SEADS, la startup che trasforma i rifiuti in risorsa

Una realizzazione tanto semplice quanto ingegnosa per raccogliere i rifiuti dai fiumi e riciclarli

Tutto è partito dall’amicizia di due ingegneri italiani e dalla loro attenzione per l’ambiente: quando nel 2015 Fabio Dalmonte stava svolgendo un progetto di ricerca sulla gestione dei rifiuti a Jakarta, ha potuto osservare l’enorme quantità di detriti che galleggiavano sul fiume Ciliwung, che scorre attraverso la capitale indonesiana. La considerazione più ovvia è stata che tutti i rifiuti che finiscono in mare non solo rovinano le spiagge e danneggiano l’ambiente, ma compromettono il turismo, causando gravi problemi alle comunità locali che vivono soprattutto di tale risorsa.

Il problema: fermare la plastica prima che arrivi al mare

Ha così iniziata a prendere forma l’idea che Fabio ha condiviso con Mauro Nardocci: studiare un sistema in grado di raccogliere i rifiuti dai fiumi, prima che questi vengano portati negli oceani. Un prerequisito fondamentale era la semplicità della soluzione, poiché l’inquinamento globale ha un’alta incidenza nei Paesi in via di sviluppo, dove le risorse sono limitate: quindi per combatterlo era essenziale sviluppare qualcosa che fosse molto semplice da replicare, installare e mantenere.

Nonostante la distanza che separava i due amici, uno basato a Londra e l’altro a New York, l’intuizione ha iniziato a prendere forma: a distanza di un anno, la prima bozza del progetto si è sviluppata con maggiore chiarezza, passando nel 2017 dalla teoria alla pratica con un prototipo funzionale creato su fiume artificiale. L’anno successivo Fabio e Mauro hanno presentato Blue Barriers, formalizzando la nascita della loro startup, che hanno chiamato SEADS – Sea Defence Solutions.

La soluzione: una barriera che blocca e raccoglie

Nel corso degli anni sono stati fatti numerosi tentativi per cercare di bloccare la plastica nei fiumi, ma con risultati piuttosto ridotti: per questa ragione i due ingegneri hanno dedicato molto tempo a studiare la soluzione più efficace. La plastica è un materiale che tendenzialmente galleggia, ma in realtà la maggior parte di essa affonda nell’acqua di 50 centimetri: serviva quindi un sistema che non fosse solo superficiale ma andasse anche in profondità, per almeno mezzo metro.
L’ideazione di Blue Barriers nasce dall’esame di tutti i fattori in gioco: si tratta di un sistema piuttosto robusto, che va in profondità nel fiume fino a 80/90 centimetri, in modo da catturare tutta la plastica trasportata. È stato creato forte e resistente poiché deve potere contrastare le correnti più tumultuose, in quanto la maggior parte della plastica viene trasportata durante le piogge più violente e nei casi di allagamento. La prima installazione di prova è stata fatta lungo il fiume Lamone, che scorre fra Toscana e Romagna, e poi sul Tevere, raggiungendo completamente il risultato atteso: i test condotti dall’Università di Firenze hanno certificato che pressoché tutta la plastica in acqua è stata raccolta.

Nessun effetto collaterale

Fabio e Mauro hanno anche avuto sempre molto chiaro un obiettivo di fondo, che hanno raggiunto: Blue Barriers non ha alcun impatto né sull’intero corso del fiume né sulla flora o sulla fauna circostante. Analogamente, la realizzazione è stata pensata per non influire sulla navigazione, anche per le barche più grandi: si tratta di un altro aspetto importante dato che, per installare delle barriere permanenti, il trasporto fluviale non deve risentirne; non ultimo, la manutenzione richiesta è minima.

Dalla raccolta dei rifiuti una nuova risorsa

Inoltre, SEADS non solo si occupa di raccogliere la plastica, ma offre una proposta di consulenza per gestire nel modo migliore la plastica raccolta: una volta che questa è bloccata dalle barriere, ci sono varie modalità per trasportarla a terra, sia manualmente che automaticamente. L’azienda prende continuamente in esame nuove possibilità fintanto che arrivino al punto da essere applicabili industrialmente.

Come è facile intuire, oltre alla plastica, Blue Barriers raccoglie molti altri rifiuti e pertanto la startup sta cercando di sviluppare un portafoglio di soluzioni differenti, così da proporre quella più idonea per la situazione specifica. Ad esempio, la maggior parte del materiale raccolto è costituito da cibo e da rifiuti misti: con le Università di Bologna e di Modena e Reggio Emilia, è stata testata una possibile alternativa per produrre energia dal legno in modo più pulito, dando la possibilità di creare energia, venderla o consumarla direttamente. SEADS può quindi suggerire alle amministrazioni locali come gestire i rifiuti raccolti e ricavarne profitto, coprendo i costi di manutenzione e creando valore per le comunità locali.

Creare valore per PA e comunità locali

Fabio Dalmonte ha riscontrato un buon interesse da parte delle pubbliche amministrazioni, che hanno riconosciuto che le barriere funzionano come previsto: purtroppo le lungaggini burocratiche sono ancora uno dei maggiori ostacoli all’attuazione del progetto. Comunque, la startup si sta già muovendo con alcune città per avviare le prossime installazioni.
Ci sono inoltre altre realtà europee, soprattutto in Francia, come pure nelle Filippine e in Costa Rica, dove le Blue Barriers potrebbero concretamente venire applicate. I due ingegneri hanno giustamente progetti ambiziosi, hanno individuato i 10 fiumi più inquinati nel mondo, la maggior parte dei quali in Asia, dove le loro barriere porterebbero un miglioramento radicale e definitivo, fermando la plastica prima che raggiunga gli oceani, trasformandola così in una risorsa. “Il nostro sogno”, afferma Fabio, “è portare valore alla nostra società proteggendo gli oceani del mondo e la loro incredibile fauna selvatica. La razza umana non può sopravvivere senza oceani sani”.

Sito di SEADS

(Foto di copertina tratta da Internazionale)

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