Successo ed etica, Mondora c’è riuscita

Francesco Mondora è prima di tutto un pensatore. E sul significato del termine 'successo' avrebbe molte cose da dire. In questa intervista cerchiamo di capire la rivoluzione di una società pluripremiata

Vent’anni fa due fratelli, con le rispettive mogli, hanno fondato un’azienda di software con un’idea di base ben precisa: creare un’impresa capace di seguire un modello economico focalizzato sul bene comune. Che si può anche tradurre con la capacità di realizzare profitti garantendo il benessere di dipendenti, clienti, fornitori e, più in generale, l’ambiente. Quella che raccontiamo è forse una delle esperienze più straordinarie e riuscite nel coniugare business ed etica, crescita aziendale con miglioramento professionale e personale: il merito va a Francesco e Michele Mondora, entrambi CEO della società che porta il loro cognome, ma anche a tutti i colleghi (non dipendenti) che lavorano nell’azienda.

In estrema sintesi Mondora ha una struttura che non prevede capi o gerarchie, il lavoro è svolto in gruppi, che ruotano costantemente, per rispondere al meglio alle varie esigenze lavorative, i ruoli dei singoli possono quindi cambiare, ma ciascuno opera come manager. Questo implica una grande responsabilità e maturità, come pure una profonda fiducia nei colleghi.

A dimostrazione che il modello non è affatto utopistico ma è concretamente percorribile ci sono una serie di fattori che ne dimostrano il valore assoluto: l’azienda ha continuato a crescere negli anni, ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, fra cui il premio Best For The World (che ha ottenuto più volte) riservato alle migliori Bcorp del mondo, ha davvero creato benessere in molteplici ambiti.

L’incontro con Francesco Mondora ci consente di conoscere meglio questa realtà.

Siete partiti nel 2002 con un presupposto coraggioso, in cui le persone si autorganizzano per raggiungere l’obiettivo finale: il che richiede molta responsabilità e voglia di “sviluppare sé stesso”, come hai dichiarato. Siete sempre riusciti a trovare colleghi di questo tipo?

“No, non sempre: c’è chi lavora essenzialmente per i soldi, ma abbiamo sempre rispettato le scelte di ognuno. Anzi, per noi è importante avere questa diversità e questo tipo di mentalità al nostro interno, ci fornisce una cartina di tornasole, per vedere se siamo un po’ troppo in aria oppure no. Però abbiamo verificato come queste persone trovano nel tempo il loro spazio: specie i più senior, che magari provengono da realtà strutturate, necessitano anche di un paio d’anni per abituarsi a un contesto di pari, a capire che c’è un senso più profondo delle cose che si fanno, piuttosto che solo il salario. Alla fine tutti quelli che decidono di venire a lavorare da noi si mettono in gioco.”

Un’altra tua affermazione controcorrente è quando hai definito i soldi un “effetto collaterale”: ce lo vuoi declinare meglio?

“Sì, un po’ ci gioco su questi aspetti, perché vorrei che ogni persona capisse qual è la sua chiamata interiore, alcuni la chiamerebbero vocazione. Ogni giorno ci è donato per comprendere qual è la nostra chiamata interiore: sono segnali, occasioni per capire sempre meglio noi stessi, nello splendore del vivere. Il lavoro ha un posto cruciale nella vita delle persone: se dunque costruiamo organizzazioni che includono la persona nella sua interezza, allora tutti possono veramente mettere a terra l’80% di quello che sono e non solo il 20% che è la parte funzionale che serve al lavoro. Lo spirito delle aziende non può più essere “colonialistico”, un modello che ha fatto la sua storia e sta sempre più scomparendo: deve piuttosto essere “ecologico”, nel senso di un sistema di cui tutti facciamo parte e che mette al centro ognuno di noi. Se cominciamo a ragionare così allora il denaro diventa sì un bellissimo effetto collaterale, perché l’azienda produce qualcosa di più solido, di più grande, che è riconosciuto ed è il vero valore.”

Ogni 20 colleghi assumete un agricoltore e per ogni new entry acquistate una forma di Bitto Storico, il formaggio tipico della Valtellina: si può dire che le vostre origini, il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità fanno proprio parte del vostro DNA, è così?

“Sicuramente, e aggiungerei anche la nostra famiglia: una famiglia povera, economicamente parlando, ma molto ricca di valori, che sono quelli che poi cerchiamo di tradurre concretamente. Noi siamo cresciuti con il cibo che veniva prodotto e io passavo le mie estati ad andare in vigna, a lavorare con gli agricoltori: questo ha consentito a me e Michele di essere in qualche modo indipendenti e non di peso ai nostri genitori. L’amore per la terra non è un’opzione carina da avere, ma è un aspetto essenziale per il futuro.”

remore working
Dall’arrivo della pandemia, anche Mondora ha promosso il remote working tra i suoi dipendenti, incoraggiandoli anche a scoprire posti insoliti, belli e appaganeti da cui lavorare (foto tratta da pagina Facebook)

Nel comportamento fra le persone vi ispirate alla ‘gentilezza’, mentre dal punto di vista tecnico, dove utilizzate piattaforme Open Source e usate la metodologia Agile, mi sembra che si possa usare la parola “innovazione”: sei d’accordo?

“L’Agile è una modalità di sviluppo software che adottiamo, ma aggiungo un altro tassello che riguarda l’organizzazione: se con il primo mettiamo al centro il cliente e i loro utenti, analogamente la governance deve porre tutti noi colleghi alla pari. Siamo arrivati a una sorta di sociocrazia, costituita da una serie di cerchie dove tutti decidono. A capo di Mondora c’è una cerchia, formata oggi da una decina di persone, che si armonizzano e decidono, andando poi a delegare alle altre sotto-cerchie: che hanno autonomia di scelta, anche nella gestione dei soldi. Mi piacerebbe poi elevare la definizione di “gentile” a quella di “atteggiamento non violento”: nei momenti di confronto la condotta è sempre improntata al dialogo e alla partecipazione, in cui ognuno condivide anche le problematiche più complesse che sta affrontando. Questo è un approccio che funziona e infatti sono anche diminuiti i failure party: si tratta di quei momenti in cui noi celebriamo un fallimento, poiché esso rappresenta un’occasione in cui imparare, acquisire maggiore consapevolezza, crescere attraverso gli insuccessi.”

Immaginiamo che, oltre alle qualità professionali, i vostri colleghi condividano anche una serie di importanti valori personali: come siete riusciti a mantenere questo clima positivo?

“È il nostro modo di essere, è la proposta che noi facciamo, ed è il bello di vivere questa esperienza insieme, con chi lo desidera. C’è moltissimo dialogo, facciamo tanti incontri e utilizziamo diversi strumenti per comunicare, tra cui l’AMA (ask me anything): è un tool che consente di scrivere e chiedere qualsiasi cosa a chiunque, che poi risponde. Tutti i nostri meeting vengono registrati e conservati, perché sono una parte fondamentale dell’altissimo spirito collaborativo che cerchiamo di vivere: abbiamo chiaramente schedulato tutta una serie di nostri appuntamenti interni, di verifica, di approvazione di budget o in cui tutta l’azienda si ritrova. In questo momento siamo completamente decentralizzati, a causa del covid, e tuttavia la “cerchia dei mondoriani” ha vissuto e vive varie occasioni di ritrovo extra lavoro. Tutto ciò per me è davvero molto bello, mi sento come un testimone, uno che vede un bambino crescere e rimango affascinato da tante situazioni che si sono create: come in un caso di solidarietà che è stato vissuto verso un collega che ha avuto bisogno di terapie importanti per qualche anno.”

Ai vostri clienti chiedete di compiere un’azione virtuosa, in cambio del tradizionale sconto. È un approccio che funziona?

“All’inizio è stato complicato, è una strategia che mi sono inventato proprio dopo che eravamo stati certificati Bcorp, dove è prevista una dichiarazione di interdipendenza molto forte: c’è stata un’occasione particolare con un cliente, che ho visto proprio come un segno per attuare questa interdipendenza. Dal quel momento, c’è stato chi ha ridotto la quantità di carta prodotta, altre imprese che hanno trovato come generare un impatto positivo nel contesto in cui operano, fino ad arrivare a chi oggi ci cerca per lavorare con noi proprio in quest’ottica fortemente collaborativa.”

il team Mondora
Foto di gruppo in casa Mondora in occasione di un Natale (da pagina Facebook)

Da qualche anno siete parte di TeamSystem, un grande Gruppo con 2.900 persone: siete riusciti a mantenere la vostra identità e il vostro stile, e magari anche a esportare il vostro modo di fare impresa?

“Direi di sì: è una scelta che io e Michele abbiamo fatto, condivisa con alcuni colleghi, proprio per aumentare l’impatto che noi generavamo. Come socio di TeamSystem mi è data la possibilità di portare nel Gruppo quel modo di operare che caratterizza Mondora e diversi cambiamenti positivi sono già successi: anche loro stanno facendo accordi di interdipendenza e c’è un’ottima sintonia. Pure la nostra azienda è un po’ cambiata, sono state introdotte alcune pratiche che ci hanno aiutato a prendere coscienza di alcuni aspetti del lavoro, senza però snaturarci.”

Spesso sei chiamato a raccontare della tua esperienza, a spiegare concretamente come vivere in azienda valori quali sostenibilità, inclusione, impatto sull’ambiente, siete una società benefit e BCorp: ti sembra che altre società stiano intraprendendo un modello di fare impresa simile al vostro?

“Mi sento di affermare che c’è una bella onda positiva di aziende che stanno andando in questa direzione: anche società di consulenza, come ad esempio Deloitte, che secondo me può avere un impatto dirompente. A breve verrà a incontrarci uno dei più importanti brand di moda internazionali, che sta andando verso un modello self-managed, e vuole capire come noi siamo organizzati, come viviamo la sociocrazia. Vedo un grande fermento, da un lato causato dalla crisi nella quale ci troviamo, crisi di valori innanzitutto, dall’altra parte però c’è anche una grande volontà di muoversi verso un modello di autodeterminazione dell’uomo: lo vedo soprattutto nelle Big Corporation, perché c’è una grande forza che sta sempre più affermando che le persone non sono macchine, non sono funzioni“.

Ci sono dei doni che dobbiamo lasciare a questo mondo e che devono perdurare più della nostra esistenza: e a ben vedere questo concetto lo puoi chiamare proprio sostenibilità.

Francesco Mondora

Per chi volesse ulteriormente approfondire:

TedxMantova 2019 con Francesco Mondora

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