COP26, lo stop alla deforestazione entro il 2030, funzionerà?

Per salvare le foreste i leader mondiali devono prendere impegni seri, ma vanno anche rivisti i nostri consumi, riducendo i prodotti a 'deforestazione incorporata'

La deforestazione rappresenta il 18% delle cause di incremento dell’effetto serra per il Pianeta, per questo motivo è stato uno dei temi più importanti discussi in questi giorni della COP26 a Glasgow. Un tema sul quale è stato anche aperto un tavolo di negoziati tra Stati che ha condotto 100 leader mondiali – che rappresentano l’85% delle foreste mondiali – a dichiarare di voler porre fine alla deforestazione entro il 2030 e firmare una carta di impegno che comprende anche la devoluzione di quasi 20 miliardi di dollari. Tra i firmatari della dichiarazione anche il presidente brasiliano Jair Bolsonaro (molto criticato oggi e in passato per le sue politiche di incentivo alla deforestazione amazzonica e recentemente denunciato per crimini contro l’umanità), il presidente cinese Xi Jinping e il presidente russo Vladimir Putin.

Basterà il patto tra i leader?

L’accordo, per quanto appaia solenne, non è piaciuto a tanti attivisti per l’ambiente, a cominciare da Greenpeace, che ha dichiarato: “C’è un’ottima ragione per cui Bolsonaro si è sentito a suo agio nel firmare questo nuovo accordo. Permette un altro decennio di distruzione delle foreste e non è vincolante”. Nel frattempo l’Amazzonia è già sull’orlo del baratro “e non può sopravvivere ad altri anni di deforestazione. I popoli indigeni chiedono che l’80% dell’Amazzonia sia protetto entro il 2025 e hanno ragione, è quello che serve”.

Insomma, per avere un impatto e limitare i danni, lo stop alla deforestazione dovrebbe partire subito, non entro 10 anni!

Secondo i dati del WWF, negli ultimi 30 anni sono stati deforestati 420 milioni di ettari di terreni, più o meno come la superficie dell’intera Unione europea. Il saldo tra deforestazione e creazione di nuove foreste è negativo per 178 milioni di ettari,
un’area equivalente a quella della Libia. La foresta soprattutto quella primaria, quella più preziosa e ricca di biodiversità, la maggior parte della quale in Brasile, è stata tagliata, è stata bruciata o degradata.

“L’impegno di questi Paesi firmatari non deve quindi fermarsi ai ‘Bla-bla-bla’ ma tramutarsi subito in impegno concreto per contrastare deforestazione nel Sud del Mondo e abbandono delle aree forestali (fenomeno che interessa i Paesi europei). – dice Antonio Brunori, segretario generale del PEFC Italia, l’ente promotore della sostenibile gestione delle foreste, che agiunge un altro tassello. – Eliminare le cause del degrado e della perdita di superficie forestale vuol dire prima di tutto cambiare radicalmente stili di vita e reinterpretare i consumi attraverso la lente della bio-economia e della decarbonizzazione” sottolinea Brunori.

Le foreste sono importanti regolatori del clima, assorbono CO2, sono essenziali per biodiversità del pianeta, le foreste sono abitate da persone. Eppure, ogni anno vanno persi circa 10 milioni di ettari a causa della conversione di foreste in terreni agricoli. La soia è il secondo maggiore motivo di deforestazione al mondo dopo l’allevamento bovino. Il Brasile è il maggiore produttore al mondo di soia.

“Il mondo forestale deve essere protetto per preservare la biodiversità globale, ma può anche contribuire moltissimo alla realizzazione di una visione del mondo affrancato dalle energie fossili e dall’uso di plastica – prosegue Brunori – Questo però potrà avvenire solo se la gestione delle risorse forestali sarà responsabile e sostenibile, se i consumi saranno adeguati alle necessità e se ci sarà uguale attenzione al Capitale sociale e al Capitale Naturale”.

Brunori sottolinea anche che in Italia e in Europa il problema principale non è tanto la deforestazione, quanto l’abbandono di estese superfici di foreste e aree montane. “Questo ha conseguenti effetti negativi per l’ambiente e per l’uomo (anche in termini di maggiori importazioni di prodotti alimentari ad alto livello di ‘deforestazione incorporata’). Pensiamo per esempio al rischio idrogeologico o alla diffusione degli incendi spesso legati all’incuria e alla mancata gestione delle foreste e per i quali la prevenzione è l’unica arma davvero efficace che abbiamo a disposizione”.

Cosa possiamo fare noi cittadini

Anche per quanto riguarda la deforestazione, il contributo che può dare il singolo è decisamente rilevante. Un bel lavoro di WWF intitolato ‘QUANTA FORESTA
AVETE MANGIATO, USATO O INDOSSATO OGGI? DEFORESTAZIONE INCORPORATA NEI CONSUMI
‘ ci racconta proprio ciò che viene definito ‘deforestazione incorporata’, ovvero quella che non è immediatamente evidente in quello che stiamo acquistando. Per fare un esempio, anche prodotti classificati come
prodotti di origine certificata italiana come un IGP possono utilizzare nel loro processo elementi prodotti altrove magari a scapito delle foreste. E’ il caso della bresaola della Valtellina che oggigiorno utilizza spesso cosce congelate di zebù
(Bos taurus spp) un bovino allevato prevalentemente in Brasile in allevamenti ottenuti con deforestazione.

Scoprire da dove arriva e come si produce ciò che mangiamo o utilizziamo ci permette di fare delle scelte più consapevoli, come quella di NON acquistare prodotti dietro ai quali si cela un processo che contribuisce alla deforestazione.

O come quella di preferire prodotti che hanno ottenuto una determinata certificazione come la PEFC e FSC, entrambe riguardanti legno e derivati e comprovanti che tali materie prime arrivano da foreste controllate e conformi a standard di sostenibilità.

Tronchi con il logo PEFC: significa che sono alberi provenienti da foreste gestite sostenibilmente

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