La sicurezza alimentare è oggi uno dei nodi da risolvere per nutrire una popolazione mondiale ancora in crescita e allo stesso tempo ridurre l’impatto ambientale dell’alimentazione globale e in particolare dell’agricoltura. Una possibile soluzione ci arriva dal maree non si tratta né del pesce né dei crostacei. In Italia le conosciamo poco e le usiamo ancor meno: qualche ricetta orientale e poco più; eppure il loro utilizzo su larga scala potrebbe risolvere più di un problema connesso all’attuale sistema alimentare mondiale, oggi estremamente problematico.
Stiamo parlando delle alghe, che probabilmente molti di noi conoscono solo sotto forma di fastidiosa vegetazione che solletica le caviglie in qualche zona di mare in cui la temperatura dell’acqua troppo calda le ha fatte proliferare incontrollatamente; o tutt’al più come parte integrante del sushi del venerdì sera. Ma le alghe possono essere molto più di questo e gli scienziati oggi scommettono che possano contribuire alla soluzione di tanti problemi ambientali.
Una speranza dalla ricerca
Se il sospetto c’era già, la svolta è arrivata di recente con uno studio condotto dall’Università del Queensland, in Australia, e pubblicato a gennaio sulla prestigiosa rivista scientifica Nature; la ricerca ha provato a misurare il contributo che le alghe possono offrire alla sicurezza alimentare, alla riduzione della perdita di biodiversità e del consumo di suolo. Utilizzando il Global biosphere management model – un modello di equilibrio parziale che rappresenta i principali settori di utilizzo del suolo, tra cui agricoltura e silvicoltura, formulato tenendo conto di una varietà di parametri ambientali e socio-economici – i ricercatori hanno esaminato il potenziale dell’allevamento di 34 specie diverse di alghe tra le più importanti a livello commerciale; hanno quindi formulato cinque possibili scenari sulla base degli effetti del loro utilizzo su fattori quali i cambiamenti nell’uso del suolo, le emissioni di gas serra e il consumo di acqua e fertilizzanti in agricoltura.
Quel che ne è emerso è che sostituire in parte le coltivazioni terrestri con quelle di alghe può far diminuire le emissioni globali di gas serra provocate dal settore agricolo di 2,6 miliardi di tonnellate di CO2-equivalente all’anno. Quanto al consumo di suolo, una dieta mondiale costituita anche soltanto per il 10% da prodotti a base di alghe potrebbe ridurre l’estensione dei terreni agricoli – per fare spazio ai quali oggi si mette in atto un’eccessiva e drammatica deforestazione – di 110 milioni di ettari.
I ricercatori, però, non si sono limitati a immaginare gli straordinari effetti dell’impiego di alghe a livello mondiale, ma hanno misurato la fattibilità di questi scenari, individuando come idonei alla coltivazione di alghe circa 650 milioni di ettari di oceano, principalmente situati tra Sud-Est asiatico e Oceania. Già oggi, in effetti, l’impiego di alghe si sta diffondendo anche oltre i Paesi che le utilizzano tradizionalmente: i dati della FAO parlano di una produzione più che triplicata in vent’anni e di una commercializzazione che, nel solo 2019, ha raggiunto i 5,6 miliardi di dollari di giro d’affari a livello mondiale.
L’Unione Europea oggi è uno dei maggiori importatori di prodotti a base di alghe al mondo, con una richiesta che potrebbe raggiungere il valore di 9 miliardi di euro nel 2030; la stessa Commissione Europea punta con decisione su questo prodotto, incentivandone la diffusione anche attraverso l’informazione; a questo mirano, ad esempio, le 23 azioni pubblicate nel novembre scorso per incrementare l’utilizzo delle alghe nel nostro continente, obiettivo a cui è volto anche il forum EU4Algae, che unisce i diversi attori coinvolti nel settore, con gruppi di lavoro dedicati a settori specifici come la produzione di microalghe, il comparto chimico e dei materiali, la produzione alimentare umana e animale e l’imprenditoria giovanile.
Mille utilizzi, tanti vantaggi
Non bisogna, infatti, pensare che si tratti semplicemente di sostituire l’insalata a cui siamo abituati con una sua versione di alghe: ci sono tanti prodotti che si possono preparare a partire proprio da questi vegetali marini. Ovviamente non si tratta banalmente di scambiare le colture “tradizionali” con le alghe, che vanno – comunque – coltivate con attenzione alla sostenibilità. Ma anche alla sicurezza: sebbene si tratti, sempre secondo la FAO, di un prodotto sicuro, anche nelle alghe bisogna sempre verificare l’assenza di agenti patogeni come la Salmonella o contaminanti come metalli pesanti e micro e nanoplastiche. L’invito della FAO è quindi quello di non farsi bloccare dalla paura di potenziali rischi – che ogni prodotto, peraltro, comporta in qualche misura – ma di portare avanti discussioni sull’argomento a livello globale e di definire delle linee guida internazionali a riguardo.
Le alghe sono così straordinarie, infatti, che la loro utilità non è circoscritta alla tavola: hanno un grande potenziale sfruttabile anche nel settore farmaceutico – dove sono impiegate soprattutto come integratori e nei farmaci per la regolazione dello iodio – ma anche nella produzione di mangime e nella fabbricazione di biocarburanti e bioimballaggi; e persino nel tessile, in cui costituiscono un ingrediente fondamentale, ad esempio, di Seacell, un tessuto morbido e resistente le cui fibre impiegano le alghe dei fiordi islandesi dando vita a un materiale perfetto per vestiti sportivi traspiranti, lenzuola, biancheria intima e abbigliamento per bambini. Le alghe, insomma, meritano tutta la nostra attenzione, perché possono davvero rappresentare una soluzione sostenibile ai problemi che la nostra società ci pone, a tavola e non solo.