Giustizia climatica, il Tribunale mondiale ONU ora deve intervenire

Dopo il Trattato Globale sugli Oceani di qualche settimana fa, un altro passo avanti, forse, è fatto dalle Nazioni Unite per rafforzare l'azione e la giustizia climatica. Cosa succede adesso, come funziona la Corte Internazionale di Giustizia, perchè gli Usa non hanno firmato, la voce dei giovani attivisti

Il 29 marzo sarà ricordato nella storia della nazione di Vanuatu, un arcipelago del Pacifico che conta appena 300mila abitanti, come il giorno in cui ‘un topolino ha partorito un elefante’ per coniare, parafrasando, una nuova espressione. Forse è ancora presto per capirne tutte le implicazioni, ma chi l’avrebbe detto che l’idea di un gruppo di studenti di legge di una remota isola del Pacifico potesse concretizzarsi in una risoluzione ONU per la richiesta di un ‘advisory opinion’?

Per capirne la portata, la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso solo 27 pareri di questo tipo nel corso della sua intera esistenza, dal 1948 al 2018, 70 anni circa.

Grazie all’iniziativa del governo di Vanuatu (partita da questi giovani studenti di legge vanuatani), sostenuto da un gruppo ristretto di 17 paesi di varie regioni, si è finalmente sottoscritta all’Assemblea delle Nazioni Unite da parte di 130 Stati una risoluzione per chiedere alla Corte internazionale di Giustizia (il principale organo giudiziario dell’Onu, noto come il Tribunale mondiale) di fornire il proprio parere sugli obblighi climatici che i Paesi del mondo sono tenuti a rispettare per contrastare il cambiamento cliamatico e a quali conseguenze vanno incontro se non lo fanno.

Vanuatu è una nazione nel Sud Pacifico composta da circa 80 isole che si estendono per 1300 km ed è tra i Paesi più esposti al mondo agli effetti del cambiamento climatico, che minacciano di fatto la sua scomparsa per ‘annegamento’. Rappresentanto insieme ad altre isole e molti Paesi in via di sviluppo, anche il principale esempio di ‘ingiustizia climatica’ in quanto pagano con la stessa possibilità di sopravvivenza i danni ambientali provocati da altri Paesi, proprio quelli che più si sottraggono oggi anche alla riparazione e all’azione per il clima.

Il parere espresso della Corte non è vincolante, non comporta obblighi giuridici per gli Stati, ma potrebbe costituire un elemento di fortissima pressione politica e diplomatica per i paesi che non rispettano gli accordi internazionali sul clima.

Cosa dice la risoluzione per la giustizia climatica

La risoluzione firmata alle Nazioni Unite è tecnicamente una ‘Request for an advisory opinion of the International Court of Justice on the obligations of States in respect of climate change’ cioè la Richiesta di un parere consultivo della Corte internazionale di giustizia sugli obblighi degli Stati in materia di Giustizia sugli obblighi degli Stati in materia di cambiamento climatico.

Nel documento, dopo aver citato una serie di situazioni e rimandato a una serie di documenti precedenti (come l’Accordo di Kyoto e di Parigi, gli Accordi sui Diritti umani e l’Agenda 2030, gli Accordi fondanti stessi delle Nazioni Unite) si nota con profondo allarme che le emissioni di gas a effetto serra continuano ad aumentare nonostante il fatto che tutti i Paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, siano vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico, che c’è unanime consenso scientifico rispetto alle cause del surriscaldamento globale e che urge un’azione più robusta da parte degli Stati;

e si decide, in conformità con l’articolo 96 della Carta delle Nazioni Unite, di
chiedere alla Corte internazionale di giustizia, di esprimere un parere consultivo su due principali questioni:

a) Quali sono gli obblighi degli Stati, in base al diritto internazionale, per assicurare la protezione del sistema climatico e ambientale dalle emissioni antropiche di gas a effetto serra, per gli Stati e per le generazioni presenti e future?

(b) Quali sono le conseguenze giuridiche di questi obblighi per gli Stati, nel caso in cui essi, con le loro azioni e omissioni, abbiano causato danni significativi al sistema climatico e ad altre parti dell’ambiente, con riferimento particolare a:
(i) Stati, compresi, in particolare, i piccoli Stati insulari in via di sviluppo, che
a causa delle loro circostanze geografiche e del loro livello di sviluppo, sono danneggiati o colpiti in modo particolare da o sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi dei cambiamenti climatici
(ii) I popoli e gli individui delle generazioni presenti e future
colpiti dagli effetti negativi del cambiamento climatico

Si capisce che, per come sono formulate queste domande, la risposta della Corte (il parere) tenderà a ‘fare legge’.

Chi decide sul parere

I membri della Corte sono 15 e sono eletti per un mandato di nove anni dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dal Consiglio di Sicurezza. Questi organi votano simultaneamente ma separatamente e per essere eletto, un candidato deve ricevere la maggioranza assoluta dei voti in entrambi gli organi. Inoltre, per garantire continuità, ogni tre anni è rinnovato un terzo dei membri. Attualmente, la composizione è variegata, anche se a prevalenza maschile, solo 4 donne; curioso caso che in questo momento la presidentessa, Joan E. DONOGHUE, sia statunitense e il vicepresidente Kirill GEVORGIAN, russo. In ogni caso la composizione della Corte può variare per prevenire questioni di conflitto di interessi , possono essere rimossi giudici e inseriti altri giudici ad hoc.

A loro sta ora studiare il caso e dare la loro risposta.

Per chi volesse approfondire, qui come funziona la Corte.

Un ruolo attivo nella crisi climatica per la Corte Internazionale di Giustizia

La Corte Internazionale di Giustizia è un organo delle Nazioni Unite e ha un duplice ruolo:
– dirimere, in conformità con il diritto internazionale, le controversie giuridiche sottoposte dagli Stati (funzione contenziosa);
esprimere pareri consultivi su questioni giuridiche sottopostegli da organi e agenzie delle Nazioni Unite debitamente autorizzati (funzione consultiva).

E’ proprio in quest’ultima veste che è stata chiamata in causa in questa recente risoluzione ONU.

Sebbene i pareri della Corte Internazionale di Giustizia siano consultivi, quindi non siano giuridicamente vincolanti, hanno autorità legale e un grande peso morale.

Il parere che darà la Corte influenzeranno decisioni e regolamentazioni più vincolanti e potrebbero fornire un substrato legale per le azioni giudiziarie climatiche (litigation climatiche).

Bisogna tuttavia tener conto del fatto che solo i Governi degli Stati membri delle Nazioni Unite possono rivolgersi alla Corte. La Corte non ha giurisdizione per trattare le domande di individui, ONG, società o qualsiasi altra entità privata. Non può fornire loro consulenza legale o aiutarli nei loro rapporti con le autorità nazionali.

Eventualmente, uno Stato può prendere in carico il caso di un suo cittadino e invocare contro un altro Stato i torti che il suo cittadino sostiene di aver subito per mano di quest’ultimo; la controversia diventa allora una controversia tra Stati.

Per la richiesta di pareri come in questo caso, possono procedere solo cinque organi delle Nazioni Unite – tra cui l’Assemblea Generale – oltre a 16 agenzie specializzate che gravitano intorno all’Onu.

Raggiungere questa risoluzione è stato pertanto, di per sè, qualcosa di significativo.

“I negoziati intensi e impegnativi con il gruppo centrale e con i membri delle Nazioni Unite sono stati un’indicazione dell’importanza di questa iniziativa, ma anche del desiderio collettivo di lavorare per affrontare la crisi climatica.

“Non si tratta di una pallottola d’argento, ma può dare un importante contributo al cambiamento climatico e all’azione per il clima, anche catalizzando ambizioni molto più elevate nell’ambito dell’Accordo di Parigi”, ha detto il primo ministro di Vanuatu Alatoi Ishmael Kalsakau.

Cosa succederà adesso

La Corte procede in questo modo.

Quando riceve una richiesta di parere consultivo, subito dopo il deposito della richiesta, comincia a fare una serie di attività di ‘consultazione‘ volte a documentarsi e raccogliere tutti i fatti rilevanti per il parere che deve dare, è quindi autorizzata a tenere procedimenti scritti e orali, simili a quelli delle cause contenziose, e a interpellare gli Stati e le organizzazioni internazionali che possono essere in grado di fornire informazioni sulla questione sottoposta alla sua attenzione. Di solito gli Stati interpellati sono gli Stati membri dell’organizzazione che richiede il parere. Qualsiasi Stato non consultato dalla Corte può chiedere di esserlo.

Questo procedimento richiede naturalmente del tempo e si conclude con la formulazione del parere consultivo in seduta pubblica.

La soddisfazione, moderata, di Guterres e Kalsakau

Un passo avanti, certo, ma il vero punto della questione sarà il parere che darà la Corte. Contenti con riserva, quindi, il Segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres e del primo ministro di Vanuatu Alatoi Ishmael Kalsakau.

Il capo delle Nazioni Unite ha ricordato il recente rapporto IPCC che mette a fuoco ancora una volta come sia unicamente l’azione umana ad aver provocato negli ultimi 200 anni il surriscaldamento globale. Ed è, quindi, nelle mani dell’uomo fermare questo disastro e agire per il clima e per la giustizia climatica.

“La crisi climatica può essere superata solo attraverso la cooperazione – tra popoli, culture, nazioni, generazioni. Ma l’ingiustizia climatica alimenta le divisioni e minaccia di paralizzare l’azione globale per il clima”, ha avvertito.

Il primo ministro di Vanuatu, Alatoi Ishmael Kalsakau, ha affermato che l’ambizione di raggiungere l’obiettivo di 1,5 gradi “è ancora lontana da ciò che è necessario” e che un parere consultivo della Corte internazionale di giustizia potrebbe fornire chiarezza a beneficio degli sforzi globali per affrontare la crisi climatica e per promuovere ulteriormente la cooperazione.

La palla passa dunque alla Corte Internazionale di Giustizia, e vedremo con quali tempi agirà. Probabilmente entro il 2024.

Perché gli Stati Uniti non hanno firmato

La posizione degli Stati Uniti non è certamente di cooperazione come auspica Guterres ed è stata espressa ufficialmente attraverso la U.S. Mission to the United Nations (USUN), in pratica la delegazione degli USA presso le Nazioni Unite, che si sono dichiarati contrari alla richiesta del parere, per quanto rilevante il tema climatico e ambientale, sia evidenziandone la sua inutilità sia la sua cattiva enunciazione da un punto di vista tecnico-legale.

“Gli Stati Uniti si sono impegnati nelle discussioni su questa risoluzione al fine di valutare il modo migliore per far progredire i nostri sforzi collettivi. Abbiamo valutato attentamente la questione, riconoscendo la priorità che Vanuatu e altri piccoli Stati insulari in via di sviluppo hanno attribuito alla richiesta di un parere consultivo da parte della Corte internazionale di giustizia allo scopo di avanzare verso gli obiettivi climatici.

Tuttavia, abbiamo serie preoccupazioni che questo processo possa complicare i nostri sforzi collettivi e non ci avvicinerà al raggiungimento di questi obiettivi condivisi. Riteniamo che l’avvio di un processo giudiziario – soprattutto data l’ampia portata delle questioni – probabilmente accentuerà i disaccordi e non favorirà l’avanzamento dei processi diplomatici e negoziali in corso. Alla luce di queste preoccupazioni, gli Stati Uniti non sono d’accordo sul fatto che questa iniziativa sia l’approccio migliore per raggiungere i nostri obiettivi condivisi e colgono questa opportunità per riaffermare il nostro punto di vista secondo cui gli sforzi diplomatici sono il mezzo migliore per affrontare la crisi climatica”.

La voce dei giovani attivisti

Per i giovani attivisti da cui è partita l’iniziativa che ha condotto a questa risoluzione, che hanno oggi un sito molto ricco e sono supportati da altri gruppi di attivisti in tutto il mondo, si tratta di un passo gigantesco sotto molti profili, anche quello di essere stati ascoltati. E rappresenta anche una speranza.

Cynthia Houniuhi, presidente degli studenti delle isole Salomone.

“Siamo estasiati dal fatto che il mondo abbia ascoltato i giovani del Pacifico e abbia scelto di agire. Da ciò che è iniziato in una classe del Pacifico quattro anni fa.

“Noi del Pacifico viviamo la crisi climatica. Il mio Paese, le Isole Salomone, sono in difficoltà. Non per colpa nostra, conviviamo con cicloni tropicali devastanti, inondazioni, perdita di biodiversità e innalzamento del livello del mare. L’intensità e la frequenza di questi fenomeni aumentano di volta in volta. Abbiamo contribuito in misura minima alle emissioni globali che stanno affogando la nostra terra.

“Come giovani, l’incapacità del mondo di fermare le emissioni che uccidono il pianeta non è un problema teorico. È il nostro presente ed è il nostro futuro che viene svenduto. Il voto alle Nazioni Unite è un passo nella giusta direzione per la giustizia climatica”.

Dove tutto è cominciato.

Nicole Ponce (Filippine), Coordinatrice del fronte asiatico – Worlds Youth for Climate Justice

“Ringraziamo tutti i Paesi per il loro sostegno, in particolare i Paesi del mondo che si sono uniti a Vanuatu come cosponsor. Ringraziamo anche il governo di Vanuatu e tutti coloro che hanno lavorato per far sì che ciò che era iniziato come un’idea in un’aula scolastica diventasse realtà”.

Mert Kumru (Paesi Bassi), Coordinatore del Fronte europeo – Worlds Youth for Climate Justice

“È importante notare che la Corte si occuperà di questioni relative ai diritti umani e all’equità intergenerazionale che sono state ampiamente ignorate dal sistema attuale.

Nessuno può mettere in dubbio che gli Stati abbiano l’obbligo di adottare misure efficaci per prevenire e rimediare agli impatti climatici, mitigare i cambiamenti climatici e garantire che tutti siano in grado di adattarsi alla crisi climatica. Ma in qualche modo il processo sembra bloccato. Questa richiesta di parere consultivo vuole essere il catalizzatore per incoraggiare una maggiore ambizione all’interno dei processi esistenti”.

Jose Rodriguez (Costa Rica), Coordinatore del Fronte America Latina e Caraibi – Gioventù mondiale per la giustizia climatica

“Più di 40 movimenti giovanili e 58 organizzazioni della società civile dell’America Latina si sono uniti ai giovani di tutto il mondo per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’impatto negativo del cambiamento climatico sul pieno godimento dei diritti umani. Lodiamo la leadership del Costa Rica in questo processo e siamo ispirati dall’impegno regionale a cercare chiarezza giuridica su queste questioni critiche. Le violazioni dei diritti umani causate dai cambiamenti climatici colpiscono in modo sproporzionato le popolazioni indigene, le donne, i giovani e le popolazioni storicamente discriminate in America Latina. Per affrontare queste iniquità, nel perseguire la giustizia climatica, lavoreremo per far sì che coloro che sono più colpiti dal cambiamento climatico siano ascoltati dalla Corte internazionale di giustizia”.

Khulekani Magwaza, coordinatore del Fronte africano – Gioventù mondiale per la giustizia climatica

“È un risultato molto importante, soprattutto per la mia gente in Africa. Recentemente ho ospitato un workshop regionale sui cambiamenti climatici e i diritti umani a Johannesburg, e una delle sensazioni generali dei partecipanti, gli attivisti, è stata che è molto preoccupante che i quadri giuridici sui cambiamenti climatici attualmente esistenti non siano in grado di dimostrare una legge fortemente applicabile per proteggere i diritti delle persone innocenti, questo è ovviamente per molti Paesi in Africa, nelle isole del Pacifico e nel mondo, quindi dovremmo sicuramente festeggiare il voto per il parere consultivo dell’ICJ”.

Vishal Prasad, Campaigner – Studenti delle isole del Pacifico che lottano contro i cambiamenti climatici

“Questa non è la fine della nostra campagna per la giustizia climatica. Il processo giudiziario si svolgerà, raccogliendo prove da tutto il mondo. Il vero lavoro inizia con l’applicazione di ciò che il parere consultivo della Corte dice nel diritto nazionale, specialmente nei Paesi che continuano a guidare la crisi climatica con le loro emissioni tossiche“.

In copertina: Il primo Ministro di Vanuatu Ishmael Kalsakau parla prima del voto all’Assemblea delle Nazioni Unite

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