Recentemente, vi abbiamo raccontato delle difficoltà collegate allo smaltimento dei rifiuti tessili.
Fortunatamente, l’inventiva umana e la tecnologia sono oggi in prima fila per trovare soluzioni sostenibili. Vi presentiamo due esempi virtuosi.
FabBRICK, il mattone ecologico
Clarisse Merlet, studentessa francese di architettura, ha brevettato FabBRICK, il primo mattone ecologico e resistente realizzato con i vestiti vecchi.
Dalla fine del 2018 ad oggi la sua invenzione ha trasformato 12 tonnellate di tessuti da smaltire in oltre 40.000 mattoni. Ogni mattone contiene infatti l’equivalente di due magliette.
“I capi troppo danneggiati per essere rivenduti diventano ottimi materiali da costruzione.”, spiega l’imprenditrice, “Il cotone, per esempio, che è presente nella maggior parte dei nostri indumenti, rappresenta un ingrediente di origine biologica e offre isolamento sia acustico che termico”.
Ogni anno in Europa vengono gettati nella spazzatura 4 milioni di tonnellate di tessuti. Contemporaneamente, il settore dell’edilizia non conosce momenti di crisi, e continua a utilizzare ingenti quantità di materie prime e a produrre altrettanti scarti.
Rendendosi conto che ci sono sempre meno risorse naturali con cui costruire, ma sempre più rifiuti, Clarisse Merlet ha concentrato gli studi su come unire questi due ambiti, riducendo lo spreco di risorse. Il risultato è l’anello di congiunzione tra due industrie, un materiale da costruzione sostenibile e innovativo che nasce dal riciclo di capi di fine vita.
La produzione parte dalla materia prima già triturata fornita da un’azienda di raccolta di abbigliamento. Questi scarti vengono impastati con una colla non inquinante sviluppata dalla stessa Merlet e compressi all’interno di uno stampo. Una volta assunta la forma, i mattoni devono asciugare per circa due settimane, prima di essere utilizzati. La loro particolare struttura a incastro, simile a quella dei mattoncini Lego, consente di impilarli in modo sicuro e bloccarli utilizzando un quantitativo di cemento ridotto rispetto ai mattoni tradizionali.
Ovviamente, anche la macchina sforna mattoni è stata progettata dall’imprenditrice, che ne ha costruito altre cinque uguali. Al momento, i FabBRICK sono il risultato di un procedimento artigianale, in cui ogni passaggio è svolto manualmente, ma il passo successivo sarà industrializzare il processo in modo da riciclare ancora più rifiuti tessili e ridurre il prezzo del prodotto finale.
3coFiber, il riciclo a impatto sociale
Negli ultimi dieci anni, montagne di vestiti hanno invaso il deserto di Atacama, in Cile.
Franklin Zepeda non poteva accettare che un ambiente così rappresentativo del suo Paese si trasformasse in una discarica.
Con l’obiettivo di mettere i bastoni fra le ruote al disastro ambientale, questo ingegnere cileno ha iniziato a ragionare su come riciclare i rifiuti tessili, trasformandoli in una risorsa.
Il suo obiettivo è sempre stato quello di riciclare, trasformando gli scarti in materia prima. Ma voleva anche creare un’economia circolare, migliorando non solo la situazione ambientale ma anche la qualità della vita dei residenti di Alto Hospicio, la maggiore città della regione.
Per molti anni, utilizzando le proprie risorse, Zepeda ha fatto ricerche e viaggi in tutto il mondo per trovare un’opzione efficiente per il riciclaggio dei rifiuti tessili, fino a quando ha trovato un’opportunità nel settore dell’edilizia residenziale.
Nel 2018 ha creato 3coFiber, un’azienda pioniera nella regione latinoamericana che trasforma gli scarti tessili in pannelli isolanti destinati in particolare all’edilizia sociale, per la costruzione di abitazioni a basso costo.
Nella città di Alto Hospicio, nella regione di Atacama, l’inquinamento e i disastri naturali rendono complicata la vita dei residenti, che vivono in situazioni di indigenza. A causa dei bassi redditi percepiti, le case della zona sono molto precarie: si tratta di semplici strutture in legno, che non proteggono adeguatamente dall’elevata escursione termica del deserto.
Questo problema abitativo esiste da almeno 40 anni ma viene ignorato sistematicamente dallo Stato. Ciò ha generato un senso di vulnerabilità e abbandono negli abitanti, e il malcontento sociale e si è aggravato con l’arrivo dei rifiuti tessili.
Con la sua invenzione, Zepeda è riuscito risolvere contemporaneamente due problemi nella regione: la mancanza di alloggi confortevoli e le montagne di vestiti usati che ingombrano il deserto.
Ci auguriamo che queste storia di imprenditoria sostenibile provenienti dalla Francia e dal Cile vengano riscritte anche in altri Paesi del mondo.
Tutti siamo in parte responsabili del problema, quando acquistiamo abbigliamento superfluo, ma possiamo sostenere la ricerca di soluzioni.