Diversity Brand Index: l’inclusione si conferma vincente per i brand

Il Diversity Brand Index 2025 rivela un aumento del 24% nei ricavi per i brand più inclusivi, mentre in America crescono le marche che abbandonano le politiche DEI.


Peccato che negli Stati Uniti colossi come Meta, Harley-Davidson, McDonald’s, Ford e Walmartnon tutti – abbiano deciso di abbandonare le iniziative per la diversità e l’inclusione, per allinearsi alle nuove politiche del Governo: il mercato italiano dimostra che le aziende che lavorano con continuità sulla DEIA hanno maggiore successo commerciale e crescita dei ricavi del +24% rispetto ai loro concorrenti.

Impegnarsi sul fronte della Diversity, Equity, Inclusion & Accessibility (DEIA) si dimostra, per le aziende, non solo una scelta etica, ma anche una strategia commerciale vincente. È quanto emerge dal Diversity Brand Index 2025, l’unica ricerca italiana che misura l’efficacia dell’approccio inclusivo delle marche, crea una classifica e individua le migliori esperienze.


“Se in America assistiamo a un ripiegamento su questo fronte, in Europa il contesto è profondamente diverso, grazie anche a un quadro normativo che incentiva e tutela la DEIA come un asset fondamentale per la crescita economica, il benessere sociale e l’innovazione”, spiega Francesca Vecchioni, Presidente di Fondazione Diversity. “A differenza degli States, l’Unione europea si fonda proprio sul valore della diversità, tant’è che il suo motto recita ‘Unità nella diversità'”.

Ci sono anche gli arrabiati

La ricerca, condotta su un campione rappresentativo di 1.005 consumatori italiani, evidenzia una crescente polarizzazione nella percezione delle politiche inclusive: se da un lato il 69,5% degli intervistati sceglie con convinzione marche che parlano di inclusione, dall’altro si registra un aumento del 3,9% delle persone “arrabbiate”, contrarie alle politiche DEIA, che ora rappresentano il 17,8% del campione.
Un dato significativo è quello relativo ai brand percepiti come non inclusivi: il 67,5% degli intervistati dichiara che non li consiglierebbe, con un aumento di 20 punti percentuali rispetto al 2024. Ancora più interessante è che il 32% (contro il precedente 0,6%) non accetta nemmeno le marche “neutrali” che non prendono posizione sui temi della diversità.


La Top 10 dei brand inclusivi

I 10 progetti più meritevoli realizzati nel 2024 sono stati: ACE, Alexa, Fastweb, Ferrovie dello Stato Italiane, Idealista, Ikea, Nuvenia, Procter & Gamble, Sephora e TIM.

Per fare un esempio, Sephora ha ottenuto uno speciale riconoscimento per la categoria Digital, per la sua campagna ‘We belong here’. (In copertina BigMama scelta da Sephora come testimonial della sua campagna).


“L’aumento dei brand associati dal mercato finale al concetto di inclusione è emblematico della rilevanza della DEIA nel contesto contemporaneo”, commenta Emanuele Acconciamessa, Chief Operating Officer di Focus Mgmt. “Emerge l’esigenza di dare continuità allo sforzo delle marche. La differenza nella crescita dei ricavi registrata per i brand presenti con continuità nella Top10 del Diversity Brand Index dimostra i benefici di un approccio costante e coerente, rispetto a sforzi estemporanei”.


La Generazione Z risulta particolarmente sensibile e penalizzante verso i brand non inclusivi, seguita dai Millennials. Curiosamente, il cluster delle persone “arrabbiate” è composto principalmente da uomini (61%), residenti al Nord (51,8%) e di età tra i 18 e i 34 anni.

Nonostante il numero crescente di brand citati come inclusivi (+65% rispetto al 2023), emerge un rischio di “disillusione” dovuto alla percezione che si parli molto di DEIA ma si faccia ancora poco di concreto.


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