Illy, l’etica che muove il percorso verso la neutralità carbonica

Una società benefit nota in tutto il mondo: scopriamo il percorso di Illy verso la neutralità carbonica, ce ne parla il Direttore della Total Quality e Sustainability di Illycaffè David Brussa

Difficilmente resistiamo al suo profumo la mattina: il caffè è tra le bevande più amate e consumate al mondo, bevuto quotidianamente dall’80% degli italiani per circa 250 milioni di kg all’anno. Proprio per questo è importante conoscere questo prodotto e scegliere quello più sostenibile: Illycaffè è uno dei nomi più noti, che abbiamo imparato a conoscere anche per l’impegno che ha portato l’azienda a certificarsi società benefit e B Corp, con un’attenzione – non scontata – anche alla parità di genere. E a rendere la sua filiera più sostenibile, in un percorso che ha segnato negli anni alcune tappe decisive, come, nel 2011, la certificazione “Responsible Supply Chain Process”, e l’ingresso, due anni dopo, nell’elenco delle “World’s Most Ethical Companies”; quest’anno, invece, Illy ha aderito alla misurazione dell’impatto della Science-based targert initiative, l’iniziativa che supporta le aziende nei loro obiettivi di mitigazione climatica.

Abbiamo parlato con il Direttore della Total Quality e Sustainability di Illycaffè David Brussa, per capire meglio in cosa consiste il percorso in direzione della neutralità carbonica, obiettivo fissato per il 2033, centenario dell’azienda. 

Compensare non basta

David Brussa: «Diventare carbon neutral nel 2033 non significa per noi semplicemente compensare le emissioni, ma anche ridurre a monte l’impronta di carbonio. Per farlo, il primo fondamentale passo è misurare le emissioni di ogni fase della filiera, in modo rigoroso e scientifico: quando, nel 2018, abbiamo scoperto che i dati relativi al caffè presenti nel data set di Ecoinvent risalivano al 2004 e facevano riferimento ad aspetti che oggi non sono più validi, abbiamo ritenuto necessario ottenere i dati reali e aggiornati. Abbiamo così scoperto che l’impatto del caffè verde – cioè prima della tostatura – dalla pianta fino al chicco pronto per partire sulla banchina del Paese d’origine (quindi senza contare il trasporto), incide del 73% sullo Scopo 3».

Quest’ultimo fa riferimento alla classificazione dell’impronta carbonica di un’azienda in cui lo Scopo 1 e lo Scopo 2 rappresentano, rispettivamente, le emissioni derivanti da fonti di proprietà o controllate dall’azienda stessa – come quelle legate all’uso di combustibili usati nel riscaldamento degli edifici – e le emissioni connesse con l’energia acquistata dall’impresa. Lo Scopo 3 comprende tutto quanto resta escluso dai punti 1 e 2, che, nel caso di Illy, hanno un’incidenza molto bassa – spiega ancora Brussa – per cui il grosso (quasi il 96%) è rappresentato dallo Scopo 3. Da quest’ultimo, quindi, si deve partire per i risultati più concreti.

Oltre alla raccolta dei dati – in presa diretta o, come imposto dalla pandemia che ha fermato tutti i viaggi, attraverso lo sviluppo di modelli di calcolo – sono fondamentali le visite ai produttori volte a verificare la conformità del loro lavoro ai principi di sostenibilità stabiliti sulla carta e adottati dall’azienda. Per garantirla, e per garantire la qualità del prodotto, Illy si occupa anche della formazione dei produttori su temi quali la gestione dell’acqua, del terreno, dei fertilizzanti e dell’intero processo, ma anche del monitoraggio dei costi, anche per rendere consapevoli i produttori di quale sia il prezzo giusto; pagando in modo equo il lavoro dei produttori, infatti, si contribuisce a mantenere lo standard qualitativo molto elevato, particolarmente importante nel caso di Illy, che impiega un solo blend in tutto il mondo. La fondazione dell’Università del Caffè è stata indispensabile in questo.

Queste attività riguardano direttamente la qualità del prodotto ma anche le sue ricadute sociali per tutti gli stakeholder a partire dai produttori, fattori che con la sostenibilità ambientale costituiscono una triade inscindibile: l’impegno per rendere sostenibile la filiera del caffè deve essere sorretto da quelli che Illy definisce “fattori abilitanti” di carattere sociale: principi come il salario dignitoso, la qualità della formazione, il rispetto dei diritti umani e dei principi di diversity e inclusion e della salute e sicurezza sia dei produttori che dei consumatori.

«Non c’è una ricetta pronta per far funzionare tutto questo: ecco perché l’innovazione è il nostro propellente».

Quali sono le tappe del vostro percorso verso la neutralità carbonica?

David Brussa
David Brussa, Direttore della Total Quality e Sustainability di Illycaffè. Sul rapporto con i produttori di caffè dice:Dobbiamo sempre ricordare che siamo ospiti a casa d’altri: vogliamo essere partner, non colonizzatori“.

David Brussa: «In base alle nostre valutazioni i passaggi da attuare sono: l’efficienza operativa, la riduzione degli impatti ambientali attraverso il life-cycle accounting, la transizione energetica che passa dalle fonti rinnovabili, l’introduzione di processi agricoli ecologici e di economia circolare. Ad esempio, quando i nostri produttori hanno dovuto affrontare la carenza di fertilizzanti dovuta alla crisi delle materie prime, li abbiamo aiutati a sfruttare le risorse che avevano già a disposizione, come le bucce delle ciliegie di caffè e il fertilizzante organico dei vicini allevatori. Oggi stiamo sperimentando pratiche rigenerative ed eco-agricole e pratiche di riforestazione. Ovviamente, le attività di protezione ambientale non devono inficiare l’utilizzo dei terreni destinati all’alimentazione della popolazione locale o al nutrimento del bestiame; nelle zone che sono state devastate da incendi, eccesso di pesticidi, alluvioni eccetera, dobbiamo riportare un sano stato di natura, non piantando alberi tanto per farlo, perché non risolveranno magicamente i problemi del mondo, ma laddove la situazione lo richiede bisogna farlo, sempre nel rispetto dell’ecosistema e delle specificità locali».

Per farlo, bisogna, quindi, lavorare a fianco a fianco dei produttori, secondo modelli che sul tema della qualità Illy ha sperimentato già trent’anni fa e che oggi sperimenta anche sulla sostenibilità e sulla salubrità del prodotto. Questi, con pratiche ecorigenerative, vengono testati su quattro piantagioni pilota in Etiopia, Guatemala, Costa Rica e Brasile, per misurarne gli effetti in termini di resa del campo, qualità, impatto ambientale e per poi esportarli anche nelle altre piantagioni.

Le pratiche ecorigenerative nelle piantagioni

Continua David Brussa: «Ad esempio, in caso di patologia, promuoviamo dei micro-interventi mirati sulle singole piante malate e non cure a pioggia su tutta la coltivazione, che a lungo andare sono dannosi. Solo così, con valutazioni sorrette da un rigoroso metodo scientifico – e non come troppo spesso si fa in agricoltura, seguendo le pratiche tramandate o imitando indiscriminatamente quello che fa il vicino – si ottengono risultati. E infatti noi stiamo vedendo un aumento dell’efficienza e una riduzione dei costi; i produttori che hanno intrapreso questo percorso con noi si stanno rendendo conto dei benefici e non vogliono più tornare indietro».

Efficienza energetica: dalla tostatura il riscaldamento

Ma, anche se secondari sull’impatto complessivo, anche Scopo 1 e 2 non vanno sottovalutati:

David Brussa: «Stiamo mettendo in pista vari progetti per ridurre i consumi di energia elettrica: nel 2020 abbiamo ridotto del 22% la nostra intensità di energia per tonnellata di caffè tostato, e, grazie anche a un sistema che recupera il calore della tostatura, riscaldiamo l’intero sito di Trieste da ottobre ad aprile, risparmiando grandi quantità di metano, mentre con un altro processo, da maggio a settembre convertiamo le calorie in frigorie, anche questo gratis. Infine, oggi il sito di Trieste si approvvigiona già al 100% con energie rinnovabili e stiamo attuando lo stesso anche nel sito di Milano e in quello in Spagna in cui produciamo le macchine da caffè. Ci sono, infine, gli imballaggi: stiamo cercando materiali più ecologici o imballaggi più leggeri, per ridurre anche l’impatto anche del trasporto; ma bisogna garantire anche che la qualità del prodotto si mantenga in tutto il mondo con una shelf life anche di 2-3 anni, per evitare gli sprechi del prodotto».

L’attenzione alle comunità locali

Il procedimento è sempre lo stesso: individuare i problemi, misurarli e studiare le soluzioni. Anche nell’ambito sociale, per garantire buone condizioni di lavoro e mitigare i rischi.

David Brussa: «Un problema, ad esempio, era che in Centro America spesso il periodo di raccolta coincide con le vacanze estive delle scuole. Così abbiamo realizzato una Casa dell’Allegria, un asilo in cui forniamo ai bambini quattro pasti al giorno, ma anche spazi di gioco e formazione nello spazio sicuro della fazenda, e non in piantagione. Un altro esempio è un progetto sulla cura dei denti, che portiamo avanti con le visite mensili di un bus adibito ad ambulatorio. Facciamo tutto questo perché rientra nel beneficio collettivo che vogliamo creare e i risultati ci sono anche per noi. Dobbiamo sempre ricordare che siamo ospiti a casa d’altri: vogliamo essere partner, non colonizzatori. Illy è un’azienda grande ma non grandissima, per cui dobbiamo necessariamente collaborare con il contesto locale, ad esempio attraverso le ONG locali con cui abbiamo la possibilità di influenzare positivamente chi è sul territorio. Qualità del prodotto, collaborazione con le autorità locali, istruzione e cultura sono le gambe che sostengono tutto».

Quali sono gli aspetti in cui trovate maggiori ostacoli ai vostri obiettivi di sostenibilità?

David Brussa: «Oggi per eliminare le barriere del rapporto tra valore in borsa del caffè e costo del prodotto bisogna anche garantire una certa resa del campo, che non è semplice ottenere semplicemente estendendo la piantagione, perché bisogna preparare il terreno e nei primi tre anni la pianta non produce niente: si tratta di investimenti di lungo periodo; per questo noi aiutiamo chi le piantagioni le ha già a cambiare il metodo di gestione del terreno e dei costi, anche creando la sensibilità del valore del prodotto, che poi i produttori hanno presente anche quando contrattano con altri acquirenti. Bisogna poi fare molta attenzione a non porsi come gli occidentali che vanno a insegnare da una posizione di superiorità cosa è giusto e cosa è sbagliato, che sarebbe un comportamento di stampo coloniale. Per evitare questo – e anche per riuscire a risolvere i problemi reali – la cosa più importante è ascoltare e non diventare egoisti: la barriera più grossa è forse proprio l’egoismo di un player che rischia di diventare come sabbia negli ingranaggi».  

Piantagione in Etiopia

C’è un valore che è un filo rosso in queste attività: l’etica.

David Brussa: «Etica è trasparenza, tracciabilità, una presa di coscienza di un problema e il desiderio concreto di trovare una soluzione comune. In questo senso la sostenibilità deve essere la motivazione che muove il business, la sua finalità etica, e non, al contrario, una tattica per arricchirsi – magari perché va di moda – perché in quel caso si è destinati a fallire o a essere comprati da altri; invece noi vogliamo avere come risultato un beneficio comune. Le aziende devono essere motivate a farlo tenendo conto che la sostenibilità è inscindibile del risk management: bisogna fare in modo che la filiera sia sostenibile sul lungo periodo, anche per avere chi voglia vendermi caffè di qualità».

Qual è il ruolo delle grandi aziende nell’orientare i consumi ma anche il comportamento delle altre imprese?

David Brussa: «Come ci teniamo a ricordare, è un ruolo fondamentale. Sono loro a doversi muovere per prime; ad esempio, pagando la qualità del caffè allo stesso modo a tutti i produttori, senza una trattativa con il venditore, che può essere più o meno bravo a contrattare, quando quello che si sta pagando è la qualità del caffè. Grazie a questo standard, che è più equo, e alla collaborazione, i produttori hanno maggiori garanzie ad esempio quando vanno in banca per ottenere un prestito che, grazie ai contratti a lungo termine che noi offriamo, ottengono a condizioni vantaggiose. Questo a sua volta influenza positivamente tutto il contesto locale, che ne beneficia economicamente e socialmente».

PIù POPOLARI

sammontana b corp

Sammontana, quando la sostenibilità diventa strategia industriale

Dal 2020, Sammontana integra ambiente, salute e filiere sostenibili nei suoi principi guida, con un forte impegno per ridurre l’impronta carbonica e stabilire standard innovativi per il gelato sostenibile. Oggi il suo percorso è riconosciuto dalla certificazione B Corp.
Fotografia del logo di Taivè realizzato con i tessuti di recupero

Quando un filo dà vita a nuovi tessuti e diventa integrazione

Taivè è il progetto di sartoria sociale che crea nuove opportunità per donne rom e vittime di violenza
Società Benefit

Società Benefit: cosa sono, vantaggi, come diventarlo

Le Società Benefit (SB) sono una forma giuridica d’impresa che integra nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, anche precise finalità di beneficio comune. Le...
travelin turismo accessibile

Travelin: la startup che rivoluziona il turismo accessibile

Accessibilità turistica come paradigma di innovazione sociale: la rivoluzione tecnologica di Travelin tra inclusione, imprenditoria femminile e sostenibilità.

Le migliori B Corp italiane 2021

È possibile utilizzare il business come forza positiva, coniugando esigenze del profitto e tutela della collettività? La risposta è nelle Benefit Corporation. Come ampiamente...