L’anacronismo del caso Ferragni-Balocco

Il pandoro-gate che ha conquistato le cronache natalizie, analizzato alla luce delle regole sui green claim (applicabili anche al social washing)

Nell’era in cui trasparenza e sostenibilità, nel senso più ampio delle loro accezioni, assumono crescente importanza, il caso Ferragni-Balocco non si presenta solo come una questione giudiziaria ed etica, ma come un vero e proprio anacronismo.

Stiamo vivendo un cambio significativo nelle modalità di interazione tra aziende, consumatori e società.
E, mentre il mondo digitale rincorre strumenti di legittimità, trasparenza ed equa semplificazione del rapporto uomo-tecnologia, quello della comunicazione evolve verso forme disciplinate di dichiarazioni sostenibili e patti di lealtà con il pubblico.

Le norme, a volte precedono, a volte – il più delle volte – inseguono il cambiamento.
Di certo continuano a proliferare in questa direzione.

Le azioni, a volte precedono, a volte, inseguono le norme.

Crescono interesse, assenso e credito riconosciuti a Codici Etici, Relazioni di Impatto, Manifesti, Policy aziendali di inclusione, sicurezza, equità DE&I. Documenti di impegno rivolti all’utenza e ai consumatori, volontari oggi e obbligatori domani (alcuni), che mostrano come le organizzazioni stiano evolvendo per rispondere alle crescenti richieste di responsabilità e trasparenza. 

Fotografia di un pnadoro sul quale si abbatte il martelletto del giudice; concettualizzazione caso Ferragni - Balocco

Nel caso Ferragni-Balocco: le norme precedono, …

Quando Chiara, contrita, parla di un “errore di comunicazione”, ricordiamo che il Codice del consumo AGCM, Dgl.206, già parla dal 2005 di pratiche commerciali scorrette (artt. 18, 20 e 21 Cod. Consumo) e dice: “le informazioni generiche relative a impegni di sostenibilità assunti dall’imprenditore prive di un qualche riscontro nelle condotte concretamente attuate è indice della violazione dei principi generali di buona fede e correttezza, in quanto i comportamenti non coerenti con le affermazioni e quindi con le rassicurazioni fornite possono arrecare pregiudizio in chi ha confidato nel rispetto di tali dichiarazioni di sostenibilità, che dovrebbero invece essere vincolanti per chi le divulga“.

le norme sono oggetto di negoziati europei, …

Mentre Chiara continua, spiegando che da questa comunicazione “si possono generare degli equivoci”, facciamo presente che il Consiglio dell’Unione Europea, il Parlamento e la Commissione Europea negoziano per pubblicare il testo definitivo della Direttiva Green Claims, di cui tanto si discute. La Direttiva Green Claims del 22/3/2023, derivazione (lex specialis) della più ampia proposta di Direttiva responsabilizzazione consumatori del 30/3/2022, è volta a contrastare il greenwashing e a promuovere una transizione ecologica trasparente e responsabile. La direttiva porta modifiche alle normative sulle pratiche commerciali sleali e i diritti dei consumatori, stabilendo l’obbligo di trasparenza e correttezza per i produttori e i venditori e sottolineando l’importanza di etica e trasparenza. L’equivoco non è un errore. L’autodichiarazione non è sufficiente, serve una dimostrabilità, anzi un ente terzo certificatore. Gli Stati membri dovranno poi recepire la direttiva ed emanarne legge nazionale entro i 24 mesi successivi.

Un piccolo inciso: la disciplina armonizzata europea, compresa questa Direttiva, usa il termine “professionista” per qualunque impresa o persona fisica che colloca sul mercato prodotti e servizi destinati ai consumatori. 

In questo contesto, ogni azione e parola diventa una dichiarazione di intenti, che riflette un’esigenza di coerenza e integrità nelle comunicazioni e nelle azioni.

La tendenza globale ci traghetta verso i concetti più ampi di responsabilità e consapevolezza, l’etica prende crescente spazio in ogni processo di business, il posizionamento competitivo sul mercato rimescola la scala dei valori e trova nuove lungimiranti prospettive.

La transizione ecologica va di pari passo con una crescente responsabilizzazione pubblica, dove l’errore non è solo un fallo operativo, ma diventa un disallineamento con i valori emergenti di sostenibilità e trasparenza. 

Il caso Ferragni-Balocco, con le sue implicazioni, rappresenta un esempio lampante di questo disallineamento.

e le norme seguono.

Non tutto il male viene per nuocere?

In risposta alla rumorosa vicenda, l’AGCM stabilisce nuove regole sugli influencer, approva delle Linee Guida e avvia un Tavolo Tecnico. L’obiettivo è che assicurarsi che anche questi “professionisti” rispettino le regole del Testo unico sui servizi di media audiovisivi.

Queste norme mirano a garantire trasparenza nelle comunicazioni commerciali e tutelare i diritti delle persone. Incluse anche le disposizioni per la rimozione o l’adeguamento dei contenuti non conformi. 

Nuove regole per gli influencer

Secondo l’AGCM, gli influencer sono definiti “veri e propri editori” e devono seguire regole stringenti se hanno almeno 1 milione di follower sui social, mostrano un buon tasso di engagement e pubblicano almeno 24 contenuti all’anno. Queste norme si applicano a influencer in Italia che raggiungono il suddetto numero di follower su qualsiasi piattaforma social e hanno un tasso di engagement medio pari o superiore al 2% su almeno una di queste piattaforme.

La responsabilità morale

Sorvoliamo sulle complesse considerazioni sull’efficacia delle linee guida derivanti dal fatto che alcuni influencer possano avere meno di un milione di follower ma engagement rate superiore al 2%.

Considerato che oggi: più di 28 milioni di italiani, corrispondenti al 76% della popolazione tra i 15 e i 65 anni, seguono almeno un influencer (Osservatorio InsIdE). Il 57% di questi seguaci tende ad acquistare prodotti o servizi raccomandati dagli influencer sui social network.

Mi focalizzerei sulla responsabilità di cui gli influencer NON POSSONO non sentirsi investiti.

Chiara, nelle sue scuse esordisce con “…sono sempre stata convinta che chi è più fortunato ha la responsabilità morale di fare del bene…”

Ancora: sorvoliamo sulle complesse, e facili, speculazioni sulla scelta del termine “fortunato“.
Mi focalizzerei sul fatto è stato del tutto omesso il fatto che sia un’influencer da 29 milioni di follower.
La responsabilità morale legata a questo?

Costantemente bombardati e quasi sopraffatti da termini come sostenibilità, greenwashing e ambiente, tanto da rischiare di cadere nella trappola del greenhushing.
Come è possibile che un’influencer tanto esperta e capace, e, va beh, forse anche fortunata, circondata da un entourage di marketing altrettanto esperto, sia stata così fuori dalla realtà?
Come ha potuto comunicare a milioni di persone un’equivoca operazione di impatto sociale, senza pensare di essere completamente anacronistica, e sfidare le tendenze attuali a 360°?

E per quanto riguarda il nostro pandoro Balocco, in questo macro paradosso davvero aveva le mani legate?

La maschera del greenwashing

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