Ci sono finora 80 associazioni che hanno firmato questo appello, tra cui la Fondazione Fightthestroke di cui avevamo parlato, e rappresentano la voce sinora inascoltata dei 284.000 alunni con disabilità in Italia.
E’ un momento difficile per la scuola italiana a causa della pandemia, siamo tutti preoccupati, ma diciamola tutta: nel nostro Paese la scuola è da decenni in crisi. E’ una scuola che sopravvive grazie agli sforzi eroici di una fetta di docenti appassionati. E’ una crisi radicale, che abbraccia il sistema educativo nel suo complesso, perché il nostro Paese non investe nella scuola e così mancano le strutture adeguate (solo 1 su 3 è accessibile per i disabili!), mancano i docenti e il personale, mancano l’aggiornamento di programmi e competenze, manca un progetto educativo all’altezza, manca una politica contro l’abbandono scolastico (sopra il 20%) e manca attenzione all’inclusione, alle pari opportunità, al sostegno per i più fragili.
Di fronte a tante mancanze, è incredibile che si possa fare pure di peggio: dopo averne visto delle belle con la Didattica a Distanza, con genialate come i banchi con le rotelle che rimarrà emblematica di quanto si possa essere alienati dalla realtà, lo scorso dicembre è arrivato il Decreto Interministeriale n.182 del 29 dicembre 2020 che introduce nelle scuole un nuovo modello di PEI (Piano Educativo Individualizzato) e stabilisce le modalità per l’assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità in Italia.
Nelle dichiarazoni, tale decreto, sembra avere le migliori intenzioni: ‘l’adozione del nuovo strumento e delle correlate linee guida implica di tornare a riflettere sulle pratiche di inclusione e costituisce una guida per la loro eventuale revisione e miglioramento’, riporta la correlata pagina del sito del ministero dell’istruzione.
Peccato che il decreto non sia stato per niente apprezzato da chi, nel quotidiano, ha a che fare con le disabilità: genitori, tanti insegnanti, associazioni, cittadini sensibili al tema. Mirella Casale, l’insegnante torinese che nel 1977 ha dato il via all’inclusione degli alunni con disabilità in Italia, si rivolterebbe nella tomba.
Le polemiche non sono rimaste sterili, hanno dato vita alla petizione #noesonero, alla quale si può aderire e sostenere firmando l’appello qui.
Il CoorDown (Coordinamento Nazionale delle Associazioni delle persone con sindrome di Down), il CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno), Uniti per l’autismo, il Gruppo Facebook “Non c’è PEI senza condivisione” e molte altre Associazioni hanno proposto questa petizione, ritenendo che ‘il provvedimento emanato presenti troppi punti critici, che mettono a repentaglio i progressi raggiunti in oltre quarant’anni di storia di inclusione scolastica e che rischiano di vanificare gli sforzi volti a garantire il diritto allo studio degli alunni con disabilità. Si tratta di segnali che lasciano trasparire una nuova impostazione culturale e che segnano un’inversione di rotta nel processo inclusivo, da sempre fiore all’occhiello del nostro Paese‘.
Lo scorso 13 febbraio in diverse piazze italiane si è svolto un Flash Mob che ha avuto un grandissimo successo e ha fatto volare le sottoscrizioni a questa petizione che sta per raggiungere le 50mila firme.
Cosa c’è che non va in questo decreto?
Come scrive in in questo post su Linkedin Francesca Fedeli, fondatrice di Fightthestroke e tra i promotori dellla petizione, ‘Il nuovo decreto ha di fatto legalizzato alcune cattive pratiche che anche le famiglie e i docenti avevano notato da anni’ , come ad esempio l’esonero per gli studenti disabili da alcune discipline di studio e la possibilità di allontanare lo studente stesso dal gruppo classe; la riduzione dell’orario di frequenza per gli stessi studenti; la composizione del GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione presente in ogni scuola) e il ruolo marginale assegnato alla famiglia nel condividere decisioni rispetto al piano educativo del proprio figlio.
Tra le altre cose, tutte le associazioni che hanno lanciato la petizione lamentano il fatto che lo stesso tavolo di lavoro che ha prodotto il provvedimento non sia stato per niente inclusivo, in quanto si sono autoproclamati rappresentativi della voce di circa 250.000 alunni con disabilità in Italia, ma in realtà moltissime associazioni sono rimaste tagliate fuori.
‘A me nessuno ha chiesto niente ed è per questo che con la Fondazione Fightthestroke e altri interlocutori del terzo settore abbiamo aperto una petizione‘ continua Francesca. ‘Avrei voluto battermi per una battaglia diversa? Si, avrei voluto tanto che a qualcuno fosse venuto in mente che un diploma non servirà neanche più a mio figlio tra dieci anni; avrei voluto vedere le tecnologie assistive messe in pratica per ridurre quel mismatch tra persona e ambiente che è il vero vincolo all’accettazione del concetto di disabilità anche a scuola’.
‘Se pensi che per fare Diversity&Inclusion in azienda basti partecipare a una manifestazione #pridequalcosa, pensaci a supportare la nostra battaglia: l’educazione alla diversità e ad una società inclusiva si inizia sui banchi di scuola e non sulla intranet aziendale’ scrive l’imprenditrice e attivista.
Un richiamo forte e chiaro, quello di Francesca Fedeli e di tutto il movimento con lei, alla responsabilità individuale e aziendale, che deve tradursi in qualcosa di fattivo e calato nella realtà, non esaurirsi in uno slogan o in un hashtag.
Cosa si chiede con la petizione?
Una cosa molto semplice: di rivedere il provvedimento coinvolgendo nel tavolo istituzionale le associazioni che non sono state coinvolte, in particolare la Fondazione Fightthestroke rivendica la possibilità di partecipare ai tavoli di lavoro istituzionali portando la voce dei propri beneficiari, ovvero bambini e giovani con problemi connessi alla paralisi cerebrale infantile.
Siamo tutti toccati dal tema dell’inclusione, siamo tutti diversi, e ci dovremmo pensare di più e agire di più, davvero possiamo fare tanto con poco.
Adesso, per esempio, si può firmare la petizione e sostenere questa causa, che ci porta più vicini agli obiettivi di sviluppo sostenibile.
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