Recentemente, come vi abbiamo raccontato in questo articolo, il fondatore di Patagonia, storico brand di abbigliamento sportivo, ha donato l’intera azienda a un fondo d’investimento che tutela la natura.
Si tratta dell’ultimo capitolo (o forse un nuovo inizio) di un’avventura nata nel parco dello Yosemite, che in cinquant’anni di trasformazioni ha creato un impero da tre miliardi di dollari senza mai tradire la propria vocazione ambientalista.
E questo grazie a Yvon Chouinard che è sempre rimasto uno spirito ribelle, un imprenditore nato a cui le logiche del mercato sono sempre andate strette.
Ripercorriamo insieme le tappe della sua vita, come i capitoli di un romanzo.
SENTIRSI UN OUTSIDER
Nel 1947, quando Yvon ha 9 anni, la sua famiglia decide di trasferirsi dal Québec nella California del sud, alla ricerca di stabilità economica. Per Yvon inizia un periodo di instabilità emotiva: a scuola si scontra con l’inglese, lingua che sta imparando. Facendo fatica a parlare, e complice la timidezza, si chiude in sé stesso, e i compagni lo isolano, etichettandolo come sfigato. Questa emarginazione avrà ripercussioni sugli scarsi risultati scolastici.
VIA DALLA PAZZA FOLLA
La valvola di sfogo è la montagna, scoperta grazie allo zio, che da sempre lo accompagna a fare lunghe escursioni. Qui Yvon si rifugia nel 1952, quando, appena adolescente, abbandona gli studi. Vive in una capanna nel cuore del parco dello Yosemite, e diventa parte di una comunità di giovani appassionati di arrampicata.
Dopo qualche anno, divenuto uno scalatore esperto in molte tecniche diverse, si concentra sull’attrezzatura, con l’intento di renderla più adatta alle proprie esigenze. Con l’obiettivo di una scalata “clean”, che non lasci segni nella montagna, nel 1957 compra una forgia di seconda mano e inizia a realizzare moschettoni e chiodi da arrampicata, che testa immediatamente sul campo.
SCALATORE D’ESTATE, FABBRO D’INVERNO
Yvon continua a perfezionare l’attrezzatura, che è più leggera, resistente e funzionale di quella che si trova in commercio. L’essenzialità è la caratteristica principale. L’idea che guida il design è che un prototipo sia pronto per la produzione quando “non c’è più nulla da togliere”.
Grazie al passaparola dei suoi amici scalatori, gli ordini si accumulano, tanto da obbligarlo ad assumere un dipendente, Tom Forst, e a rendere ufficiale l’attività. Nel 1966 nasce la Chouinard equipment. Nonostante adesso abbia un lavoro, Yvon continua a vivere in un van e a dividersi tra onde da surfare e pareti da scalare.
I SOLDI COME MEZZO, NON COME FINE
Yvon e Tom, insieme alle mogli Melinda e Darleen, gestiscono l’impresa con l’obiettivo di usare i ricavi per viaggiare. Sono sempre alla ricerca di nuove sfide.
Negli anni ’70, il gruppo va ad arrampicare in Scozia. Fa molto caldo e le corde che sfregano sul collo provocano fastidiose irritazioni. Yvon compra delle maglie da rugby con il colletto, che risolvono il problema. Esporta l’idea negli Stati Uniti. Le maglie sono un successo, ma la richiesta è talmente alta che la Chouinard equipment non riesce a evadere gli ordini e decide di iniziare a produrle. Per differenziare le due attività, Yvon fonda una nuova azienda. È così che nasce Patagonia.
UN IMPRENDITORE CHE ODIA IL BUSINESS
Patagonia si concentra sull’abbigliamento tecnico, ma i suoi clienti non sono solo sportivi. L’idea intorno al brand attira persone che sposano la filosofia di Chouinard, e che come lui danno valore al tempo libero trascorso all’aria aperta, a contatto con la natura.
Yvon non si sente a suo agio nei panni dell’amministratore delegato.
Nonostante il successo commerciale delle sue imprese, spiega ai suoi collaboratori l’importanza di fare distinzione tra lavoro, gioco e famiglia. Afferma: “Il lavoro dev’essere piacevole sempre. Dobbiamo circondarci di amici, e prenderci del tempo per noi quando ne abbiamo bisogno”.
L’INNOVAZIONE COME MOTORE
Negli anni ’70, Patagonia raggiunge il 70% della quota di mercato nel settore sportivo ma i profitti non superano l’1%. Questo perché i soldi vengono reinvestiti quasi interamente nella ricerca.
Nel 1977, su ispirazione dei maglioni dei pescatori, fatti di una lana trattata in modo da diventare questi idrorepellente, nasce una nuova fibra, leggera e calda: il pile Synchilla, prodotto con poliestere riciclato.
Dal 1996, con una decisione pionieristica all’epoca, l’azienda si impegna a utilizzare solo cotone biologico, per contrastare l’impronta ecologica della coltivazione di fibre tessili su larga scala.
Ma l’innovazione è anche sociale: già nel 1984 i dipendenti hanno a disposizione un asilo aziendale e una mensa che offre piatti vegetariani.
IL RICHIAMO DELLA NATURA
Dopo la battuta d’arresto del 1992, con il primo bilancio in negativo e una pesante ristrutturazione aziendale, negli ultimi 30 anni Patagonia si è distinta anche per la promozione dell’acquisto consapevole. Con il progetto Worn wear, a partire dal 2017, un van elettrico ha fatto il tour degli Stati Uniti e dell’Europa offrendo riparazioni gratuite su tutti i prodotti Patagonia. Nel 2011 la campagna “Don’t buy this jacket” (non comprate questo giubbotto), apparsa sul New York Times in occasione degli sconti del Black Friday, mette nero su bianco i costi ambientali legati alla produzione di un capo d’abbigliamento e spinge i potenziali acquirenti a chiedersi se hanno davvero bisogno di un’altra giacca.
Il catalogo Patagonia si rivolge a un club di avventurieri, che ricordano la comunità di scalatori dello Yosemite dove tutto è iniziato: si tratta di una pubblicazione molto curata, che oltre a presentare i prodotti del brand raccoglie racconti di avventure, sportivi e tecniche escursionistiche.
Il successo di Patagonia dimostra che restare fedeli alla propria natura può essere la bussola che aiuta a navigare il mercato e i cambiamenti sociali.
Se poi la natura dell’uomo è legata intimamente all’ambiente, qualsiasi sforzo sarà teso alla sua salvaguardia, nel tentativo di preservane la ricchezza. Chouinard docet.