Le patate salveranno il Pianeta

Il governo cinese punta sulle patate per ridurre il consumo di riso nel Paese, una coltura difficilmente compatibile con la scarsità d’acqua degli ultimi anni. Una scelta che ha pro e contro

Considerando che l’alimentazione ha un peso notevole sull’ambiente, tutti i Paesi – o almeno quelli più ricchi e industrializzati, cioè quelli che davvero hanno possibilità di scelta – devono occuparsi sempre di più di quello che mangiano i loro cittadini e possibilmente cercare di cambiarlo. La dieta standard occidentale di cui è massimo esempio quella statunitense, infatti, come è noto è la peggiore non solo per la salute di chi la segue, ma anche per quella del Pianeta. Ma questo non significa che al di fuori dell’Occidente l’alimentazione seguita da tutti gli altri Paesi sia perfetta, anzi. Lo dimostra, ad esempio, la Cina, ormai gigante industriale, dove si consumano grandi quantità di riso, che tra i cereali è uno dei più impattanti sull’ambiente a causa della sua grande necessità d’acqua che, con le tecniche di coltivazione convenzionali più diffuse, è di circa 20mila metri cubi per un ettaro di coltivazione. Con gli attuali problemi di siccità questo è chiaramente un forte limite, soprattutto se si considera che questo cereale costituisce la base dei pasti di una parte consistente del Pianeta, un po’ come per noi la pasta e il pane.

Riso, una dieta insostenibile

Il governo cinese oggi è consapevole che le cose devono cambiare e mira per questo a ridurre il consumo di riso, sostituendolo con le patate. Nonostante il Paese, infatti, produca circa il 20% del raccolto mondiale di patate, queste sono viste come un ortaggio di contorno piuttosto che come una fonte di carboidrati base e il loro consumo pro capite in Cina è inferiore alla media globale. Risale in realtà al 2015 la decisione di Pechino di provare a cambiare la tavola dei suoi cittadini, ma più di recente è tornato alla carica, messo di fronte alla realtà di un meteo impietoso quanto a regolarità delle precipitazioni. L’ha fatto, quindi, attraverso una politica per promuovere la patata come quarto alimento base al fianco di riso, grano e mais, evidenziando come questo gustoso tubero sia un ortaggio molto versatile e che può essere coltivato in terreni marginali a cui le altre colture mal si adattano.

Oltre a necessitare di meno acqua, le patate richiedono anche meno energia per la coltivazione e hanno il potenziale di ridurre in modo consistente le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione alimentare in Cina, in particolare se si introducono le varietà con le rese più elevate, come dimostrato da una ricerca condotta dagli scienziati di diverse università cinesi. Altri Paesi potrebbero dover seguire l’esempio del gigante asiatico, dato che con l’aumento delle pressioni sul sistema alimentare globale causato da cambiamento climatico, pandemia di COVID-19 e invasione russa dell’Ucraina – che ha colpito anche la distribuzione e i prezzi del grano in Europa e Medio Oriente – la sicurezza alimentare è diventata una questione centrale per tutti.

La strategia sbagliata?

Un rischio insito in campagne governative di questo tipo potrebbe però esserci: e cioè far perdere di vista altri prodotti, ben più impattanti anche del riso, a partire dalla carne. Con i suoi 30 kg di carne di maiale consumati ogni anno pro capite – persino più di quanta carne di bovino consumino gli statunitensi – la Cina si attesta su cifre così preoccupanti che già nel 2019 si calcolava che le quantità di suino prodotto a livello mondiale non avrebbe potuto continuare a tenere il ritmo della domanda.

La dieta ottimale, che sia cioè nutriente e si attenga ai limiti posti dalle risorse ambientali, più che tagliare sui cereali, in effetti, ridimensiona nettamente le proteine animali. Un gruppo di ricercatori ha provato a definirla tenendo conto delle evidenze scientifiche e delle conoscenze più aggiornate in termini da un lato di correttezza e bilanciamento nutrizionale e dall’altro di impatto ambientale, arrivando così a delineare la cosiddetta dieta EAT-Lancet, nota anche come dieta per la salute planetaria. Secondo questo modello non si dovrebbe consumare più di una porzione di carne rossa a settimana e limiti non troppo diversi valgono anche per il pollame e il pesce, mentre per i latticini si può arrivare a una porzione al giorno. E questo è davvero il minimo che possiamo fare: più si aumenta in proporzione la quota di legumi e ortaggi in sostituzione delle proteine animali, meglio è per il Pianeta. Se è vero, quindi, che le patate sono una scelta migliore per l’ambiente rispetto ad altre fonti di carboidrati, mettendo il riso sul banco degli imputati si può rischiare di perdere di vista le priorità.

EAT-Lancet
EAT-Lancet, la dieta per la salute del pianeta

Puntare sulla biodiversità per evitare le carestie

In ogni caso, anche mantenere – e, anzi, incrementare – la varietà di colture resta fondamentale: non solo per preservare la biodiversità vegetale (e animale), ma anche per mettersi al sicuro da potenziali carestie. Basare gran parte dell’alimentazione mondiale su una manciata di specie vegetali, infatti, espone la società all’insicurezza alimentare nel caso in cui orti o campi siano colpiti da infestazioni, patologie botaniche o eventi atmosferici come quelli in crescita, anche per effetto della crisi climatica, dalle siccità prolungate alle inondazioni drammatiche e improvvise. Diversificare è la parola l’ordine per evitare quanto accaduto diverse volte nel corso dei secoli, con episodi tragici che hanno colpito intere fasce di popolazione – solitamente le più povere – che su una o due coltivazioni fondavano la propria sopravvivenza. Un esempio noto colpì l’Irlanda nel XIX secolo: si tratta della Grande Carestia causata da una muffa, la Phytophthora infestans, che a partire dal 1845 colpì le coltivazioni di tuberi su cui faceva quasi totalmente affidamento la popolazione dell’isola, che all’epoca era schiacciata dal dominio coloniale dei britannici che si accaparravano ed esportavano tutto il resto.

L’infestazione si diffuse rapidamente in tutto il Paese e rovinò circa la metà dei raccolti dell’anno 1845 e addirittura tre quarti del raccolto nei sette anni successivi. L’impatto fu catastrofico e, quando terminò nel 1852, aveva ormai provocato la morte di circa un milione di irlandesi per fame e altre cause ad essa correlate, con almeno un altro milione costretto a lasciare la propria patria per cercare cibo e una nuova vita altrove.

Bisogna quindi imparare dalla Storia da un lato e dalla scienza dall’altro, anche quando si sceglie cosa produrre e cosa mangiare. Nel dubbio, le patate restano un’ottima opzione.

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