Questioni di pelle

I marchi di moda cercano alternative alla pelle naturale. Le migliori risposte arrivano dalla natura (non dalla ecopelle!)

Lo scorso novembre Kylie Jenner, influencer e imprenditrice appartenente al clan delle Kardashian, ha lanciato una collezione di 12 pezzi di abbigliamento realizzati in pelle sintetica. Un materiale resistente, quasi indistinguibile dalla pelle vera. Peccato che si tratti tecnicamente plastica, e di quelle impossibili da riciclare.

La tendenza animalista che rifiuta l’utilizzo di pelli e pellicce male si concilia con questa alternativa decisamente poco ecologica. Come abbiamo già raccontato in questo articolo su Jerome Dreyfuss, un designer di borse che si professa ambientalista e che comunque utilizza pelle vera per le sue creazioni, la produzione di faux leather (o ecopelle, in italiano) è altamente inquinante e contribuisce alla crisi climatica. Essendo infatti un derivato dell’industria dei combustibili fossili, rilascia composti chimici nell’aria non solo quando viene creato, ma anche durante il suo smaltimento.
Spesso sono le definizioni poco accurate a creare confusione: in questo caso, il termine ecopelle si accompagna alle allusioni sulle qualità positive intrinseche della pelle, che sono molto lontane dalle qualità della plastica come materia prima in termini di durata, longevità e compostabilità naturale. In più, il prefisso “eco” suggerisce un’ingiustificata dimensione green.
I materiali dovrebbero essere chiamati per quello che sono e lasciati liberi di agire in base ai loro meriti.
Fortunatamente, le tecnologie legate alla chimica consentono di creare tessuti per l’industria della moda riutilizzando gli scarti di produzione della filiera alimentare, come i resti di vino, pomodori, ananas o funghi.
In genere, la materia vegetale viene trasformata in una sostanza che viene applicata a un tessuto. La criticità principale è che per renderli più resistenti e durevoli (e spesso anche impermeabili) questi materiali vengono ricoperti da uno strato di poliuretano, che per quanto sottile non può essere separato, rendendone praticamente impossibile il compostaggio.
Per aggirare l’ostacolo, quindi, si deve rendere riciclabile anche il rivestimento.
Una soluzione che promette bene è stata sviluppata da Dio Kurazawa, fondatore della società di consulenza di moda sostenibile Bear Scouts, a partire dalla carruba. Reebok si è proposta di realizzare calzature di prova per testare il materiale.

Alternative vegetali alla pelle

Vediamo ora nello specifico alcuni di questi materiali naturali alternativi alla pelle.

Mirum

Utilizzata da Adidas, Stella McCartney e Camper, si tratta di una similpelle a base di miceli (l’apparato vegetativo dei funghi). Questi vengono alimentati riutilizzando i rifiuti agricoli e crescono in una sostanza simile a una schiuma che viene raccolta e trasformata in fogli. La finitura prevede comunque l’aggiunta di un sottile rivestimento in poliuretano anche se a base d’acqua. Il Mirum non contiene sostanze petrolchimiche ed è riciclabile.
Il Mirum è stato progettato da NFW (natural fiber welding) un’azienda che dal 2015 si occupa di sviluppare tessuti utilizzando ciò che la natura mette già a disposizione, come la gomma naturale degli alberi, il riso, il sughero e gli scarti della noce di cocco. In base alle sostanze presenti e alla lavorazione, si può personalizzare il colore, la lucentezza, la consistenza, lo spessore, la grana e persino il profumo del prodotto finito, che risulta così molto versatile.

Piñatex

Come suggerisce il nome derivato dallo spagnolo, il Pinatex è ricavato dalla fibra delle foglie delle piante di ananas coltivate in aziende agricole delle Filippine, del Bangladesh e della Costa d’Avorio. La resa non è ottimale, considerato che per produrre un metro quadrato di materiale finito occorrono circa 500 foglie di ananas. Ma dal momento che sono considerate rifiuti, è un modo per riciclarle.
Nel meccanismo di produzione, le foglie di ananas vengono lavorate meccanicamente per estrarre fibre che vengono poi essiccate al sole o in un forno, purificate utilizzando un acido polilattico a base di mais, e infine trasformate in una rete che viene rivestita con pigmenti e resine a base d’acqua. Il Piñatex rappresenta un esempio virtuoso di come recuperare rifiuti agricoli in modo socialmente vantaggioso, dal momento che coinvolge i coltivatori, assicurando un introito extra rispetto alla vendita del frutto. L’unica pecca è il suo aspetto un po’ rustico, che non lo rende adatto per tutti gli accessori.

Desserto

Utilizzata da H&M, questa alternativa alla pelle è realizzata con foglie di fico d’India coltivato senza sostanze chimiche o irrigazione in un ranch in Messico. Il materiale viene prodotto combinando le foglie di cactus macinate con proteine e un biopolimero liquido non tossico.

Vegea

Questo materiale è realizzato con i residui di bucce e semi d’uva derivanti dalla produzione del vino, che vengono combinati con olio vegetale e un PU a base d’acqua. Questa miscela viene poi utilizzata per rivestire un supporto di cotone, al quale viene successivamente applicato un rivestimento impermeabile. Lo stesso processo viene utilizzato per l’Appleskin, un tipo di pelle vegetale derivata dagli scarti di lavorazione delle mele.

‘Pellame’ Vegea

Reishi

Un’altra “pelle di fungo” completamente naturale, il Reishi viene prodotto facendo crescere il micelio direttamente sul cotone o su altri supporti di tessuto, poi rifinito con un rivestimento che ne aumenta la resistenza. il Reishi ha un contenuto di polimeri plastica inferiore all’1%, il più basso tra gli ibridi pianta-PU. Anche l’impronta di carbonio è limitata: corrisponde ad appena l’8% dell’impronta media della vera pelle, e meno della maggior parte dei materiali vegetali (alla pari con il Piñatex). L’unico svantaggio è il prezzo. La lavorazione è così elaborata che al momento viene utilizzato solo dai marchi del lusso. Un esempio celebre? Hermes.

Come abbiamo visto, sono molti i brand che stanno sperimentando con queste pelli vegetali. E come consumatori consapevoli ci auguriamo di trovare sempre più spesso questi nomi scritti sulle etichette degli accessori in commercio.

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