Prima in classifica è Biocoop, un rivenditore francese di alimenti biologici, al secondo Infineon, il chipmaker tedesco, e al terzo Booking.com, l’azienda di viaggi online (nota a tutti) che ha sede nei Paesi Bassi.
La classifica ideata dal Financial Times e realizzata insieme alla società di reportistica Statista, è giunta alla seconda edizione, lo scorso anno era un primo tentativo, ma il successo e l’attenzione ottenuti, riporta il quotidiano, sono stati tali da richiedere una seconda edizione. Edizione che è diventata molto più corposa: l’indagine ha infatti coinvolto oltre 100.000 lavoratori di quasi 15.000 aziende in 16 paesi, rispetto ai 70.000 lavoratori di 10 paesi dell’anno scorso. Quest’anno, la lista finale dei Diversity Leaders comprende le 850 aziende che hanno ricevuto i più alti punteggi totali su 15.000 aziende valutate.
A cosa serve una classifica del genere?
Al di là della notiziabilità estrema di ogni classifica, si tratta di un ottimo modo per monitorare cosa stanno facendo le aziende in questo ambito di sostenibilità e per spingerle a migliorare se stesse: Hermès, al quinto posto nella classifica di quest’anno, si era classificato al 535 posto su 700 aziende nel 2019; ma anche Giorgio Armani (6), Prada (57) e Hugo Boss (97) hanno anch’essi fatto una rapida risalita della classifica.
Questa lista è un ulteriore riprova che il successo e il valore di aziende e brand oggi si misurano non solo sulla base di indici economici, ma sulla base degli indici di sostenibilità, ad esempio gli ESG – Environmental, Social, Governance.
Il tema della ‘diversity’ (o ‘diversity and inclusion’) appartiene, parlando di ESG, alla categoria social, che riguarda appunto come un’azienda si comporta al suo interno e nei rapporti con i suoi fornitori in relazione alla tutela dei diritti umani, delle condizioni di lavoro, dell’uguaglianza, del lavoro minorile, dei disabili.
Cosa vuol dire precisamente ‘diversity’?
Letteralmente siginifica ‘diversità’, sul posto di lavoro indica l’impegno di un’organizzazione ad assumere e creare team diversificati di persone che riflettano la società in cui l’azienda opera. Secondo il WEF in quest’era di globalizzazione, la diversità nel mondo degli affari non riguarda solo il genere, la razza e l’etnia, ma include le diverse credenze religiose e politiche, l’istruzione, i background socio-economici, l’orientamento sessuale, culture e disabilità.
Per esempio, la lista del Financial Times ha preso in esame l’equilibrio tra i generi, l’apertura a tutte le forme di orientamento sessuale, la razza e l’etnia, la disabilità e l’età.
Determinare cosa rende un team diversificato non è sempre così semplice, molto può cambiare anche in relazione alla localizzazione di un’azienda, al settore industriale, ma è importante sottolineare che l’attenzione a questo tema si riflette sempre anche nella cultura azienda, nella amministrazione aziendale e nelle attività di corporate social responsibility.
In fondo di ‘diversity’ parla anche la nostra Costituzione all’art.3:
“Tutti i cittadini hanno pari dignita`sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E`compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitandodi fatto la liberta e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“.
Gli ostacoli di ordine economico e sociale si rimuovono anche facendo in modo che le aziende rispettino determinati criteri quando assumono il personale o scelgono i propri dirigenti.
Tuttavia, il tema ‘diversity’ non dovrebbe entrare in azienda solo in quanto ‘richiesto dalla legge’ come avviene con le quote di genere o le assunzioni obbligatorie.
Sarebbe opportuno, e sarebbe più semplice, se le aziende percepissero il valore della diversità proprio in funzione del business, le aziende più diversificate e inclusive hanno delle migliori performance e sono più innovative secondo i principali analisti internazionali.
Le aziende italiane più inclusive per il Financial Times
Giorgio Armani è l’azienda italiana più virtuosa ed è anche al sesto posto della classifica generale e al secondo nella lista del fashion. Tra le prime dieci aziende della classifica generale, proprio al decimo, c’è Chiesi, gruppo farmaceutico dallo scorso anno B Corp.
Biocoop, ecco la prima in classifica
Dobbiamo rimanere radicali. Non ci sarà spazio in futuro per le aziende tiepide e noiose.
Pierrick De Ronne, Biocoop
Biocoop è una cooperativa francese che vende alimenti biologici dal 1986, ai suoi tempi innovativa e pionieristica. Oggi ha circa 8.000 dipendenti, realizza circa 1,5 miliardi di euro di vendite annuali, attraverso 650 negozi associati.
Nella sua rete di rivenditori stabilisce regole molto precise in termini di retribuzione e trattamento del personale, come il pagamento di stipendi superiori di almeno il 10% rispetto al salario minimo, l’offerta di programmi di partecipazione agli utili e la definizione di agende lavorative flessibili per aiutare il personale a gestire l’equilibrio tra lavoro e vita privata.
“Dobbiamo rimanere un’azienda pioniera per affrontare questioni più complesse, non solo la nostra missione originale di promuovere gli alimenti biologici”, ha commentato il presidente Pierrick De Ronne a FT. “Le aziende hanno una grande responsabilità e possono guidare il cambiamento nella società“.
Tra le attività promosse da Biocoop che le sono valse la medaglia d’oro nella classifica c’è il suo programma di mentoring che dà priorità all’assunzione di persone provenienti da quartieri poveri e urbani che spesso ospitano immigrati di origine araba e africana.