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Cosa significa l’acronimo ESG?
ESG è una sigla che sta per Environmental, Social, Governance. E’ quindi un acronimo ed arriva dal mondo della finanza, in particolare dal settore degli investimenti responsabili, della finanza sostenibile, sempre più diffusi nei mercati di tutto il mondo: ESG è in sostanza un sistema di rating (di classificazione, un giudizio sintetico) in grado di stabilire il valore di un’azienda rispetto a quelli che sono i valori della sostenibilità e non quindi non solo rispetto ai suoi profitti.
Fino a qualche tempo fa, i fattori ESG non facevano parte dell’analisi finanziaria di un’azienda, che venivano valutate esclusivamente secondo sistemi di rating tradizionali che guardano alla solidità finanziaria, ai profitti prodotti, oggi invece il rating ESG concorre a determinare il valore di un’azienda, perché rappresentano un indice di sostenibilità nel tempo.
Per le aziende che devono raccogliere capitale sul mercato, per esempio con la quotazione in Borsa, questo è ovviamente molto importante!
Per farla breve, dal momento che gli investitori tipicamente ‘scommettono sul futuro’, hanno capito che il futuro è di quelle aziende che si impegnano per avere un impatto positivo.
Nell’infografica, di cui puoi vedere la versione integrale qui, puoi vedere la crescita degli investimenti ESG negli ultimi anni.
Come si può notare gli Stati Uniti e soprattutto l’Europa sono i principali protagonisti di questo cambiamento. Certamente, la legislazione specifica dei paesi europei, sia a livello comunitario che a livello di singoli stati, sta spingendo e incoraggiando le politiche per la sostenibilità e di conseguenza continuerà anche a influire sugli investimenti ESG per gli anni a venire.
I 3 ESG specificati meglio
I macro-valori presi in considerazione sono quindi l’ambiente (Environmental), il sociale (Social), l’ammnistrazione della società (Governance). Vediamo più specificamente cosa significano.
La prima voce riguarda l’impatto ambientale, e rientrano in questa dimensione fattori come la carbon footprint dell’azienda (le emissioni di anidride carbonica), l’efficienza nell’utilizzo delle risorse naturali (come l’acqua), l’attenzione alla riduzione della plastica e alla circolarità, il risparmio energetico, l’uso responsabile della chimica, l’attenzione alla biodiversità e alla sicurezza alimentare, le emissioni tossiche, il rispetto degli animali, lo smaltimento dei rifiuti, ecc
Nell’ambito del sociale rientrano invece il rispetto dei diritti umani, le condizioni di lavoro, ad esempio l’impiego di lavoro minorile nella produzione, e l’attenzione all’uguaglianza e all’inclusione nel trattamento delle persone, il controllo della catena di fornitura cioè l’attenzione alle relazioni commerciali dell’azienda (che anche i suoi fornitori rispettino gli stessi principi).
Nella sfera governance rientrano la presenza di consiglieri indipendenti, politiche di diversità e inclusione nella composizione dei CdA, remunerazione del top management collegata a obiettivi di sostenibilità, politiche anticorruzione, la trasparenza nei metodi contabili e nella comunicazione, l’approccio etico nei processi decisionali, la legalità.
“Le imprese che prendono sul serio gli aspetti ESG sono in generale meglio gestite, più sostenibili e orientate al futuro. Le imprese con valori ESG elevati sono meglio attrezzate per affrontare le crisi e raggiungono in media performance migliori delle loro concorrenti”, dice Credit Suisse in questo documento.
ESG, da dove arrivano
Come spiega Cerved, il processo che ha portato agli ESG parte negli anni Novanta, quando nacque la Global Reporting Initiative (GRI), una guida per aiutare le imprese a misurare e comunicare le proprie attività di responsabilità sociale, attraverso il cosiddetto report o bilancio di sostenibilità basato su criteri standard.
Nel 2015, una seconda tappa cruciale è rappresentata dall’Agenda 2030 e la definizione dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite, cui nello stesso anno ha fatto da corollario la Conferenza di Parigi sul clima, in cui 195 Paesi hanno firmato l’Accordo di Parigi, il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima, impegnandosi a fare quanto possibile per mantenere il surriscaldamento globale al di sotto dei 2ºC e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC. Inoltre punta a rafforzare la capacità dei paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi.
Sulla base di questi accordi, molte legislazioni nazionali hanno introdotto obblighi di reportistica non finanziaria per le imprese (in Italia per gli Enti di interesse Pubblico) e norme più stringenti per la tutela dell’ambiente e per contenere il riscaldamento globale.
Chi misura gli ESG?
I rating ESG vengono elaborati da agenzie specializzate, sulla base di molteplici informazioni raccolte da varie fonti, interne e esterne all’azienda: informazioni pubbliche, documenti aziendali, dati di autorità di vigilanza, associazioni di categoria, sindacati, ONG. Possono essere effettuati anche sopralluoghi presso l’azienda e incontri con il management. Al termine dell’analisi viene redatto un Report ESG che contiene la misurazione dei fattori ESGe (Environmental, Social, Governance, Economic) e i commenti degli analisti ESG.
Vi sono quindi diversi sistemi di valutazione e di reporting.
Recentemente, il WEF – World Economic Forum ha introdotto uno strumento per il rating ESG , realizzato in collaborazione con società di consulenza, Bank of America, Deloitte, EY, KPMG e PwC. Si tratta, in sostanza delle linee guida contenute nel documento ‘Measuring Stakeholder Capitalism‘, che possono essere utilizzate dalle aziende per integrare e uniformare i propri bilanci con le performance rispetto agli indicatori ambientali, sociali e di governance (ESG) e così monitorare anche i loro contributi agli SDG (Obiettivi di sviluppo sostenibile – Agenda 2030) su una base coerente. Le metriche sono deliberatamente basate sugli standard esistenti, con l’obiettivo di accelerare la convergenza tra i principali standard setters privati e di portare una maggiore comparabilità e coerenza nella rendicontazione delle informazioni ESG.
Le metriche sono incentrate su 4 pilastri:
Persone – Riflette l’equità di un’azienda e il suo trattamento dei dipendenti. Le metriche comprendono il reporting della diversità, i divari salariali e la salute e la sicurezza.
Pianeta – Riflette l’impatto di un’azienda sull’ambiente naturale e quanto è dipendente dai combustibili fossili. Le metriche di questo pilastro comprendono le emissioni di gas serra, la protezione del territorio e l’uso dell’acqua.
Prosperità – Riflette come un’azienda influisce sul benessere finanziario della sua comunità. Le metriche comprendono l’occupazione e la generazione di ricchezza, le tasse pagate e gli investimenti di ricerca e sviluppo.
Principi di governance – Riflette lo scopo, la strategia e la responsabilità di un’azienda. Questo pilastro include criteri che misurano il rischio e il comportamento etico.
Politiche europee sul clima
A partire dall’accordo di Parigi, dunque, la sostenibilità ha conquistato pienamente la scena delle strategie dell’Unione Europea, con l’obiettivo di realizzare la transizione verso modelli di crescita attenti alle tematiche ambientali, e questo spiega (come indicava anche la grafica in alto) perché l’Europa è su questi temi decisamente più avanti del resto del mondo.
La transizione verde e lo sviluppo sostenibile non sono però indolori, non hanno bisogno solo di progetti, decisioni, scelte, motivazioni, richiedono molti soldi.
La finanza, parola che mette i brividi a molti, è diventata un pilastro per sostenere la transizione verso una economia e una società più sostenibili. Per favorire la quale, nel 2018, la Commissione ha lanciato un Action Plan sulla finanza sostenibile, per incrementare gli investimenti in progetti sostenibili e sostenere il programma dell’Unione per il clima e lo sviluppo sostenibile.
All’interno dell’Action Plan sono previste dieci azioni per far intraprendere all’economia europea la via verso la sostenibilità, tra cui:
- Creare un linguaggio comune per la finanza sostenibile, ovvero un sistema unificato di classificazione dell’UE o “tassonomia” per definire ciò che è sostenibile e identificare gli ambiti in cui gli investimenti sostenibili possono incidere maggiormente.
- Creare marchi UE per i prodotti finanziari verdi sulla base di questo sistema di classificazione dell’UE, permettendo così agli investitori di individuare agevolmente gli investimenti che rispettano i criteri ambientali o di basse emissioni di carbonio.
- Chiarire l’obbligo, per i gestori di attività e gli investitori istituzionali, di tenere conto dei fattori di sostenibilità nel processo di investimento e di rendere più stringenti gli obblighi di comunicazione.
- Incentivo all’adozione dei criteri ESG da parte delle società di raccolta di capitale e di ricerca di mercato.
- Migliorare qualità e trasparenza della rendicontazione extra-finanziaria delle imprese, tenendo conto delle raccomandazioni della Task Force on climate-related Financial Disclosure del Financial Stability Board. Integrare i criteri ESG e l’approccio di lungo periodo nelle decisioni dei CdA aziendali.
In sintesi, i criteri ESG sono diventati un punto di riferimento riconosciuto e utilizzato universalmente per misurareil livello di sostenibilità di un’azienda.
Esg e finanza sostenibile
La finanza ha un ruolo molto importante nell’economia e di conseguenza nella vita delle persone. A causa di tanti fatti negativi degli ultimi decenni, ad esempio la Grande Recessione scatenatasi dal 2007-2008, è anche uno strumento economico controverso, a luci e ombre, ma è indubbiamente uno strumento di cui difficilmente si può fare a meno oggi per sostenere cambiamenti e grandi sfide dell’umanità.
Perciò diventa sempre più importante la finanza sostenibile, di cui gli ESG sono espressione e strumento, che altro non è che l’applicazione del concetto di sviluppo sostenibile all’attività finanziaria, con l’obiettivo di creare valore nel lungo periodo.
Secondo il Financial Times, in Europa gli investimenti ESG raggiungeranno 7,6 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, aumentando la loro quota dal 15% al 57%, e superando i fondi d’investimento convenzionali, poiché la crescente attenzione degli investitori per i rischi, tra cui il cambiamento climatico e le disuguaglianze sociali, spinge queste strategie a diventare centrali.
Questo cambiamento potrebbe avere grandi implicazioni per le aziende in tutta Europa, riorientando il capitale verso attività sostenibili e costringendo le imprese ad essere trasparenti su tutto, dal loro impatto ambientale al modo in cui trattano i dipendenti.
Unico rischio è il greenwashing.
Se vuoi approfondire qui puoi trovare uno studio appena pubblicato della società internazionale di consulenza PWC.