L’Adriatico settentrionale è pieno di plastica

Uno studio europeo mostra le maggiori concentrazioni di microplastiche nelle acque dei golfi di Venezia e Trieste

Un mare di plastica: è il Mediterraneo, in particolare nei golfi di Trieste e Venezia. Emerge da uno studio pubblicato su Nature Communications, finanziato dall’ESA Discovery e realizzato da un team congiunto di ricercatori, tra cui studiosi del CNR italiano e della European University of the Seas, prestigioso gruppo di centri universitari europei. Lo studio ha analizzato lo stato delle acque del Mare Nostrum impiegando i satelliti Sentinel-2 del progetto europeo Copernicus, un programma della Commissione Europea dedicato al monitoraggio ambientale, e ha combinato le osservazioni satellitari così rilevate con i dati raccolti in situ. L’obiettivo era quello di analizzare l’accumulo dei rifiuti galleggianti nell’area mediterranea, uno snodo di traffici commerciali e turismo, ma anche sede di ecosistemi di fondamentale importanza per gli equilibri naturali.

I risultati della ricerca

I ricercatori sono giunti alle loro conclusioni grazie all’impiego di ben 300mila immagini satellitari del Mediterraneo, scattate ogni tre giorni per una durata complessiva di sei anni, per poi utilizzare un supercomputer e degli algoritmi avanzati per identificare i rifiuti plastici evidenziati dalle immagini, tra i quali delle vere e proprie scie galleggianti, lunghe anche fino a 20 km.

Tra le aree in cui la presenza di plastica – misurata in ppm, cioè metri quadri di plastica per km quadrati di superficie marina – è maggiore, sia in termini di plastica sparsa che di quella raggruppata, si contano zone situate nel Mare di Alboran sud-occidentale, tra la Spagna e il Marocco, con 9,1 ppm; nelle acque algerine con 12,9 pp; nel Golfo di Gabes in Tunisia, con 15,8 ppm; in Italia, alcune regioni al largo della Calabria con 9 ppm; ma, soprattutto, l’estremità settentrionale del Mare Adriatico, con addirittura 55,8 ppm.

Sono diversi i motivi per cui nel nord dell’Adriatico si accumulano grandi quantità di plastica galleggiante, a partire dalla particolare conformazione chiusa, che, assieme a un’elevata densità abitativa della cosa adriatica nord-orientale, dove abitano circa 3,5 milioni di persone, accresce notevolmente non solo la quantità di rifiuti prodotti, ma anche la loro concentrazione, dato che, anche se portati qui dalle correnti, faticano poi a disperdersi. I traffici turistici, inoltre, nel tratto di costa compreso tra Venezia e le croate Spalato e Dubrovnik, passando per Trieste che sta vivendo da un paio d’anni un boom turistico che già si configura come insostenibile sono densi e affiancati da traffici marittimi commerciali e industriali molto intensi.

La plastica rinvenuta dalle rilevazioni nell’Adriatico è costituita per lo più da sacchetti (29%), pezzi vari (22%) e fogli (15%) di materiale plastico, cui seguono le cassette per il pesce in polistirolo espanso (13%); più verso il fondo dell’elenco, infine, le bottiglie di plastica che sono l’1,4% dei rifiuti rinvenuti. Dalle analisi dei ricercatori emerge che le scie di rifiuti sono principalmente associate alle emissioni di rifiuti terrestri nei giorni precedenti la rilevazione: si tratta di un dato importante ai fini della sorveglianza e, quindi, dello studio di possibili soluzioni al problema.

Fonte: Copernicus Marine Service

Correre ai ripari

Nonostante l’area del nord-est sia quella messa peggio, ben l’87% delle aree monitorate del Mar Mediterraneo ha problemi di inquinamento, soprattutto da metalli tossici, sostanze chimiche industriali e, appunto, rifiuti di plastica, e il nostro mare – anche se non ci sono dati sufficienti per valutare in modo esaustivo lo stato delle acque marine, motivo per cui rilevazioni con i satelliti sono particolarmente importanti – ha anche la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità marine, con ben 1,9 milioni di frammenti per metro quadro; questo dato supera il limite ritenuto tollerabile, cioè quello oltre il quale le condizioni per il benessere umano non sono garantite, sia per i danni diretti che la materia plastica provoca, sia perché questa porta con sé altre sostanze chimiche potenzialmente dannose anche per gli habitat marittimi.  

Tendiamo ad associare al Mediterraneo spiagge incantevoli e bandiere blu, ma la realtà, poco visibile agli occhi dei non addetti ai lavori, che magari frequentano il mare solo per svago, è ben diversa. Purtroppo, quando non si ha sotto agli occhi una cruda realtà, si fa fatica a pensarla come un pericolo concreto e per questo si è meno spinti a impegnarsi per correre ai ripari. Ma è la plastica rappresenta un grave problema, a livello mondiale come locale, motivo per cui per ridurne la presenza nell’ambiente bisogna innanzitutto utilizzarne meno, per farne calare la domanda sul mercato, anche perché solo in piccola parte (circa il 9%) può essere riciclata e riusata; eppure a livello globale il trend di consumo segna dati in crescita e una media di 114 kg di rifiuti plastici annui pro capite prodotti in Europa. Altra urgenza è poi quella di gestire al meglio il materiale già prodotto, con sistemi più efficaci di smaltimento e che evitino la dispersione nell’ambiente. La direttiva europea sulla plastica monouso e l’obbligo dei contenitori per le bevande con un tappo progettati per rimanervi attaccato sono solo un piccolo passo, come sottolineato da Fantina Madricardo ricercatrice al centro ISMAR-CNR di Venezia e coordinatrice scientifica del progetto europeo Maelstrom che si occupa di rifiuti marini – che ricorda anche che al momento sono in atto le negoziazioni per il trattato globale sulla plastica dell’ONU, il programma INC-4 – che dovrebbe essere siglato entro fine anno – supportato anche dal CNR e destinato a ridurre la diffusione del materiale. Aspettiamo, allora, i risultati del trattato: anche il Mediterraneo aspetta.  

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