Perché la Pianura Padana è l’area più inquinata d’Europa? Facciamo chiarezza

Anche se Milano non è davvero la terza città più inquinata al mondo, la sua aria è irrespirabile. Conoscerne i motivi è indispensabile per strutturare una strategia.

Lo scorso mese si è parlato di nuovo molto dei preoccupanti livelli dell’inquinamento della Pianura Padana e ha fatto notizia la presunta posizione di Milano sul podio delle città più inquinate del mondo come terza dopo la pakistana Lahore e Dacca in Bangladesh. La situazione è un po’ più complicata di così: i dati non vengono raccolti secondo standard univoci e, già di per sé di difficile comprensione per i comuni cittadini, spesso sono male interpretati dai media. Quel che è certo e ormai ampiamente riconosciuto dagli esperti, comunque, è che il Nord Italia è un’area molo problematica a livello europeo, per una serie di ragioni: dalle caratteristiche geografiche della Pianura Padana all’elevata concentrazione di grandi città, centri industriali e allevamenti, e, non ultima, la scarsità di precipitazioni che, a parte qualche eccezione, si prolunga ormai da mesi e ha toccato livelli record lo scorso inverno.

La complessità della situazione

Orientarsi in questa complessa situazione per lavorare concretamente a una soluzione non è facile. Una prima difficoltà sta nel fatto che l’indice di qualità dell’aria (IQA) spesso usato nelle misurazioni è un indicatore forse utile per avere un’idea immediata dello stato dell’aria, ma approssimativo, poiché non esiste uno standard vero e proprio per misurarlo. Per questo l’Unione Europea ha cercato di uniformare i modelli di IQA esistenti nei Paesi membri introducendo l’Indice Europeo della Qualità dell’Aria, che si basa sulla concentrazione di PM10, PM2,5, biossido di azoto, ozono e anidride solforosa; su questa base si considera l’aria da buona – con livelli di particolato fine inferiori al valore indicativo annuale dell’OMS, secondo cui non vanno superati i 10 μg/m3 – a estremamente scarsa, cioè con livelli pari o superiori al valore limite di 25 μg/m3; in quest’ultimo caso si consiglia di ridurre l’attività fisica all’aperto ed evitarla del tutto per la popolazione sensibile. La direttiva europea 2008/507CE – recepita in Italia con il decreto legislativo 155 del 2010 – infatti, stabilisce che in una giornata non si possono superare i 50 μg/m3 di PM10, il dato medio annuale non deve superare i 40 μg/m3 e questo valore può essere superato al massimo 35 volte in un anno. La sigla PM sta per “materia particolata”: si tratta delle particelle più piccole – e più pericolose, perché penetrano più facilmente nell’organismo – tra le sostanze inquinanti; il PM10, in particolare, con il suo diametro inferiore al centesimo di millimetro, raggiunge facilmente le parti interne del naso e della laringe; le particelle con un diametro tra i 5 e i 2,5 micrometri arrivano invece nella parte bassa del sistema respiratorio e si depositano nei bronchi, all’interno dei polmoni, dove causano infiammazioni che nel tempo diventano croniche e danno vita a problemi respiratori come l’asma e, alla lunga, contribuiscono ai tumori. Le polveri ancora più sottili, chiamate “particolato fine”, sono note come PM2,5, riferimento alla dimensione massima del loro diametro; essendo così fini, penetrano ancora più in profondità nei polmoni e possono arrivare al sistema circolatorio, con ulteriori rischi di gravi problemi. Oltre alle polveri sottili, ci sono anche i gas, come il biossido di azoto, prodotto soprattutto dai motori diesel, e l’ozono, capaci di causare irritazioni dell’apparato respiratorio; ci sono poi gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), che sono riconosciuti come cancerogeni, il monossido di carbonio (CO) e l’anidride carbonica (CO2), di per sé non pericolosa per la salute umana, ma corresponsabile dell’effetto serra e, quindi, del riscaldamento globale.

Perché proprio la Pianura Padana?

I limiti considerati soglie di sicurezza per la salute e fissati da UE e OMS sono spesso superati per diversi giorni ogni anno e in diverse aree del nostro Paese, ma il fenomeno è decisamente marcato al Nord – Pianura Padana in testa – e d’inverno, quando cioè l’aria vicino al suolo è meno calda di quella in quota, e quindi anche più densa, provocando un ristagno di aria, che può durare per giorni o settimane –, dove è maggiore la concentrazione di grandi centri abitati, con relativo traffico e densità di industrie e allevamenti. La domanda e la produzione di energia da fonti fossili sono ancora in aumento nonostante il peso crescente delle rinnovabili, ed è determinante anche il ruolo degli allevamenti, come confermato da un recente studio realizzato da Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), Università Bocconi e Legambiente, da cui emerge che in Lombardia mille bovini in più si traducono in un aumento giornaliero delle concentrazioni di ammoniaca del 2% e di particolato dell’1%. Proprio dai trasporti, dal riscaldamento dei centri urbani e dalle attività industriali che impiegano combustibili fossili, infatti, deriva la produzione di vari composti chimici volatiti, alcuni dei quali rimangono a lungo in sospensione nell’atmosfera, specialmente in caso di aria stagnante – come quando c’è umidità ma non piove da tempo  – e ricadono al suolo solo con le piogge, condizione a dire il vero non rassicurante, dato che contribuisce all’inquinamento dei terreni. Oltre alla concentrazione di queste attività antropiche in Nord Italia, ci si mette anche la conformazione fisica e geografica della Pianura Padana, che è racchiusa tra le Alpi e gli Appennini, con  l’unico vero sbocco a est, verso l’Adriatico: una situazione in cui, quindi, la circolazione d’aria è particolarmente limitata.

Una situazione preoccupante

Quindi Milano è la terza città più inquinata al mondo oppure no? Non esattamente, ma non c’è comunque molto di cui rallegrarsi. È stata l’analisi di IQAir, azienda svizzera di rilevamenti, a parlare del presunto drammatico primato del capoluogo lombardo il mese scorso, notizia a cui ARPA Lombardia – l’agenzia  regionale per la protezione dell’ambiente – ha risposto che i dati sono poco attendibili mostrano la situazione su base oraria, che quindi varia molto velocemente, e mettono insieme dati difficilmente confrontabili tra loro, tanto che in pochi giorni la città meneghina era già scivolata al nono posto. Questo, però, non significa che la Lombardia possa essere felice dell’aria che respira: secondo il rapporto Mal’Aria di città 2024 realizzato da Legambiente, 18 città italiane hanno superato i limiti di smog nel 2023, con Frosinone in testa con 70 giorni di sforamento dei limiti, il doppio rispetto ai valori ammessi, seguita da Torino, Treviso, Mantova, Padova, Venezia e altre città soprattutto del Nord che si collocano in alto nella classifica, da Rovigo, Verona e Vicenza a Milano – appunto – ad Asti, Cremona, Lodi, Brescia e Monza. Quindi, stando alle linee guida dell’OMS adattate nel 2021 sulla base delle attuali conoscenze scientifiche sulle conseguenze dell’inquinamento atmosferico sulla salute, in effetti, la situazione è grave. Il Green Deal europeo prevede uno Zero Pollution Action Plan (letteralmente Piano d’Azione Zero Inquinamento), un’iniziativa che ha come obiettivo il dimezzamento delle morti premature da inquinamento atmosferico entro il 2030, una missione ambiziosa e, secondo gli esperti, improbabile da raggiungere, tanto più che una strategia ben definita e dettagliata ancora non c’è. Non per questo bisogna rinunciare o accontentarsi: oltre a definire in modo sempre più chiaro le modalità di rilevamento e misurazione, le azioni da intraprendere in modo più deciso devono riguardare le cause alla radice: se la conformazione della Pianura Padana non può essere cambiata – nonostante qualche strampalata idea in proposito – quello che possiamo modificare è la struttura del nostro modello economico e produttivo, ancora largamente basato sui settori più inquinanti.

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