La sostenibilità della canapa, dal tessile all’edilizia

Dal record di produzione all'oblio, alla riscoperta: la canapa in Italia è oggi un prodotto sempre più apprezzato per motivi ambientali

Negli anni Trenta del XX secolo, l’Italia era il secondo produttore mondiale di cannabis sativa (canapa) per uso tessile dopo l’Unione Sovietica, con un’estensione di 85mila ettari per un milione di tonnellate di fibre. L’utilità di questa piantagione come fibra tessile e le sue proprietà sono note fin dall’antichità, tanto che è probabile che si tratti della prima pianta a essere coltivata con questo scopo; l’arrivo delle fibre sintetiche – con il loro basso costo e la loro resistenza – a partire dagli anni Cinquanta l’ha però fatta cadere in disuso, riducendo le sue coltivazioni fino ad arrivare, vent’anni più tardi, ad appena 900 ettari. Nei decenni successivi questa pianta fu guardata poi con sospetto, nonostante la variante usata nel settore tessile contenga livelli di tetraidrocannabinolo  (THC), il principio psicotropo, al di sotto dello 0,2%, nulla a che fare quindi con la sostanza stupefacente; si diffuse anche una certa ignoranza generalizzata attorno alla legge n.685/1975 sulla disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, che non si applicava, in realtà, alla pianta usata nel tessile, nonostante la credenza diffusa.

Dopo un periodo di oblio, negli ultimi anni c’è stato un ritorno di questa specie vegetale, di cui si sta riscoprendo la versatilità; tanto che secondo Coldiretti i terreni coltivati a canapa nel giro di cinque anni sono aumentati di dieci volte, superando i 4mila ettari

Impatto della canapa rispetto al cotone

Le potenzialità che vengono notate oggi riguardano soprattutto la sostenibilità di questa pianta. In particolare, la canapa cresce molto in fretta, arrivando fino a quattro metri di altezza in tre mesi, e ha bisogno di pochissima acqua, mentre assorbe buone quantità di CO2 – secondo lo studio The Role of Industrial Hemp in Carbon Farming, un ettaro di canapa può assorbirne fino a 22 tonnellate – e non ha bisogno di essere trattata con prodotti chimici, fertilizzanti, antiparassitari e diserbanti, motivo per cui può essere facilmente coltivata anche con metodi biologici. Risulta quindi un ottimo sostituto di cotone e poliestere, conveniente sia economicamente, a conti fatti, sia ambientalmente dato che richiede ben il 50% in meno d’acqua rispetto al cotone e non ha bisogno nemmeno di molta terra. Tutto questo con un ottimo rendimento: un solo ettaro di canapa produce la stessa quantità di fibra di due ettari di cotone. Infine, restituisce fino al 60-70% dei nutrienti, con il risultato di non impoverire il suolo. Si tratta di proprietà estremamente interessanti che possono contribuire in modo concreto a ridurre l’impatto del settore tessile e dell’abbigliamento, i cui consumi nel solo 2020 in Europa hanno prodotto circa 270 kg di emissioni di CO2 per persona, per un totale di 121 milioni di tonnellate; nello stesso anno, sono stati necessari in media nove metri cubi d’acqua, 400 metri quadrati di terreno e 391 kg complessivi di materie prime per fornire abiti e scarpe per ogni cittadino europeo.

Le uniche criticità della canapa sembrano riguardare la stigliatura, cioè il processo per separare dalla corteccia della pianta le fibre per realizzare il tessuto e che viene impiegato anche per ricavare la stoppa, usata poi per produrre carta, ma anche come guarnizione idraulica e imballaggio; le fasi della stigliatura possono essere effettuate meccanicamente, senza usare agenti chimici tossici, ma esistono anche metodi più veloci ed economici di procedere alla macerazione, che però non sono proprio sostenibili; ad esempio, nella fase di pulizia e ammorbidimento della fibra possono essere usati soda caustica e risciacqui acidi. Poi, ovviamente, anche la tintura può essere più o meno impattante, a seconda della tecnica utilizzata. In compenso, la canapa è biodegradabile, compostabile e riciclabile e secondo il report  “The environmental impacts of the production of hemp and flax textile yarn” circa il 78% degli scarti che derivano dalle operazioni di stigliatura vengono riciclati e possono trovare diversi impieghi. 

Dalla canapa una speranza contro la plastica

Negli ultimi tempi, però, la canapa e suoi derivati stanno comparendo nella nostra vita quotidiana anche sotto forma di prodotti diversi, in settori più ampi e vari del solo comparto tessile: una di questi è l’edilizia, o meglio la bioedilizia, che impiega in particolare la parte interna, più legnosa, della pianta; lavorandola, infatti, si possono realizzare pannelli isolanti – che sono quindi rinnovabili e carbon negative e che possono essere impiegati nei cappotti termici che rendono energeticamente più efficienti gli edifici –, e poi malte, intonaci, mattoni, finiture e biocompositi analoghi a cemento e calce. Non mancano, però, gli utilizzi in cosmetica, in cui gli estratti delle foglie e l’olio ottenuto dalla spremitura del seme sono impiegati per ottenere saponi, creme, latte detergente; e, infine, il comparto alimentare, in cui semi, farina e olio sono utilizzati nell’agroalimentare per produrre pasta, biscotti, salse e dessert ma anche per aromatizzare bevande come caffè, tè o birra.

Ma una delle applicazioni certamente più interessanti è quella nella produzione di materiali: nello specifico, è allo studio una bioplastica degradabile a base di canapa che potrebbe sostituire i pellet di polietilene ad alta densità usati per produrre imballaggi; se ne sta occupando un team di ricerca della Western University in Canada, in collaborazione con l’azienda CTK Bio Canada. Altri studi, tutti italiani, sono portati avanti dall’Istituto di scienze e tecnologie chimiche Giulio Natta (SCITEC), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che ha studiato a lungo le proprietà della canapa per realizzare un materiale utilizzabile in tutte le sue parti che possa diventare una valida alternativa di origine naturale alla plastica derivata dal petrolio; tali studi si sono concentrati in particolare da un lato sulla produzione di materiali termoindurenti a partire dall’olio di semi di canapa e, dall’altro, sulla produzione di bioplastica a partire dal canapulo, il fusto della pianta; dall’olio di canapa, infatti, si possono ottenere resine acriliche simili al plexiglass, trasparenti anche se di colore giallo, mentre dal canapulo, attraverso un processo di fermentazione, si ottiene dell’acido lattico dal quale si produce il PLA, bioplastica molto usata tra le altre cose nella stampa 3D.

Risultati performanti, di facile produzione ed economici possono rappresentare un passo avanti fondamentale, tra le altre cose, in particolare nella lotta contro l’inquinamento da plastica, di cui oggi una delle espressioni più infide è la diffusione da microplastiche, ormai reperite anche nel corpo umano. Vale quindi decisamente la pena di investire nella coltivazione di canapa, un’opportunità interessante sia come volano di rilancio economico e sostenibile per l’Italia, sia come mezzo di lotta all’inquinamento e alla crisi climatica nei più diversi settori – dall’edilizia all’abbigliamento passando per gli imballaggi – a livello mondiale.

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