Hai mai pensato al fatto che un albero oppure un fiume, un lago dovrebbero avere il nostro stesso diritto alla vita? Domanda forse bizzarra, ma certamente non nuova visto che, in alcune tribù dei Paesi cosiddetti in “Via di Sviluppo”, questo concetto e questa domanda sono una parte integrante del credo religioso che sta alla base della vita comunitaria, ma che, lentamente, si sta estendendo anche ad altre latitudini.
Nel 2008, l’Ecuador è diventato il primo paese al mondo a riconoscere degli specifici diritti alla natura (attraverso un meccanismo di personalità giuridica) inserendoli nella propria Costituzione nazionale e scatenando una sorta di “effetto a catena” che ha portato a riconoscere gli stessi diritti agli ecosistemi in Nuova Zelanda, al Rio Atrato (parte colombiana dell’Amazzonia*), alla Bolivia, ai fiumi del Bangladesh, ai fiume Gange e Yamuna in India (sacri per gli Indù e che, dal 2017, sono considerati persone giuridiche al fine di tutelarli dallo sfruttamento e dall’inquinamento), oppure al lago Erie, nella città di Toledo, nell’Ohio, USA. Qui, a inizio 2019 stata approvata un’ordinanza nota come Lake Erie Bill of Rights che permette a tutti i cittadini di fare causa a nome del lago Erie, da cui prende il nome, visto quanto è inquinato (questa vicenda è attualmente al centro di una battaglia legale).
*Nel 2018, la Corte Suprema della Colombia ha riconosciuto l’area del Rio delle Amazzoni, come una “entità avente diritti e beneficiaria di protezione, tutela, manutenzione e ripristino”. Un riconoscimento della personalità giuridica ambientale consentirebbe alle nuove generazioni di godere delle stesse risorse naturali delle quali avevano goduto le precedenti, senza assistere al loro saccheggio.
I fiumi come persone
Il caso del Bangladesh è molto interessante: nell’estate del 2019, la Suprema Corte dello Stato ha concesso lo stesso status giuridico riconosciuto alle persone, anche a tutti i propri fiumi, stabilendo che, chi li dovesse danneggiare o li danneggerà, potrà essere processato come se avesse commesso un crimine ai danni di un essere umano.
Ancora più recente è il caso del Canada dove, il 23 febbraio scorso, le autorità hanno riconosciuto la personalità giuridica del fiume Magpie, proprio come intervento concreto per “non subordinare più la difesa della natura all’esistenza degli interessi umani”.
Riflessioni e studi su questo tema sono in corso anche in Europa: nei Paesi Bassi, nel 2019, un comune ha adottato una mozione per dare personalità giuridica alla Parte olandese del Mare dei Wadden, un mare interno che si estende tra Danimarca, Germania e Paesi Bassi, per una lunghezza totale di 450 chilometri e che è caratterizzato da un paesaggio unico al mondo, in cui si può praticare il mudflat hiking, ovvero il camminare sul fango lasciato scoperto dall’acqua durante i periodi di bassa marea (cfr. foto). In Spagna, invece, gli abitanti della Murcia, hanno chiesto il riconoscimento dei diritti per la laguna salata del Mar Menor.
E in Italia? La normativa italiana, purtroppo, delega, di fatto, la tutela di questi fondamentali ecosistemi alle singole persone e/o alle associazioni, perché essa risulta ancora fortemente ancorata a retaggi tradizionali ed una mentalità arretrata e senza alcuna prospettiva di lungo termine: basti pensare che il Codice Civile, considera ancora le risorse naturali come un normale “territorio di conquista e di appropriazione”, come emerge, ad esempio, da come è regolata la concessione per la gestione delle spiagge e dei mari ad esse prospicenti.
Ma cosa significa riconoscere i diritti alla natura?
Molto semplicemente, riconoscendo a montagne, fiumi e laghi e altri ecosistemi, un profilo giuridico non di semplici oggetti ma di soggetti con il pieno diritto giuridico di esistere, di essere rispettati e di rigenerare la propria bio-capacità. Ne deriva che, se l’impronta ecologica di un’area naturale è maggiore della sua bio-capacità, allora questa area non può essere utilizzata in modo sostenibile e, poiché questi ecosistemi non possono difendere il loro stessi diritti, vengono nominati dei “guardiani” di questi diritti.
“Quando vengono riconosciuti dei diritti ad un’entità naturale, questo permette di non poter più subordinare la difesa della natura all’esistenza di interessi umani, come, purtroppo, è sempre stato e continua a verificarsi, proprio grazie al riconoscimento del valore intrinseco alla natura stessa. Così, si fa un compromesso tra gli interessi (umani e non umani)” – spiega Marine Yzquierdo, avvocata dell’Associazione francese “Notre Affaire à Tous-Our Common Business” (il “Nostro affare per tutti”).
In concreto, ad esempio, prima della realizzazione di un progetto industriale, questi “guardiani dell’entità naturale” sono autorizzati dalla legge a verificare e dare suggerimenti per trovare la soluzione più idonea a conciliare gli interessi in gioco e verificare, prima di tutto, che il progetto non vada a ledere, in alcun modo, i diritti giuridici dell’area naturale, permettendo quindi di poter agire in maniera preventiva.
“L’obiettivo che si sta perseguendo è incitare e stimolare l’essere umano ad avere maggiore rispetto e cura dell’ambiente e del capitale naturale” – Victor David, avvocato e ricercatore presso l‘Istituto di ricerca per lo Sviluppo (IRD-Institut de recherche pour le développement).
La natura deve “avere anche dei doveri” ?
Innanzitutto, è necessario distinguere il “riconoscere i diritti a tutta la natura” (come in Ecuador, in Bolivia o in Uganda) rispetto a “riconoscere la personalità giuridica di un ecosistema specifico (es: il fiume Whanganui, in Nuova Zelanda) che significa, appunto, conferire dei diritti… ma anche dei doveri. Secondo Victor David, invece, non è possibile imporre dei doveri alla natura, perché essi sarebbero puramente virtuali, mentre il diritto spetta, intrinsecamente, alla natura creativa stessa. Un punto di vista sostenuto anche da Marine Calmet (Avvocata e presidentessa dell’associazione Wild), attraverso un interessante parallelismo con la nostra esperienza umana: “Spesso i minori o, a volte gli adulti più fragili, sono posti sotto tutela: essi hanno, quindi, dei diritti ma sono esentati, del tutto o quasi, da responsabilità, cioè dai doveri”. Si tratta, pertanto, di uno status giuridico che già conosciamo e applichiamo, quasi quotidianamente, nelle nostre società.
Si tratta di una reale ed efficace soluzione?
Secondo il parere di Mari Margil – direttrice associata del Community Environmental Legal Defence Fund – “queste azioni possono essere paragonate, per importanza, a quelle che hanno portato all’abolizione della schiavitù o al riconoscimento del diritto di voto alle donne”. Altri esperti in materia, dimostrano, invece, un maggiore scetticismo, il cui dubbio principale riguarda un aspetto: il rappresentante legale della natura. Alcuni dei provvedimenti citati, infatti, non specificano chi dovrebbe fare le parti della natura in un’ipotetica causa legale. Il governo? Una no-profit? Tutti i cittadini? Chi ha la possibilità di affrontare le spese legali? Definire questo aspetto è cruciale per tutelare i diritti della natura, così come lo è stabilire cosa bisognerebbe fare nel caso in cui, a violare questi diritti, fosse uno stato estero. Per ora, non c’è ancora una risposta certa.
Immagine di copertina by Robert V. Ruggiero – Plitvice Lakes National Park, Croatia