Aggiungo infine che noi abbiamo la fortuna di lavorare con persone straordinarie, che sono un’opera d’arte di per sé, e che nel teatro riescono a mettere in scena l’intensità di cui sono portatori, regalando al pubblico emozioni sincere e profonde”.