Quanto carbonio cattura una pianta? Ora possiamo saperlo da un castagneto

A Porretta Terme il progetto di un castagneto dotato di sensori intelligenti ci mostra i vantaggi delle tecnologie nello sviluppo sostenibile

Non distante da Porretta Terme, sull’Appennino Tosco-Emiliano, un castagneto di 9 ettari, ci racconta in tempo reale come sta. Si tratta del castagneto sperimentale e didattico di Granaglione, di proprietà di Carisbo e gestito dall’Accademia Nazionale di Agricoltura. Tutti gli alberi comunicano, ma i castagni di quel particolare castagneto lo fanno in tempo reale, raccontando il loro stato di salute e rendendo chiaro ciò di cui hanno bisogno: da circa un anno infatti, 48 alberi georeferenziati, in quattro diverse aree del castagneto, sono monitorati 24 ore su 24 grazie a uno speciale marchingegno tecnologico, il Tree Talker, studiato dal professor Riccardo Valentini dell’Università della Tuscia, realizzato e gestito dalla startup innovativa e società benefit Nature 4.0.

Il progetto ‘Castagni Parlanti’, finanziato dalla Regione Emilia Romagna con fondi UE, ha lo scopo di valutare l’impronta ecologica del recupero di un castagneto in termini di fissazione e sequestro del carbonio, di uso dell’acqua e di copertura del suolo nella prospettiva di riportare almeno parte degli ettari di boschi di castagno presenti in Italia, ma spesso abbandonati, ad essere produttivi e di farlo in maniera sostenibile.
In generale, conoscere in tempo reale e in maniera scientifica la quantità di carbonio stoccata da una pianta, in questo caso un castagno, ma potenzialmente di qualsiasi pianta, apre molteplici possibilità in vista dell’obiettivo di neutralità climatica dell’Unione Europea al 2050, un traguardo che è appena diventato vincolante dopo che il Parlamento Europeo ha approvato la legge sul clima. Immagazzinare carbonio, capacità che tutte le piante hanno, bilancia infatti le emissioni di CO2 dell’attività umana.

L’importanza della gestione dei castagni

Sono circa 800mila gli ettari di castagno in Italia, secondo dati dell’Accademia dei Georgofili, molti però sono in stato di abbandono. Storicamente la gestione dei castagneti, sia per la produzione di castagne e derivati, sia per la produzione di legno, è stata fondamentale per lo sviluppo della società rurale, un rapporto che si è incrinato definitivamente dopo la II Guerra Mondiale: «Recuperare i castagni all’attività di coltura – ci ha raccontato Ilaria Mazzoli, project manager di Open Fields, società di trasferimento tecnologico capofila del progetto ‘Castagni Parlanti’ – fa parte di quelle azioni che servono a ridare vita alle aree montane e a ripopolarle, offrendo la possibilità di ricostruire e far rivivere antiche filiere produttive. I castagni, lasciati a loro stessi, tendono a diventare prede di malattie e parassiti e a morire. Sono piante che vanno gestite ma bisogna farlo in modo neutro e rispettoso del bosco e del suolo e coerente con le sfide poste dal cambiamento climatico”.


Tramite il Tree Talker la pianta ci parla

Al centro del progetto ‘Castagni Parlanti’ c’è il Tree Talker, un’apparecchiatura che racchiude una molteplicità di sensori mediante i quali, appunto, è possibile ascoltare gli alberi. Il Tree Talker monitora le funzioni vitali del castagno sul quale è applicato, il flusso della linfa, l’umidità del tronco, l’intensità della luce filtrata, la crescita del tronco, temperatura ed umidità che circondano il castagno. Tramite il Tree Talker si riesce a stimare con precisione puntuale la quantità di carbonio immagazzinato dalla pianta: «Conoscendo l’accrescimento di tronco e chioma, attraverso un algoritmo dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è possibile ottenere una stima del carbonio assorbito, che la pianta stocca per esempio nelle radici, nel tronco. Misurando l’accrescimento del tronco e della chioma, stimando quello delle radici in base alla specifica specie, otteniamo un monitoraggio dello stoccaggio di carbonio. L’algoritmo di calcolo e le capacità di misurazione dei Tree Talker vengono continuamente affinati.”.
Tutti i dati che l’apparecchio rileva sono poi trasmessi, tramite tecnologia IoT (internet of things, rete di dispositivi connessi via internet), a un computer centrale ed elaborati in tempo reale. «In generale, al di là dello specifico progetto, monitorare le colture permette di cogliere segni premonitori di un problema, di intervenire con grande tempestività, con impatto enorme sulla sostenibilità – ha continuato Ilaria Mazzoli di Open Fields. Prevenire una patologia significa risparmiare input: acqua, fertilizzanti o trattamenti, tempo dedicato al monitoraggio in loco. Con strumenti come i Tree Talker (e i nuovi nati, i Crop Talker, attualmente in fase di test, che svolgono funzioni analoghe sulle piante più giovani e sui seminativi, come grano, orzo, mais) si possono produrre allerte che contribuiscono a ridurre sia l’impatto della malattia in arrivo sia l’intensità della stessa. Tramite la misurazione delle oscillazioni, siamo anche in grado di capire quando una pianta sia prossima alla caduta. Pensiamo a quanto questo possa essere importante in un contesto di verde urbano”.

Tree Talker, potenziali utilizzi in agricoltura

Non c’è solo il castagneto sperimentale di Granaglione sotto osservazione. Il Tree Talker è già impiegato, per esempio, nei campi di un’azienda agricola che coltiva susini allo scopo di arrivare a stilare un bilancio di sostenibilità della produzione di prugne secche che comprenda anche il dato puntuale del carbonio stoccato dalle piante. Potenzialmente, infatti, per la scientificità dello strumento, il dato potrebbe essere certificabile e utilizzabile sul mercato dei crediti di carbonio.
Dal tema si è discusso di recente durante un convegno organizzato da Areflh (Assemblea delle Regioni Europee, Frutticole, Orticole e Floricole). L’imprenditore agricolo Alberto Levi, della Cooperativa Modenese Essicazione Frutta (marchio MonteRè), sta utilizzando gli apparecchi sul suo terreno e, contemporaneamente, sta procedendo al calcolo dettagliato delle emissioni di CO2 della filiera delle prugne secche. I dati non sono ancora definitivi ma qualche punto fermo è stato messo: secondo le misurazioni dei Tree Talker, in un anno una pianta di susino stocca, a seconda dell’età, delle modalità di coltivazione, delle condizioni climatiche, fra i 30 e i 60 kg di carbonio.

Scritto da Barbara Righini

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