Alternative alla carne, dalla ‘sintetica’ al jackfruit

Per motivi etici o ambientali, sempre più persone riducono o abbandonano la carne: le alternative, dalle più curiose alle più classiche, oggi sono tante. Ne abbiamo raccolte alcune delle più interessanti

Sempre più persone sono consapevoli dell’importanza di ridurre la carne nella propria alimentazione, non solo per ragioni di salute, ma anche dell’effetto positivo che questa scelta ha sull’ambiente. La carne bovina – una delle più consumate – da sola è responsabile di un quarto delle emissioni totali derivanti dalla produzione alimentare, mentre complessivamente gli allevamenti ne causano quasi il 60%. Purtroppo, il consumo globale di carne è aumentato in modo significativo negli ultimi decenni, addirittura raddoppiando dall’inizio degli anni Sessanta a oggi e le proiezioni indicano un ulteriore aumento del consumo pro capite nei prossimi anni.

La buona notizia è che produrre alimenti di origine vegetale causa circa la metà delle emissioni, confermandosi un modo efficiente di nutrire il Pianeta, saltando il passaggio intermedio rappresentato dalla produzione di mangime per gli animali. Il vantaggio è molteplice: il mondo scientifico più aggiornato è concorde, infatti, nell’affermare che le diete a base vegetale bilanciate sono adeguate a ogni fase della vita; seguirle oggi, con tutti i prodotti che abbiamo a disposizione, è anche facile e divertente. È vero, infatti, che le diete vegetali possono benissimo fare a meno delle alternative della carne e sfruttare le ottime proprietà dei legumi più umili ed economici per assumere le proteine e i sali minerali di cui hanno bisogno, ma può essere bello – specialmente per chi si sta avvicinando da poco a questa nuova alimentazione o fa fatica ad abbandonare la carne – ritrovare i sapori con cui si è cresciuti. Oggi esistono tanti modi per farlo.

La soia

Cominciamo subito con lei: la soia, prodotto a torto oggetto ancora oggi da tanti luoghi comuni sfatati dalla scienza. Il primo riguarda il suo impatto ambientale: la produzione di soia è legata a una grave deforestazione estensiva, all’abbattimento di foreste e all’inquinamento idrico legato alle pratiche agricole intensive; è tutto vero, ma riguarda quella quota (tra l’80 e il 90% ) della soia prodotta a livello mondiale – di cui gran parte in Stati Uniti, Argentina e Brasile, dove le coltivazioni prendono il posto della foresta amazzonica – cioè quella coltivata per la nutrizione animale. La soia per consumo umano è anzi prodotta con metodi diversi, anche in Italia, e in scala infinitamente minore. Al contrario, la soia è un ottimo prodotto per la nostra tavola: contrariamente a quanto molti credono, questo legume ha un ruolo protettivo rispetto ad alcuni tipi di tumori, soprattutto femminili, e il suo consumo frequente mette persino al riparo dai sintomi della menopausa.

Oltre a essere molto proteica e contenere un’alta concentrazione di aminoacidi essenziali, con il suo sapore delicato e le sue proprietà, è la soia è anche estremamente versatile: per questo si presta a essere lavorata in diversi modi, a partire dai metodi antichi che sono all’origine di prodotti diffusi nelle diete vegetali ma in realtà di antica tradizione orientale, come tofu e tempeh, che non sono prodotti processati, ma solo minimamente lavorati. Oggi, proprio per le sue qualità, la soia è spesso l’ingrediente base nella produzione di nuovi alimenti come i burger simili alla carne o i nugget “finto pollo”.

La carne plant-based

Proprio la soia, in effetti, figura tra gli ingredienti della cosiddetta fake meat (letteralmente “carne finta”) o carne plant-based, cioè a base vegetale, un prodotto che imita in tutto e per tutto gli hamburger di manzo, ma è realizzata a partire da farina di legumi, con l’aggiunta di fibre insolubili per la consistenza e di estratti di barbabietola, frutti di bosco o carote viola per il colore. Oggi sono ormai una realtà diffusa, a partire da marchi noti come Beyond Meat, azienda fondata in California nel lontano 2009 e numero uno nel settore, Impossible Foods e l’europea Heura Food. Oggi oltre al burger ce n’è per tutti i gusti, dal finto macinato ai würstel. Si tratta, è vero, di prodotti processati e con una lunga lista di ingredienti, che sul piano nutrizionale sarebbe bene non consumare spesso, ma che sono ottimi in occasioni di grigliate con gli amici o per togliersi la voglia ogni tanto. In fin dei conti, dovrebbe essere così anche con salsicce e hamburger di carne, no?

I funghi

Ne abbiamo già parlato anche noi: le proteine derivate dai funghi possono essere un’alternativa interessante alla carne, in particola bovina, soprattutto per il risparmio che permettono a livello di impatto ambientale e alla facilità e rapidità della loro produzione. Si calcola, infatti, che sostituendo il 20% del consumo pro capite di carne bovina con prodotti derivati da funghi nei prossimi 25 anni si fermerebbe la continua estensione dei terreni destinati al nutrimento del bestiame – tra pascoli e, soprattutto, produzione di mangimi – mentre le emissioni carboniche calerebbero del 56% rispetto alle tendenze attuali.

Il jackfruit

Ok, qui siamo ai limiti della creatività umana. Il jackfruit (in italiano giaco) è un grande frutto tropicale che cresce in Asia, Africa e alcune aree del Sud America, caratterizzato da una buccia spessa, verde, irregolare e una polpa interna morbida e fibrosa con grossi semi commestibili. Un frutto a tutti gli effetti, ma che grazie alla sua consistenza e al suo sapore delicato, che assorbe facilmente i gusti di spezie e insaporitori, viene usato anche come sostituto nei piatti a base di carne o nei panini, in particolare per riprodurre il pulled pork, una preparazione anglosassone che consiste in una lunghissima cottura della spalla di maiale che la rende tenera e sfilacciata, per poi riempire panini assieme a salse e altri condimenti. Si tratta, quindi, di una curiosa imitazione che non ha niente a che fare con il prodotto originale, ma che può essere protagonista di esperimenti divertenti in cucina.

Panino farcito con pulled pork fatto jackfruit.

Fagioli di soia…al maiale

L’ultima arrivata e forse la più strana, è però la soia che sa di maiale. Non si tratta, in questo caso, di un prodotto a base di soia che imita il gusto della carne, ma di veri e propri fagioli di soia, prodotti dall’azienda Moolec Science che lavora da anni allo sviluppo di proteine della carne nelle piante e che oggi sta studiando un procedimento analogo per i piselli. Per il momento ha sviluppato con successo una tecnologia battezzata Piggy Sooy che permette di coltivare proteine di maiale nei semi di soia, ottenendo fino al 26,6% delle proteine suine solubili totali nei semi di soia, una quantità addirittura quattro volte superiore a quanto inizialmente previsto dall’azienda. Anche l’aspetto della soia cambia con questo procedimento: i semi di Moolec Science hanno una tonalità rosa simile alla vera carne di maiale. Dopo questo successo, la società prevede di depositare un nuovo brevetto per la sua tecnologia basata sull’agricoltura molecolare, che dovrebbe contribuire a rendere più semplice il percorso normativo in futuro.

E la carne sintetica?

Non è un’alternativa vegetale, è vero, trattandosi carne a tutti gli effetti, ma l’argomento scottante e non poteva essere trascurato. Detta impropriamente “sintetica”, la carne coltivata è infatti un’alternativa valida al prodotto di allevamento. Se sull’impatto ambientale effettivo non ci sono ancora certezze – perché sono ancora da valutare gli effetti della produzione su ampia scala – comunque questa produzione usa il 99% in meno di terra, il 96% in meno di acqua e il 45% in meno di energia rispetto alla carne da allevamento. È, inoltre, più etica, essendo prodotta in laboratorio, dove viene appunto coltivata a partire da alcune cellule derivanti da piccole quantità di sangue o di pelle, prelevate tramite una biopsia e fatte crescere su un terreno, una soluzione, ricco di nutrienti. Dopo la crescita, queste cellule staminali, che non presentavano alcuna specializzazione, si differenziano in una cellula di interesse, nel caso specifico in una cellula muscolare, cosa che avverrebbe anche nel corpo dell’animale. La produzione di burger viene fatta poi da alcune aziende tramite stampa a 3D, metodo che permette anche di imitare più fedelmente l’aspetto della carne.

Detta anche clean meat, questo prodotto in laboratorio mima semplicemente quanto avviene nell’organismo, ma senza bisogno di nutrire e poi di uccidere migliaia di animali. Qualcosa di straordinario, quindi, che ha il potenziale di ridurre notevolmente la quantità di carne prodotta in modo tradizionale su scala globale. Non essendo stati riscontrati rischi per la sicurezza rispetto al consumo di questo tipo di prodotti, negli Stati Uniti è di recente ne stata approvata la vendita come già fatto in altri Paesi e se ne attende quindi l’arrivo in supermercati e ristoranti; in Italia invece – tra resistenze culturali relative al cibo “tradizionale” e la pressione operata dai gruppi di potere – è stato approvato il disegno di legge che vieta la produzione (anche se non l’importazione), con una presa di posizione controcorrente rispetto, ad esempio, ai governi olandese, spagnolo e britannico che hanno fatto stanziamenti a due cifre (in milioni) per lo sviluppo del settore, vedendone tutte le potenzialità, anche economiche.

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