La strada dell’Europa verso una moda sostenibile

È necessaria una strategia efficace per uno dei settori più critici e complessi in termini di impatto ambientale e diritti dei lavoratori

Recentemente è nato in Italia il consorzio Re.Crea, fondato da aziende del calibro di Dolce&Gabbana, MaxMara Fashion Group, Gruppo Moncler, Gruppo OTB, Gruppo Prada, Ermenegildo Zegna Group, e coordinato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana. Obiettivo comune è gestire i prodotti del settore tessile e moda a fine vita e promuovere la ricerca e lo sviluppo di soluzioni di riciclo innovative.

Un passo importante, che risponde anche all’appello lanciato ai produttori dalla Commissione europea con l’adozione della strategia in materia di ‘tessile sostenibile’, che vede tra i suoi pilastri anche la ‘responsabilità estesa del produttore per i tessili’, di cui si parla da tempo.

In Italia già dallo scorso 1° gennaio 2022 è entrato in vigore l’obbligo della raccolta differenziata dei prodotti tessili. E già nel 2021, Ecotessili era stato il primo consorzio nato per rispondere alla responsabilità estesa del produttore che riguarda anche la ‘fine vita’ di un prodotto tessile. Che non è facile.

L’industria tessile non è soltanto una delle più capillari e diffuse nel mondo ma, purtroppo, si caratterizza per le pesanti conseguenze sull’ambiente e sui cambiamenti climatici: nell’Unione europea il consumo di prodotti tessili, prevalentemente importati, risulta al quarto posto in tale graduatoria di impatto negativo. La crescente diffusione di questi prodotti, prevalentemente nell’abbigliamento, fa analogamente lievitare il consumo di acqua e di energia, con l’uso inefficiente di risorse non rinnovabili: a cui va aggiunta la produzione di fibre sintetiche partendo da combustibili fossili e la dispersione di microplastiche dai tessili sintetici e dalle calzature.
A peggiorare la situazione c’è pure la tendenza consumistica a utilizzare capi di vestiario per periodi sempre più ridotti prima di buttarli, un fenomeno noto come “fast fashion” (moda rapida).

La Commissione Europea ha deciso di attuare una strategia per ridurre le problematiche del settore, varando un documento che presenta alcune indicazioni operative, con l’impegno ad attuare iniziative concrete. L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare entro il 2030 ad avere sul mercato dell’UE prodotti tessili durevoli e riciclabili, costituiti prevalentemente da fibre riciclate, non dannose, e realizzati nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente.

Consumatori e produttori verso un cambio di mentalità

Si tratta di una sfida impegnativa e complessa che, non solo punta verso prodotti di qualità a prezzi accessibili, ma vuole altresì incentivare servizi di riutilizzo e riparazione economicamente vantaggiosi, richiedendo anche ai produttori di assumersi la responsabilità dei loro prodotti lungo l’intera catena del valore, anche quando tali prodotti diventano rifiuti. È possibile creare un ecosistema tessile circolare, prospero, fondato su capacità sufficienti per il riciclaggio innovativo a ciclo chiuso, riducendo al minimo indispensabile l’incenerimento e l’invio in discarica.

L’Europa, che da sempre si è caratterizzata per l’innovazione, la creatività e la qualità dei suoi marchi prestigiosi, deve saper far fronte alle attuali problematiche, soprattutto sull’approvvigionamento delle materie prime, attingendo a nuovi mercati per prodotti più sostenibili e diventando ancora attrattiva per una manodopera qualificata e di talento.

Dal fast fashion al slow fashion

Prolungare la vita dei prodotti tessili è il primo passo per limitarne l’impatto in modo semplice e significativo: rispondere alla “moda rapida” con prodotti più durevoli rappresenta un’alternativa economicamente vantaggiosa e accessibile, a cui si possono accompagnare nuovi modelli circolari come quelli che propongono i servizi di ritiro e noleggio, le collezioni di seconda mano e i servizi di riparazione.

La Commissione invita a un miglioramento della progettazione dei prodotti, che è un altro passo da compiere per far fronte alle sfide tecniche: a tale proposito saranno elaborate specifiche vincolanti per una progettazione ecocompatibile, allo scopo di accrescere le prestazioni in termini appunto di durabilità, riutilizzabilità, riparabilità, riciclabilità a ciclo chiuso e contenuto obbligatorio di fibre riciclate. Oltre a diminuire gli impatti negativi su clima e ambiente, questo è anche fondamentale per monitorare e ridurre al minimo la presenza di sostanze che destano preoccupazione: ne sono state individuate quasi 60 nei prodotti immessi nel mercato europeo.

Molto spesso i capi di vestiario sono costituiti da fibre con caratteristiche diverse, mescolate fra di loro, che rendendo quindi assai complicata la possibile fase di riciclo. Le ricerche effettuate hanno mostrato che meno dell’1 % viene riutilizzato in nuovi prodotti tessili e circa il 20 % dei tessili usati raccolti separatamente in Europa è trasformato in materiali di valore inferiore (il cosiddetto downcycling), utilizzati tipicamente come panni per la pulizia industriale.

Arriva il passaporto digitale dei prodotti tessili

Un altro punto cruciale riguarda la trasparenza e la verifica dei passaggi di un capo di abbigliamento lunga tutta la filiera: informazioni chiare e accessibili sulle caratteristiche di sostenibilità ambientale consentono a imprese e consumatori di compiere scelte più adeguate. È al vaglio della Commissione l’introduzione di un passaporto digitale dei prodotti per i tessili, basato su obblighi di informazione sulla circolarità e altri aspetti ambientali fondamentali.
Anche le autodichiarazioni ambientali di prodotti “green” o “ecocompatibili” non avranno valore se non saranno validate da una terza parte qualificata: da alcune indagini a livello europeo è emerso che quasi il 40% di tali dichiarazioni potrebbero essere false o ingannevoli. Nel 2019 l’Unione Europea ha importato capi di abbigliamento per un valore complessivo di 80 miliardi di euro: è emersa chiaramente una responsabilità nell’assicurarsi che tali prodotti provengano da un lavoro dignitoso, qualsiasi sia la zona del mondo di provenienza.

Moda senza sfruttamento

La piaga del lavoro minorile è inaccettabile e sempre più consumatori stanno prendendo le distanze da quei brand, anche solo sospettati di tale sfruttamento: la Commissione sottolinea piuttosto come il tessile sia un settore chiave in cui promuovere la parità di genere, in quanto si stima che il 75 % dei lavoratori siano donne. Qui si fa giustamente riferimento a Better Work, un programma globale legato all’ONU e all’International Finance Corporation (IFC), che riunisce tutti i livelli dell’industria dell’abbigliamento per migliorare le condizioni di lavoro e il rispetto dei diritti dei lavoratori, aumentando la competitività delle aziende del settore. Un’esperienza che dimostra con dati precisi come il miglioramento significativo delle condizioni di lavoro abbia coinciso con l’aumento della produttività e della redditività delle fabbriche.
La Commissione incoraggia gli Stati membri ad adottare misure fiscali a favore del settore del riutilizzo e della riparazione, invitando le istituzioni e gli organi dell’Unione ad approvare la presente strategia, con azioni risolute e concrete per attuarla.

Il progresso auspicato richiede cambiamenti radicali nell’attuale modalità in cui i prodotti tessili sono progettati, prodotti, usati e buttati; al tempo stesso si deve ridurre l’inquinamento, l’uso delle risorse e l’impatto sui cambiamenti climatici, nonché porre fine alla violazione dei diritti umani. Se è vero che la crisi legata al Covid ha inciso pesantemente in questo settore, è altrettanto vero che il passaggio verso un’industria sostenibile e circolare, aiuterà non solo alla ripresa ma anche ad affrontare positivamente la crisi climatica e l’ingiustizia sociale.

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